L
e vicissitudini di Palmerston aprono uno squarcio sullo stato d’animo degli inglesi alla vigilia del referendum con cui decideranno se restare o meno in Europa. Palmerston è un micio bicolore in servizio presso il ministero degli Esteri. Prende il nome dal grande Lord Palmerston, che illustrò la scena politica britannica nell’Ottocento, quando quell’isola contava ancora parecchio. Un mese fa è stato assunto dal Foreign Office con la missione di catturare i topi. Il suo ingaggio fu salutato da servizi fotografici e siti dedicati che lo immortalavano accanto alla foto della Regina o sopra la tastiera di un computer, tanto per confondergli le idee sul tipo di «mouse» che avrebbe dovuto cacciare.
Un Paese che tratta i gatti come statisti ha un’alta reputazione dei gatti o, più probabilmente, deve averne una pessima degli statisti. Fatto sta che ieri alla Camera un deputato del partito conservatore ha chiesto al ministro degli Esteri Hammond se Palmerston fosse una spia al servizio della Commissione Europea. E, nonostante le rassicurazioni del ministro, ha affermato con assoluta serietà che si sarebbe sentito più tranquillo se il felino fosse stato controllato dal controspionaggio. Pensare che la Commissione Europea sia capace di mettere un microchip nel collare di un gatto per spiare il governo britannico significa illudersi che a Bruxelles ci sia gente creativa e che il governo britannico faccia ancora qualcosa che valga la pena di essere spiato. Forse la conclamata ostilità di molti inglesi per l’Unione Europea è frutto di un doppio eccesso di valutazione: sulla forza dell’Unione e sulla propria.
vivicentro.it/opinione –  lastamoa/Operazione Gatto MASSIMO GRAMELLINI
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