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osè Mourinho, che probabilmente, avesse fatto lo psicologo, avrebbe avuto lo stesso successo raggiunto da allenatore, prima di Napoli – Roma ne aveva provata un’altra delle sue.
A suo dire, come aveva riportato in conferenza pre-partita, il Napoli aveva già vinto lo scudetto, già dopo il solo girone d’andata.
Pre-tattica da vecchia volpe, che poteva far credere ( solo ai più ingenui, in verità) che la Lupa Capitolina potesse venire a recitare il ruolo, se non della vittima sacrificale, quantomeno della cugina provinciale.
Nient’affatto e partiamo subito da qui: la Roma di Mourinho contro il Napoli ha giocato una gran partita, onore al merito.
E’ stata senza dubbio la squadra che, finora, ha più messo in difficoltà il Napoli al Maradona, assai più del Liverpool, della Juventus o dell’Ajax.
E’ stata, senza dubbio, una delle squadre che più ha messo in difficoltà il Napoli nella stagione a livello complessivo, aggiungeremmo.
E per la Roma ( si fidino gli amici di fede giallorossa) è già una bella medaglia da mettere sul petto.
Mourinho prima di Napoli – Roma ha sorpreso tutti, perché anziché replicare la partita dell’andata, quando la Roma di fatto rinunciò a qualsiasi tentativo che non fosse utile a difendere lo 0-0, stavolta ha impostato una partita coraggiosa.
Non è riuscito, il Napoli che di solito domina sul piano del gioco e del possesso palla, a stritolare gli avversari nella propria morsa, anzi: è stata proprio una Roma volitiva e coriacea a venire a pressare alto gli azzurri nella propria metà campo, rinunciando a darsi in pasto alla capolista della serie A.
Per la Roma di Mourinho questa partita con il Napoli ha determinato quindi la prima sconfitta del 2023.
Sgombriamo il campo anche da questo equivoco: probabilmente il pareggio sarebbe stato il risultato più giusto, o almeno sarebbe stato il risultato più giusto fino al goal di El Shaarawy.
Il Napoli, sbloccato il punteggio con un’autentica prodezza di Victor Osihmen, ormai sempre più trascinatore e leader dentro e fuori dal campo, si era difeso a fatica da una Roma che proprio non voleva saperne di soccombere.
Squadra che ha riconfermato innanzitutto un’importante solidità difensiva (non ingannino i due goal presi, frutto o di giocate sensazionali dei singoli o di manovre efficaci degli avversari).
Poi, un centrocampo che è un giusto mix di muscoli e cervello, con un calciatore tra tutti che s’è preso la scena in modo netto: Matic, uno di un livello superiore ai suoi stessi compagni di reparto.
Nota di merito anche per gli uomini di fascia: Spinazzola e Zalenski hanno creato pericoli e grattacapi non da poco.
E Dybala, quando tocca il pallone, fa capire di essere veramente un giocatore di un’altra categoria.
Lui, la luce la porta sempre, ma vedersela contro Kim e Rrahman, oggigiorno, è roba dura per chiunque e Tammy Abraham ne ha pagato la tassa, finendo spesso isolato e imbrigliato nella morsa dei due centrali azzurri.
Insomma, una Roma che, nonostante il risultato finale, esce dal Maradona con applausi ed elogi assolutamente meritati e con una consapevolezza bella forte: se i rivali per la Champion’s si chiamano tipo Milan ( che becca cinque sberle a domicilio dal Sassuolo, giusto per citarne una) proprio non si capisce cosa manchi ai giallorossi per poter competere, in maniera convinta, per le prime quattro posizioni.
La Roma di Mourinho assolutamente rilanciata, dicevamo e pareggio con il Napoli pienamente meritato fino all’1-1, dicevamo anche questo. Poi, lì succede qualcosa. Succede che quel matto di Luciano Spalletti, che forse s’è veramente messo in testa di fare la storia, rivoluziona il tridente d’attacco e fa entrare Raspadori e Cholito Simeone.
Non è tanto il fatto che faccia entrare il Cholito, a sorprendere, quanto che il tecnico toscano decida di rinunciare a Victor Osihmen per il gran finale.
Victor incassa senza far polemica, anzi, diventa praticamente il vice di Spalletti in panchina: urla, sbraita, si danna. Come se fosse ancora in campo. Ma in campo, lui, non c’è più e Spalletti manda un messaggio forte, soprattutto ai subentrati.
E’ un modo per dire: “Sono con voi, credo nelle cose che potete fare”.
Nove allenatori su dieci non avrebbero tirato fuori Osihmen dal campo neanche se li fossero andati a prendere a casa.
Perché tirare fuori dal campo questo Osihmen qui, è roba da gente incosciente o terribilmente coraggiosa.
Luciano Spalletti è un po’ di tutte e due le cose. C’è solo uno che è più matto di lui: si chiama Cholo Simeone. Ogni minuto che gioca sembra si stia giocando la vita, ogni palla che tocca la tratta come se dovesse morire un secondo dopo. Due attributi grossi come una mongolfiera. Un varco si apre, Zielinski lo nota. Il Cholito esegue, con l’istinto che appartiene agli eroi. Controllo e sinistro sotto la traversa.
Che coraggio, Cholito. Ci vuole un coraggio enorme, ad entrare così, a determinare così. Come a San Siro sponda rossonera, quando, invece che Giroud, si girò Giovanni.
Stesso esito, stesso risultato. 2-1, stasera come a San Siro. Quattro, come i punti, enormi, che Giovanni Simeone ha dato al Napoli in questo campionato.
Continua la corsa, continua la marcia. Quota 53 punti nell’ultima partita di Gennaio. Roba da non crederci.
E i complimenti vanno a tutti, proprio a tutti. Perché se Victor e Cholito hanno gonfiato la rete, con due prodezze vere, i meriti vanno pure ad Alex Meret, anche stasera autore di almeno due interventi decisivi.
Così come a Rrahamani e Kim. C’erano una volta un coreano e un kosovaro. Sembrava una barzelletta ma degli avversari, quando ce li hanno contro, nessuno ne ha mai visto ridere uno.
Gianni Di Lorenzo soffre Spinazzola prima ed El Shaarawy poi, ma è la roccia di sempre. Come Marietto Rui.
Non splendono Anguissa e Kvara, col georgiano comunque autore dell’assist per il primo goal dei suoi.
Lobotka e Zielo in grande spolvero: giocasse sempre così, il polacco, sarebbe da Real Madrid e invece, per fortuna, è ancora da Napoli.
Dei centravanti abbiamo detto, bene anche Chucky Lozano, che darà pure un po’ l’idea di scapestrato ma è da un bel po’ che dimostra generosità e attaccamento alla causa, facendo vedere di essere mentalmente totalmente calato nella dimensione di squadra.
Buon ingresso, tra tutti i subentrati, per Jack Raspadori ed Oliveira, ma importante anche l’impatto di Elmas.
Mourinho, a gufare, c’ha provato e, almeno su questo, non potrà dire di avere rimpianti. A dir la verità, però, s’è fatto apprezzare più per le cose fatte sul campo, che per quelle dette al microfono.
Tra le tante dichiarazioni “poco condivisibili” del portoghese, forse una ci sentiamo di sottoscrivere: sembra davvero che il Napoli sia guidato da una Stella.
Il che non significa sminuire la portata del discorso, tacciando gli azzurri di essere fortunati e basta. No, sarebbe una forzatura veramente di cattivo gusto.
Significa che nell’aria c’è una luce, una magia strana. E’ come se, gli uomini di Spalletti, l’avvertissero sulla pelle, a cominciare dal proprio allenatore.
La Roma si rifarà e siamo senz’altro certi che possa tranquillamente giocarsela alla pari con tutte per le altissime posizioni di classifica, tanto più che la concorrenza non sembra proprio delle più imbattibili.
Il Napoli archivia un’altra battaglia e supera un altro esame. Di forza, di nervi, di classe. Nulla più, nulla meno. La scalata è ancora lunga e i campionati non si vincono a Gennaio.
Luciano Spalletti, non ce ne voglia Josè, quando parla almeno dice cose sensate.
A cura di Antonio Ingenito
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