Manon Lescaut in scena a Verona
L
’arte anticipa sempre la scienza. Puccini nel 1893 debutta con “Manon Lescaut” e scandaglia le pieghe dell’animo umano.
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Animo umano attratto dall’amore fatto di carnalità e passionalità. Ormai non più considerato amore romantico sublimato nel sentimento, come nel periodo aureo del romanticismo.
Sigmund Freud verrà qualche decennio dopo a indagare con metodo scientifico questo lato fino ad allora oscuro della psiche umana.
E farà luce sui concetti di pulsione sessuale e di complessi ad essa collegati, di nevrosi e di compulsività.
La giovane Manon incarna le pulsioni di una femminilità voluttuosa e capricciosa, che aspira al sentimento ma è attratta compulsivamente dal lusso e dall’erotismo.
Cerca di redimersi ma ricade sistematicamente:
- trova l’amore ma va con l’uomo ricco;
- ritrova il suo giovane amore ma al momento di fuggire con lui indugia a raccogliere ori e gioielli che rimpiange di dover lasciare.
Puccini la ritrae da artista mirabile.
Freud ce ne fornisce una chiave di lettura scientifica. Ma “a posteriori”.
Misteri della mente umana, che prima intuisce con il genio creativo e poi chiarisce con il genio razionale.
L’opera dell’artista appena trentenne venne rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino il 1° febbraio 1893 e nello stesso anno al “Filarmonico” di Verona.
Il pubblico ormai sedotto da «le magnifiche sorti e progressive» cui il positivismo prometteva di avviare l’Umanità, ne restò affascinato da subito e ne decretò il successo che dura fino ai nostri giorni.
“Manon” torna quest’anno al Filarmonico.
Ci torna in versione “attualizzata” sulle tracce della regia creata da Graham Vick nel 2010 per conto del Teatro La Fenice di Venezia e della Fondazione Arena.
Il libretto dell’opera prevede un ambiente in pieno ‘700, questa regia invece, ci catapulta ai nostri giorni, in un desolato panorama urbano contemporaneo.
In questo nuovo registro tutto assume un aspetto spigoloso, nel tentativo didascalico di voler comunicare una morale edificante allo spettatore.
Spettatore che rimane scioccato:
va a teatro per ascoltare il bel canto e della buona musica,
per vedere belle scene e gustare belle danze
ed invece si ritrova qualche pugno nello stomaco che il regista di tanto in tanto gli assesta: la droga è il male!
L’erotismo compulsivo porta all’abiezione! L’ossessione del lusso porta al degrado morale! In un crescendo drammatico che ci accompagna fino alla struggente tragedia finale.
Ci riesce bene, ma ci sembra che l’opera del maestro lucchese, se non snaturata, ne esca un tantino forzata.
Ma tant’è.
Dal punto di vista melodico lo spettacolo, nel complesso è stato gradevole.
Nonostante la recente affezione influenzale il soprano Nizza Amarilli ha regalato al pubblico una performance teatralmente apprezzabile.
Performance compenetrata in un canto fattosi generoso nel terzo e quarto atto.
Il tenore coreano Sung Kyu Park, seppure non possieda “le physique du rôle” del giovane prim’attore, interpreta il difficile personaggio di Des Grieux.
E lo interpreta con sufficiente diligenza cantando con compostezza misurata.
Il baritono Elia Fabbian interpreta un Lascaut convincente nella recitazione e gradevole nel canto.
Il veronese Romano Dal Zovo impersona un Geronte de Ravoir sobrio, da aristocratico elegante, con una canorità degna di nota.
Anche il personaggio di Edmondo ha trovato un ottimo interprete nel tenore Andrea Giovannini.
Bene anche il cast dei comprimari:
Alessia Nadin (un musico),
Giovanni Bellavia (oste – sergente degli arcieri),
Bruno Lazzaretti (lampionaio – maestro di ballo)
Alessandro Busi (Comandante di Marina).
- Orchestra della Fondazione diretta da Francesco Ivan Ciampa con passione ed entusiasmo, che talvolta sovrastava il canto, specie nei duetti.
- Lo splendido Intermezzo eseguito con molto pathos ed apprezzato dal pubblico in sala.
- Scenografie, coreografia e costumi in sintonia con la regia: trovate da luna park per le scene.
- Affollamento scenico in una piattaforma che restringeva lo spazio espressivo.
- Lancio di strisce multicolori da una balconata che sovrasta l’azione.
- Non se ne apprezzava la valenza allegorica. Forse avrebbero voluto sottolineare la drammaticità degli eventi?
- Prestazione sempre prestigiosa del Coro della Fondazione Arena, preparato e diretto dall’ottimo Vito Lombardi.
Nonostante le perplessità di regia, pubblico molto caloroso, con applausi a scena aperta (talvolta anche intempestivi).
Prolungata ovazione finale per tutti gli artisti più che gratificante.
Carmelo Toscano
vivicentro.it/SPETTACOLI
Fondazione Arena di Verona
Manon Lescaut – Manon Lescaut – Manon Lescaut
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