Papa  Francesco disciplina la messa in latino e delega il vescovo ad indicare in quali chiese si potrà celebrare con il vecchio rito
Papa Francesco si è deciso a regolamentare la celebrazione della messa in latino, dopo le tante polemiche che la questione ha suscitato e continua a suscitare nel mondo cattolico.  La decisione papale è frutto di iniziativa personale del pontefice, che l’ha emanato tramite un motu proprio. Che consiste in una delibera che il papa ha facoltà di emettere, senza consultarsi necessariamente con i suoi stretti collaboratori.
P
ertanto ha delegato al vescovo la decisione di decidere in quali chiese si potrà continuare a celebrare con il vecchio rito.
La questione infiamma gli animi, perchè della messa in latino i cattolici tradizionalisti ne hanno fatto una bandiera. Che usano come grimaldello per contestare il Concilio Vaticano II ed anche il papa regnante. Che, a loro detta, stanno desacralizzando la ritualità cattolica della tradizione millenaria. E stanno impoverendo il messaggio evangelico, riducendolo a portatore di contenuti solo sociologici.
Il fronte progressista sostiene che la celebrazione della messa nella lingua nazionale consente a ciascun fedele di partecipare attivamente, di comprendere il significato delle preghiere che si recitano. E di sentirsi parte attiva di una comunità di credenti. Che è la ecclesia, cioè la chiesa. E sui contenuti sociologici – alludendo all’attenzione del papa per gli ultimi, per i diseredati, i migranti – si sostiene, che essi sono la diretta emanazione del detto evangelico: Ama il prossimo tuo come te stesso.
Ormai queste due concezioni si contrappongono quasi frontalmente ed ogni arma è buona per farne un ariete di sfondamento nel fronte opposto. Da più posizioni estreme si sostiene – addirittura – che l’attuale pontefice non è stato eletto legittimamente. E che il vero ed unico papa sia rimasto Benedetto.
La messa in latino è solo una schermaglia. Perché, in realtà , in quelle rare parrocchie dove la domenica si ritrovavano sparuti nostalgici del rito emanato dal Concilio di Trento (1563), l’aria che si respira è imbalsamata. Il sacerdote bisbiglia silenziose preghiere cui i fedeli non prendono parte. Assistendo ad un enigmatico cerimoniale fatto di genuflessioni e gestualità non facile da decifrare.
Chi di noi ha scontato un po’ di latinucci, qualcosa afferra. Ma chi ne è del tutto digiuno non è in grado di essere coinvolto in una celebrazione corale e partecipativa. Al limite potrà sentirsi rapito in un rito arcano che dice di essere indirizzato al sacro.
Certo i paramenti ricamati in oro, le ricche suppellettili di raffinata oreficeria, il cerimoniale solenne ed ampolloso, le fumigazioni di incenso e le inarrivabili melodie del gregoriano formano un unicum inarrivabile.
Ma se vogliamo chiamare alla mensa tutti. Anche agli ultimi della terra e della società , dobbiamo usare parole e gestualità a loro comprensibili.
Il papa non ha negato valore alla tradizione. Ha solo ristabilito quello che già il suo predecessore Giovanni Paolo II aveva stabilito. Che la messa in latino si potrà celebrare nelle chiese che il vescovo riterrà opportuno indicare. Ovviamente vietando alle singole parrocchie di prendere iniziative autonome. Â
Rimettere ordine non è proibire.
Messa in latino: il papa delega al vescovo la decisione // Carmelo TOSCANO/ Redazione Lombardia