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Castellammare di Stabia

Ma Renzi vuole un ministro del tesoro europeo? EUGENIO SCALFARI*

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La proposta avanzata da Draghi sarebbe la novità-principe anche perché apre la strada a un’Europa federata e non più soltanto confederata.

span style="color: #252525; font-family: Arial, 'Helvetica Neue', Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; line-height: 23px;">ALCUNI amici che hanno letto 

la mia intervista di venerdì con la presidente della Camera, Laura Boldrini, si sono stupiti (positivamente) della fiducia da lei riposta nella politica monetaria di Mario Draghi e di molte previste ripercussioni che potrà avere sull’auspicabile rafforzamento dell’unità dell’Europa. Ho avuto modo di parlare telefonicamente l’altro ieri con Draghi, siamo vecchi amici e di tanto in tanto ci sentiamo. Anche lui aveva apprezzato le riflessioni della Boldrini sul significato della politica monetaria della Bce. Del resto, a questo punto della situazione in Europa e nel resto del mondo, anche Draghi non ne fa più mistero. E la situazione è questa: non c’è più tempo, se si vuole impedire che la crisi economica in corso ormai da otto anni, cui si è aggiunta da oltre un anno una drammatica caduta della domanda nei paesi emergenti, bisogna agire con immediatezza.

Ci sono almeno cinque aspetti da considerare. Il tasso demografico europeo è in netta diminuzione, particolarmente in Italia dove a metà del secolo in corso la “gens italica” sarà molto meno numerosa degli attuali 60 milioni di persone e più vecchia. La mobilità dei popoli da un continente all’altro: sembra un’emergenza dovuta alle guerre in corso e alla povertà insopportabile di alcune zone del mondo. Così sembra, ma non lo è, non passerà tra due o tre anni come molti sperano: è un movimento di interi popoli, che durerà a dir poco mezzo secolo e produrrà inevitabilmente un’integrazione di culture, di religioni e di sangue; un meticciato graduale ma inevitabile.

Un’economia mondiale che vedrà ridursi la domanda di beni manifatturieri ottenuta con l’uso di materie prime e di energie tradizionali. Al loro posto ci saranno beni e servizi prodotti con tecnologie specializzate e una diminuzione del lavoro materiale e dell’occupazione. Infine un aumento del tempo libero che sposterà le persone verso viaggi, turismo, cultura, processi di integrazione, ricerche scientifiche e applicazioni pratiche dei loro risultati.

Il quinto ed ultimo elemento riguarda il sistema finanziario che dovrà essere profondamente rivisto per adeguarsi ai predetti mutamenti e che già fin d’ora richiede un cambiamento di fondo dovuto alla mobilità dei capitali, alla dimensione delle imprese, all’andamento die mercati, alle garanzie dei depositi, alla creazione di monete internazionali che non si identifichino con quelle emesse e circolanti nei singoli Stati ma il cui valore abbia come base quello delle monete circolanti adeguatamente valutate. Questa riforma fu studiata dalla Commissione di Bretton Woods e sostenuta da Keynes, ma fu impedita dall’America che ravvisò nel dollaro la doppia funzione di moneta circolante e di punto di riferimento nei tassi di cambio di tutte le altre monete. Ma la società globale ormai in atto esige una appropriata riconsiderazione del “bancor” proposta più di settant’anni fa da Keynes. Questa, in sintesi, è la situazione in cui ci troviamo, le prospettive possibili e gli strumenti necessari a realizzarne gli obiettivi. Cioè la politica e i valori che debbono ispirarla. Difficilmente quei valori saranno dovunque gli stessi, la società globale proviene dalla comunicazione tra storie diverse, culture diverse e diverse condizioni di vita, di povertà, di benessere. Ma è globale nel senso delle comunicazioni e la libera e intensa comunicazione tende all’integrazione, anche dei valori. Un percorso che durerà secoli e configurerà il futuro.

Per quanto ci riguarda, i nostri valori sono, come ben sappiamo, tre: libertà, eguaglianza, fraternità. Non sono affatto realizzati, non dico nel mondo, ma neppure nell’Occidente che tuttavia ne ha fatto da oltre due secoli la sua bandiera. Saranno – dovrebbero essere – il nostro contributo alla società globale della quale facciamo parte.
***
Guardiamo ora più da vicino i fatti che sono in questi giorni accaduti. Non i fatti episodici, ma quelli che fanno parte del quadro evolutivo sopra accennato o lo contrastano. Avevamo cominciato con Draghi. A Francoforte, pochi giorni fa, ha parlato della politica della Bce da lui sostenuta e applicata ormai da un anno; ha enumerato i risultati raggiunti ma anche quelli finora mancati e delle nuove modalità che ne consentiranno la necessaria realizzazione. Le decisioni saranno prese dalla Bce in una riunione già prevista per il 10 marzo prossimo.Delle cause che hanno impedito il completo risultato desiderato, soprattutto per quanto riguarda il tasso di inflazione, abbiamo già riferito il pensiero di Draghi; ma la proposta essenziale e vorrei dire rivoluzionaria Draghi l’ha detta a Francoforte: ritiene indispensabile e quindi vuole la creazione d’un ministro del Tesoro unico, che sia l’interlocutore politico della Bce da lui guidata.

Non è la prima volta che Draghi ne segnala la necessità, ma per qualche tempo l’aveva accantonata. Ora l’ha ripresa con ancor più energia e urgenza di prima; per darle maggior forza ha specificato che dovrà essere ministro del Tesoro non di tutta la Ue ma soltanto dell’Eurozona; non rappresenterà dunque i 28 paesi membri ma soltanto i 19 che adottano la moneta comune. Il ministro del Tesoro può anche essere membro della Commissione di Bruxelles con questa specifica e territorialmente delineata funzione. È evidente che una novità del genere ha bisogno, per nascere, d’una cessione di sovranità di ciascuno dei 19 paesi in questione. A suo tempo il nostro ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, si disse favorevole alla proposta di Draghi. Renzi non ne parlò. Che cosa dicono ora? Padoan è sempre d’accordo? E Renzi? Per rinnovare e rafforzare l’Europa come Renzi dice motivando in questo modo i suoi dissensi con Bruxelles, questa del Tesoro unico sarebbe la novità- principe anche perché apre la strada ad un’Europa federata e non più soltanto confederata. Ecco il passo avanti che i sostenitori degli ideali del Manifesto di Ventotene chiedono a Renzi. Vorrà rispondere positivamente? Questo sì, gli darebbe un ruolo di altissimo livello. Isolato dagli altri 18 paesi dell’Eurozona? Forse sì, ma non necessariamente da tutti. Del resto, isolato lo è già.

Ma c’è un’ipotesi che mi permetto di formulare, può sembrare paradossale ma secondo me non lo è: forse non sarebbe ostacolato dalla Merkel. Tutti sappiamo che un’Europa federata si farà soltanto se la Germania si dichiarerà favorevole. È altrettanto chiaro che in un’Europa federata la Germania sarà la nazione di maggior rilievo, non per sempre ma certamente per un lungo periodo iniziale. È altrettanto chiaro – la storia d’Europa dell’ultimo secolo ce lo insegna – che la Francia ancora stregata dalla sua “grandeur”, sarà contraria. Ma tutti gli altri paesi non possono che aderirvi, magari non entusiasti ma rassegnati, perché, come da tempo sappiamo, in una società globale contano gli Stati con dimensioni continentali; gli altri non contano niente. Questa è la realtà e forse Angela Merkel è in grado di percepirla e di compiere il primo passo accettando la richiesta di Draghi del ministro del Tesoro unico dell’Eurozona; richiesta motivata essenzialmente da ragioni economiche.

Lo status di Renzi, se si muovesse per primo su questo terreno, gli aprirebbe una vera e propria autostrada per quanto riguarda il suo ruolo futuro in Europa. Futuro ma anche attuale perché il suo principale interlocutore sulla politica economica sarebbe quel ministro del Tesoro, prima della Commissione. I democratici renziani ma anche ed anzi soprattutto i dem dissidenti, dovrebbero premere compattamente su questa strada come dovrebbe anche avvenire sulla legge per le unioni civili. Un Renzi laico ed europeista vincerà a mani basse il referendum. Ma se così non sarà, se continuerà ad essere contro l’Europa e con sulle spalle una riforma costituzionale che a molti non piace affatto, allora non è sicuro che il referendum confermativo passerà a larga maggioranza; potrebbe arrivare un testa a testa con esiti imprevedibili. Noi speriamo che se la cavi, alle condizioni sopra indicate perché quello è l’interesse del paese. Diversamente non speriamo niente.

Anzi: da laici non credenti (personalmente parlando) indichiamo in papa Francesco un simbolo che rappresenta più e meglio di ogni altro l’epoca globale in cui viviamo. Incontrerà tra pochi giorni a Cuba il Patriarca degli ortodossi di Russia per un futuro avvicinamento che probabilmente finirà con un sostanziale affratellamento tra quelle due Chiese cristiane. Poi visiterà il Messico, i poveri, i carcerati. Poi ci sarà un’altra riunione cui parteciperà anche il Patriarca ortodosso Bartolomeo che rappresenta gli ortodossi del Medio Oriente dalla sua sede di Costantinopoli. Infine, a fine ottobre, Francesco incontrerà in Svezia i rappresentanti di tutte le Chiese luterane sparse nel mondo a cinquecento anni di distanza dalla riforma di Martin Lutero, puntando da entrambe le parti a superare le differenze riconoscendosi fedeli in Cristo. E noi balbettiamo sull’unità dell’Europa? E non smettiamo di riaffermare la nostra isolata autonomia? Ognuno per sé e Dio per tutti? Il vero slogan dovrebbe essere: poiché Dio è spiritualmente per tutti anche noi politicamente lo siamo.

*larepubblica

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