U
no dei celebri aforismi di Totò recita: “Quando hai a che fare con una persona che si crede superiore agli altri e ne è fermamente convinta, ridici sopra e assecondala perché non è bello rovinare i sogni di un idiota”, ed è probabilmente a questo che si attengono i leader politici quando si affannano a negare che, anche da noi come a Berlino, dopo le elezioni potrebbe profilarsi la necessità di dover ricorrere a una Grosse Koalition, cosa più che chiara se si guarda ad occhi aperti alla realtà di un Parlamento che si annuncia super frammentato. Ed evidentemente, è sempre per non turbare i sogni dei loro elettori, che ammanniscono anche promesse e programmi che mai potranno essere mantenute e realizzati. Un esempio sui tanti possibili, è il programma su trasporti e mobilità del M5s, pieno di proclami su ambiente, sviluppo dei treni, liberalizzazione dei servizi ma privo di qualsiasi dato economico.
Per rendercene conto proviamo a seguire l’analisi che fa, su la voce.info, Marco Ponti che, esaminando proprio il Programma M5s, scrive:
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Programma M5s: la rivoluzione liberale può attendere
Che cosa dice sui trasporti il programma elettorale del M5s? Prioritari sono i problemi ambientali, che si pensa di alleviare con il passaggio da strada a ferrovia. Ma è una strategia costosa e poco efficace. È poi discutibile la posizione sulle gare.
Ambiente prima di tutto
Nel programma per i trasporti e la mobilità del Movimento 5 stelle (che, nella sua versione completa, dovrebbe uscire a breve sul sito) sembra mancare ogni dato economico, non c’è nemmeno nella forma di un quadro di riferimento per il settore: questo fatto ne rende complessa l’interpretazione.
L’obiettivo dominante è sicuramente quello ambientale. Ma in ogni caso la dimensione economica rimane centrale, per il problema dei “costi di abbattimento”.
Se si ignora quanto costa alla collettività ridurre di una unità un qualsiasi “costo esterno”, il rischio di inefficienza è molto alto. A risorse date, “abbattere” dove costa di più significa abbattere meno di quanto possibile.
Per l’ambiente, il programma punta poi al cambio modale (per esempio, da strada a ferrovia). Tuttavia, questa strategia, oltre che costosa, appare assai poco efficace, come 40 anni di tasse sulla strada e di sussidi al trasporto pubblico dimostrano.
Un esempio illuminante: se si raddoppiasse il trasporto merci in ferrovia (risultato improbabile e costoso anche per la perdita di entrate fiscali) si risparmierebbe meno dell’1 per cento delle emissioni totali di CO2.
Inoltre, un veicolo stradale di oggi inquina un decimo di uno di 20 anni fa e uccide un terzo di meno, per il progresso tecnico. La tendenza accelererà grazie agli investimenti industriali in corso all’estero, che porteranno anche alla guida automatica. Puntare molte risorse pubbliche sulle ferrovie, tecnologia “matura” e che genera per euro speso scarsa occupazione, è una politica industriale difficile da difendere. Aggiungiamo alcuni altri fatti: nonostante i sussidi, e le tasse sul modo stradale, le ferrovie trasportano circa il 10 per cento in quantità, ma solo il 2 per cento del fatturato del settore. I pendolari che usano la ferrovia sono il 5 per cento del totale. La ferrovia non può infatti essere capillare, per ovvie ragioni tecnologiche.
Il testo del programma M5s afferma poi: “lo stato sussidia i modi più inquinanti”. I fatti sembrano affermare il contrario: sussidiamo con 14 miliardi all’anno le ferrovie, con 7 i trasporti pubblici, abbiamo le tariffe dei trasporti pubblici più basse d’Europa, mentre il trasporto stradale, tra i più tassati del mondo, rende allo stato circa 40 miliardi netti all’anno (nonostante gli sconti ai camion). Sulla base del principio ambientalista “chi inquina paga”, siamo tra le nazioni più virtuose del mondo, come confermano autorevoli ricerche internazionali sul tema, dell’Ocse come dell’Fmi.
Le attività molto inquinanti che sussidiamo non riguardano i trasporti, sono altre, per esempio l’agricoltura.
Dov’è la rivoluzione liberale?
Sulle infrastrutture, il programma afferma che con M5s al governo saranno fatte rigorose analisi costi-benefici. Certo, la gran parte delle maggiori opere, soprattutto ferroviarie, non supererebbero il test. Anche il ministro uscente aveva promesso le analisi, ma non ne ha prodotta alcuna. Il problema è (e qui bisogna riferirsi alle esperienze internazionali, data l’assenza di riferimenti nazionali) che le ferrovie fanno fatica a superare il test, anche perché i benefici ambientali sono reali, ma modesti. Non si può usare un metodo di scelta rigoroso solo quando i risultati piacciono.
Quanto alla funzione sociale del trasporto pubblico, le categorie più povere sulle lunghe distanze viaggiano in bus, tassati invece che sussidiati, e i pochi pendolari in treno sono quasi tutti impiegati e studenti. Gli operai, gli artigiani e le categorie a più basso reddito, che non lavorano nelle aree centrali e risiedono in luoghi a bassa densità per ridurre i costi della casa, non possono essere serviti se non in minima parte dal trasporto pubblico (i mezzi sarebbero semivuoti, con costi pubblici insostenibili): con le loro tasse sulla benzina sussidiano chi lavora e studia nelle aree centrali, le uniche ben servibili.
Le gare hanno funzionato in tutta Europa. La privatizzazione non è un tema pertinente. La socialità dei servizi rimane controllata dagli enti locali nei bandi: tariffe, rete, fermate, pulizia. Se un’impresa (privata o pubblica) vince la gara e si “comporta male”, difficilmente rivincerà al turno successivo. Poi per aggiudicarsi il bando occorre che abbia chiesto meno sussidi di altre. Con quelle risorse, si possono abbassare le tariffe o garantire più servizi. Non fare le gare è contro la socialità dei servizi.
In Italia gli enti locali (ma anche lo stato centrale) da anni non favoriscono le gare, per ragioni di consenso verso dipendenti e fornitori, che amano entrambi il monopolio.
Infine, un tema centrale di politica dei trasporti che il programma M5s non tocca è la fusione di Anas con Fsi, che è un quasi-monopolio tutto pubblico. Il nuovo soggetto si sta espandendo nei servizi urbani, nei bus di lunga distanza e nelle ferrovie concesse, così diventerà sempre meno contendibile. Occorre forse fare l’opposto: “unbundling” per ridurne il potere politico (“clout”), già oggi altissimo, dividendo l’infrastruttura (che è un “monopolio naturale”) dai servizi di trasporto.
vivicentro.it/POLITICA – OPINIONI
vivicentro/Gli M5S fanno tesoro degli aforismi di Totò
lavoce.info/Programma M5s: la rivoluzione liberale può attendere (Marco Ponti)
*Marco Ponti insegna economia dei trasporti, prima a Venezia e da tre anni al Politecnico di Milano. Ha svolto attività di consulenza per la Banca Mondiale, il ministero dei trasporti, le Ferrovie dello Stato e del ministero del Tesoro occupandosi di regolazione del settore aereo e autostradale. Ha partecipato come esperto al primo e al secondo Piano Generale dei Trasporti. Svolge attività di ricerca nell’ambito dei modelli trasporti-territorio, di analisi di fattibilità economica e finanziaria dei progetti (versioni avanzate dell’analisi costi-benefici), regolazione economica e liberalizzazione del settore (tecniche di gara, regole di accesso alle infrastrutture ecc.) e di “public choice”.
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