Giovedì 20 giugno, presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio, il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha illustrato il ‘Rapporto annuale 2019 – La situazione del Paese’.
Palazzo Montecitorio, presentato il rapporto annuale ISTAT estate 2019
Quest’anno sono state approfondite le caratteristiche dello sviluppo recente dell’economa e della società.
Vi sono problemi ma anche nuove opportunità con prospettive di sviluppo soprattutto sul fronte tecnologico e dell’innovazione.
iframe title="ISTAT Rapporto annuale 2019" width="696" height="392" src="https://www.youtube.com/embed/zCdFRwxtNpw?feature=oembed" frameborder="0" allow="accelerometer; autoplay; clipboard-write; encrypted-media; gyroscope; picture-in-picture" allowfullscreen>
La ventisettesima edizione del Rapporto ha proposto, come chiave di lettura, quella dell’interazione tra dotazioni di risorse, fragilità, resilienza del “Sistema Italia” e opportunità per creare una crescita robusta, inclusiva e sostenibile. Si tratta di una chiave di lettura ampia, in grado di valorizzare diversi tematismi e il complesso dell’informazione statistica disponibile.
Più in particolare, sono state approfondite le caratteristiche dello sviluppo recente dell’economia e della società, le dimensioni e la qualità delle risorse naturali e produttive del Paese, le tendenze demografiche e i percorsi di vita, il capitale umano e il potenziale di sviluppo del mercato del lavoro, con una proposta originale di lettura integrata degli aspetti di competitività e crescita e di quelli relativi al benessere, all’equità e alla sostenibilità.
L’Istat certifica il Futuro Demografico del Paese: pochi giovani, tanti vecchi
Si stima che in Italia la popolazione residente attesa sia pari, secondo lo scenario mediano, a 59 milioni nel 2045 e a 54,1 milioni nel 2065. La probabilità che aumenti la popolazione tra il 2017 e il 2065 è pari al 9%. Il Mezzogiorno perderebbe popolazione per tutto il periodo mentre nel Centro-nord, dopo i primi trent’anni di previsione con un bilancio demografico positivo, si avrebbe un progressivo declino della popolazione soltanto dal 2045 in avanti. il Mezzogiorno invece arriverebbe ad accoglierne il 29% contro il 34% attuale. Le future nascite non saranno sufficienti a compensare i futuri decessi: dopo pochi anni di previsione il saldo naturale raggiunge quota -200 mila, per poi passare la soglia -300 e -400 mila nel medio e lungo termine. La fecondità è prevista in rialzo da 1,34 a 1,59 figli per donna nel periodo 2017-2065. Entro il 2065 la vita media crescerebbe di oltre cinque anni per entrambi i generi, giungendo a 86,1 anni e 90,2 anni, rispettivamente per uomini e donne (80,6 e 85 anni nel 2016). L’incertezza associata assegna limiti di confidenza compresi tra 84,1 e 88,2 anni per gli uomini e tra 87,9 e 92,7 anni per le donne. Si prevede che il saldo migratorio con l’estero sia positivo, mediamente pari a 165 mila unità annue (144 mila l’ultimo rilevato nel 2016), seppure contraddistinto da forte incertezza. Il saldo naturale della popolazione risente positivamente delle migrazioni: 2,6 milioni di residenti aggiuntivi nel corso dell’intero periodo previsivo. |
Procedendo per “titoli” si evincono i seguenti gruppi principali.
I ‘MAMMONI’ Il rapporto 2019 ci dice che al primo gennaio 2018 i giovani residenti in Italia di età compresa tra i 20 e i 34 anni sono 9 milioni e 630 mila, pari al 16% del totale della popolazione (anche loro in diminuzione di oltre 1 milione e 230 mila unità rispetto al 2008). Il fatto di non poter contare su un lavoro stabile non aiuta i ragazzi a dar corso ai loro progetti di vita. LA SOPRAVVIVENZA Le donne continuano a vivere più degli uomini (85,2 anni in media rispetto agli 80,8) ma il divario si sta assottigliando nel tempo. Gli uomini, però, godono in media di buona salute per 59,7 anni, le donne per 57,8: benché più longeve, queste ultime vivono un maggior numero di anni in condizioni di salute via via più precarie. PAESE DI ULTRACENTENARI Sono quasi 15 mila quelli residenti in Italia che detiene il record europeo assieme alla Francia. CROLLO DELLE VEDOVE Se al censimento del 1991, nella classe di età riferita ai 65 anni e più era prevalente la quota di donne vedove rispetto alle coniugate (50,5% contro 37,4%), al primo gennaio 2018, le coniugate superano le vedove (47,7% contro 41,9%). E ciò grazie ai guadagni di sopravvivenza specialmente degli uomini che possono arrivare a età più elevate, facendo compagnie alle loro partner. E poiché 7 figli su 10 nascono all’interno del matrimonio, la diminuzione dei coniugati si ripercuote sul crollo delle nascite. |
Lascia un commento