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Milano, il dress code per le liceali: “La scuola non è una spiaggia, basta canotte e magliette trasparenti” TIZIANA DE GIORGIO*

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La preside del Tito Livio: “La mia circolare è soprattutto nel loro interesse”. Il provveditore alle famiglie: “Maggiore attenzione su questo punto”

span style="color: #252525; font-family: Arial, 'Helvetica Neue', Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; line-height: 23px;">Un invito dai toni pacati. Ma con indicazioni precise indirizzate soprattutto alle studentesse: vietato presentarsi a lezione con indumenti trasparenti, canottiere minimal e “maglie esageratamente traforate che lasciano a vista la biancheria intima”. S’intitola “dress code” la circolare diramata a tutti gli alunni, agli insegnanti e ai genitori del Tito Livo, liceo classico in pieno centro a pochi passi da Sant’Ambrogio.

Le continue richieste di un decoro nell’abbigliamento rivolte agli alunni delle superiori da parte dirigenti scolastici non sono una novità. Ma nel mirino c’è quasi sempre stato il vestiario di fine anno, quando le temperature sono ormai estive, in classe si suda. E i ragazzi non riescono a vederci nulla di male nello scoprire spalle o polpacci per sopportare il caldo. Ci sono stati dirigenti scolastici che negli anni hanno scatenato vere battaglie contro bermuda e infradito sfoderati dagli studenti nella bella stagione. Anche a suon di richiami formali e note, accolte con proteste da parte degli adolescenti.

In questo caso il messaggio della dirigente, Amanda Ferrario, è un po’ diverso. “Girando per i corridoi ho potuto notare che qualche studentessa aveva un abbigliamento poco consono ad un ambiente scolastico”, scrive. Il riferimento femminile non è casuale: “I maschi a volte sono un po’ trasandati ma questo è un altro discorso – prova a chiarire a voce – il problema è che le ragazze spesso non si rendono conto che arrivano in classe mezze nude. A volte con la sciarpa fino al naso ma con maglie trasparenti e biancheria intima in bella vista. Non va bene. E lo dico soprattutto per loro”.

La sua lettera non parla direttamente agli alunni ma chiama in causa mamme, papà e docenti. Invitandoli a prendersi cura “di un aspetto formale importante e non marginale” nell’educazione dei ragazzi. La scuola, scrive, “non è una spiaggia, un pubblico giardino, una piscina né, tantomeno, una discoteca “. E chiede decoro e rispetto per il liceo. Ma anche per loro stesse.

Sul tema interviene anche il provveditore di Milano, Marco Bussetti: “Quello dell’abbigliamento, diciamo così, disinvolto delle studentesse non è certo un’emergenza – precisa – ma è importante far passare il messaggio che da un lato la scuola merita rispetto come istituzione. Ma anche che un certo modo di vestire può penalizzare loro stesse in un determinato contesto”. Anche Bussetti si rivolge alle famiglie: “I ragazzi, lo sappiamo tutti, rivendicano il diritto di vestirsi come vogliono. Ma a casa sarebbe importante che ci fosse una maggiore attenzione su questo”.

*larepubblica

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