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ue anni di intensa attività investigativa, coordinata dalla DDA di Roma, hanno portato la Guardia Costiera a sgominare un cartello di imprese dedite al traffico internazionale di rifiuti metallici contaminati che spediti via mare su container da vari porti italiani (Civitavecchia, Livorno, La Spezia, Genova e Ravenna), raggiungevano le destinazioni di Cina, Indonesia, Pakistan e Korea. Le operazioni sono in corso dall’alba di oggi con l’esecuzione di numerosi arresti e sequestri di aziende in varie regioni d’Italia tra Lazio, Toscana e Umbria.
Il G.I.P. presso il Tribunale di Roma, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, ha infatti emesso 7 Ordinanze di custodia cautelare personale e disposto il sequestro preventivo di diversi stabilimenti situati in Orvieto e nel viterbese, oltre a svariati milioni di €uro da sequestrarsi per destinare a confisca, quale recupero sui proventi illeciti.
L’indagine, partita da alcuni container sospetti ispezionati dalla Capitaneria di porto di Civitavecchia, coadiuvata dall’Agenzia delle Dogane, ha da subito mostrato profili di rilievo nazionale relativamente alla provenienza dei rifiuti ed internazionale per quanto attiene alle destinazioni. I soggetti arrestati e le loro aziende, mediante vari giri di false attestazioni e certificati, acquistavano rifiuti industriali complessi e contaminati, su tutti da PCB (policlorobifenili – di tossicità equiparata alla diossina), e, dopo aver simulato lo svolgimento di procedure di bonifica in Italia, lo rivendevano tal quale come materiale recuperato e “pronto forno” per un nuovo ciclo produttivo. In realtà i rifiuti, in Italia, subivano solamente una mera macinatura e, fortemente inquinati, venivano spediti via mare nelle destinazioni internazionali, senza nessuno scrupolo per la salute degli operatori in contatto con gli inquinanti.
La trattazione e la bonifica dei rifiuti è disciplinata da un articolato quadro normativo nazionale, europeo ed internazionale che discendono dalla Convenzione di Basilea. Ogni operatore, in ogni fase della filiera, deve poter dimostrare la provenienza e la destinazione dei prodotti, nonché i trattamenti a cui sono stati sottoposti o a cui saranno sottoposti.
46.000.000 € l’anno è la media del giro d’affari derivante dal traffico illecito che emerge dalle indagini, a cui si deve sommare l’effetto negativo indiretto su tutti gli operatori rispettosi delle regole del settore, in particolare le aziende sane che offrono sul mercato i servizi di bonifica, limitando per esse i margini di guadagno; senza contare i maggiori costi per le imprese che conferiscono lecitamente i rifiuti.
[PP. 23737/16 Procura della Repubblica c/o il Tribunale di Roma – D.D.A.]
[P.G. operante: Guardia Costiera Civitavecchia e Nucleo Speciale d’Intervento del Comando Generale]
APPROFONDIMENTI
Nello specifico, i soggetti hanno conseguito ingiusto profitto vendendo rifiuti non bonificati e quindi di valore economico notevolmente inferiore e comunque non avviabili a recupero (o utilizzo in fonderia), come rifiuti destinati al recupero, gestendo abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti pericolosi e non, anche mediante spedizioni marittime transfrontaliere.
In particolare, effettuavano molteplici spedizioni marittime illegali verso paesi extra UE, quali Cina, Pakistan, Indonesia e Korea. Gli accertamenti tecnici hanno consentito di rilevare un livello di contaminazione di PCB, solventi ed idrocarburi ben oltre i limiti consentiti dalla legge L’attività criminosa è stata svolta in concorso tra gli indagati attraverso attività organizzate, ripetute nel tempo, consistenti nel gestire abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti pericolosi e non, diversificando ed ampliando il proprio network illegale mediante la pratica di nuove modalità di scambio e smercio di rifiuti, anche tramite la ricerca di potenziali investimenti all’estero per l’apertura di nuovi impianti e di aziende “ponte” in prossimità dei porti del Nord Europa (Germania e Polonia).
“L’attività e la contestualizzazione del fenomeno”
Il pregio dell’indagine è quello di aver saputo ricostruire un fenomeno complesso, multimodale e multifattoriale, fortemente pericoloso per l’ambiente e la salute dei lavoratori, partendo dall’analisi di fatti singoli accertati dopo aver effettuato l’analisi dei dati che comunemente sono nella disponibilità dell’Autorità marittima (Capitanerie di porto- Guardia Costiera).
Le misure di censura adottate sono state calibrate per censurare le attività dei Soggetti e delle aziende che hanno operato illegalmente, interrompendo in via preventiva le condotte e cessando i traffici illeciti. Ma ancora più rilevante è il recupero dei proventi del traffico illecito.
Le disposizioni nazionali ed europee dettano norme stringenti in tema di trattamento dei rifiuti, fornendo un articolato quadro ordinativo sui livelli di pericolosità dei materiali e le successive fasi di bonifica obbligatoria ed eventuali criteri di trasporto. Inoltre stabiliscono criteri severi in tema di assegnazione delle “potestà di azione” di bonifica alle aziende dedicate. In sintesi il sistema di “tracciamento della filiera” è regolato dal principio che in ogni fase il rifiuto deve essere accompagnato da un documento che certifichi chi lo ha generato e a chi esso è destinato. Ogni soggetto intermedio in tale catena deve avere precisi requisiti, anche per il suo possesso e trasporto, oltreché per la sua lavorazione.
Studi di settore dimostrano che, ahimè, in Italia il volume dei rifiuti industriali complessi prodotti è fortemente superiore alle materie depurate dalle aziende a ciò dedicate e successivamente ufficialmente esportate o reimpiegate in circuiti produttivi interni. Ciò dimostra che vi è un’emorragia illecita di prodotti non depurati. Tale fenomeno ha due concause, la spregiudicatezza di molte aziende produttrici di rifiuti industriali e la forte domanda da parte di Paesi emergenti di “rifiuti sporchi”. Essi, pagati poco nei Paesi ricchi (ove la loro bonifica obbligatoria è un costo), nei Paesi poveri diventano nuove “materie prime a basso costo”, dopo lavorazioni pericolose e senza tutele per ambiente e lavoratori.
Nel dettaglio, per le imprese italiane ed europee ciò significa: rischio di “non reggere” il mercato per le aziende rispettose delle regole che operano nel settore delle bonifiche; pregiudizio della finanza pubblica: le materie esportate illegalmente, non figurando come rifiuti, viaggiano con una procedura semplificata senza che si applichi il sistema notificatorio e fideiussorio previsto dalla Convenzione di Basilea. Inoltre, dichiarando l’esportazione delle cd. “materie prime seconde” (insomma depurate e pronte per il nuovo ciclo produttivo) le Aziende ricevono dallo Sato un “credito d’IVA” per incentivarne le esportazioni quali prodotti “lavorati” nel proprio territorio (nel nostro caso falsamente); insomma, un doppio guadagno illecito.
Riferimenti normativi generali:
1. il Regolamento (CE) n. 1013/2006 e s.m.i., in materia di spedizione internazionale di rifiuti, il cui precipuo obbiettivo è la protezione dell’ambiente;
2. la Convenzione di Basilea, sul controllo dei movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi e sulla loro eliminazione.
3. il Regolamento (CE) n. 333/2011 recante “i criteri che determinano quando alcuni tipi di rottami metallici cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della Direttiva 2008/98/CE;
4. il D.lgs. 152/2006 “Norme in materia ambientale”;
5. il D.M. 5/2/1998 e s.m.i., per l’individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero con le relative disposizioni da osservare;
Le ipotesi di reato:
1) delitto p. e p. dagli artt. 56-110 c.p., 260 D. lgs. 152/2006 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti)
2) reato. e p. dagli artt. 56-110 c.p., 259 D. lgs. 152/2006 (traffico illecito di rifiuti)
3) reato p.p. dall’art. 81cpv., art. 110 c.p. e art. 256, comma 1 del D.lgs. 152/2006 (gestione illecita di rifiuti)
4) reato p.p. dagli artt. 81cpv., 110 e 452-septies c.p. (impedimento del controllo)
5) reato p.p. dall’art. 81cpv., art. 110 c.p. e art. 256, comma 5 del D.lgs. 152/2006 (miscelazione illecita di rifiuti),
6) reato p.p. dall’art. 81cpv., art. 110 c.p. e art. 256, comma 1 e 4 del D.lgs. 152/2006 (gestione illecita di rifiuti ed inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione);
7) delitto p.p. dall’art. 648-ter.1 c.p., 81 cpv c.p (Autoriciclaggio);
8) delitto di cui all’art. 81cpv., art. 110 c.p., art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico).
Focus sulla definizione di END OF WASTE per materiali metallici
In riferimento al tema di “cessazione della qualifica di rifiuto”, definita con l’acronimo di EOW (End of Waste), l’impianto normativo principale nel caso in esame è composto da:
1) il Regolamento (CE) n. 333/2011 recante “i criteri che determinano quando alcuni tipi di rottami metallici cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della Direttiva 2008/98/CE;
2) il D.lgs. 152/2006 “Norme in materia ambientale”
3) il D.M. 5/2/1998 e s.m.i., per l’individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero con le relative disposizioni da osservare.
Per quanto attiene il Dlgs 152/2006 (Testo Unico Ambientale, o TUA) l’art. 184-ter comma 1 prevede la cessazione della qualifica di rifiuto all’esito di un’attività di recupero ed in corrispondenza del rispetto delle seguenti condizioni:
a) la sostanza o l’oggetto è comunemente usato per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana; lo stesso art. 184-ter al comma 2 stabilisce che i criteri di riferimento per la cessazione di qualifica di rifiuto “sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria, ovvero in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ai sensi dell’art. 17 comma 3 legge 23 agosto 1988 n.400”
Nelle more dell’applicazione di uno o più decreti continuano ad essere applicate le precedenti disposizioni tra le quali, appunto, il DM 5/2/1998.
Tra le normative Comunitarie attualmente emanante in relazione alla cessazione della qualifica di rifiuto si evidenzia il Regolamento UE n. 333/2011, la cui osservanza è appunto richiamata nel citato art. 184 ter comma 2 del D.lgs. 152/2006.
Nel predetto Regolamento vengono riportati i criteri secondo i quali alcuni tipi di rottami metallici (alluminio, ferro e acciaio) cessano di esser considerati rifiuti.
I principali criteri riportati nell’All.1 (ferro e acciaio) e nell’allegato II (alluminio) della cennata norma comunitaria nell’ambito dei quali prevedono che:
– la quantità totale presente di materiali estranei sterili è inferiore uguale al 2% in peso;
– i rottami non presentano, ad occhio nudo, oli, emulsioni oleose, lubrificanti o grassi, tranne quantità trascurabili che non danno luogo a gocciolamento;
– i rottami sono stati separati alla fonte o durante la raccolta e sono stati tenuti divisi, oppure i rifiuti in entrata sono stati sottoposti a un trattamento per separare i rottami dagli elementi non metallici;
– sono stati portati a termine tutti i trattamenti meccanici (quali taglio, cesoiatura, frantumazione o granulazione, selezione, separazione, pulizia, disinquinamento, svuotamento) necessari per preparare i rottami metallici al loro utilizzo finale direttamente nelle acciaierie e nelle fonderie.
Di particolare importanza, ai fini della cessazione di qualifica di rifiuto, ossia End Of Waste, risulta essere l’esecuzione di tutte le operazioni previste con particolare riguardo alla pulizia ed al disinquinamento.
Si tratta, in particolare, di trattamenti propedeutici a consentire l’uso diretto del materiale in fonderia, senza impatti negativi per l’ambiente e senza nessun ulteriore processo di selezione, separazione e/o eventuale bonifica che in tal caso comporterebbe, di fatto, l’ulteriore gestione di un rifiuto e non di un prodotto finale quale dovrebbe essere l’End of Waste.
1 rifiuto che cessa di essere tale al termine di un idoneo ciclo di trattamento e bonifica; ritorna ad essere materia “prima” da impiegarsi in un nuovo ciclo produttivo. Gli indagati, mediante un articolato sistema di falsi documenti prodotti da false aziende, esportavano rifiuti dichiarandoli “end of waste” appunto.
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