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Castellammare di Stabia

L’utopia della nuova lira

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Nel dibattito politico torna a circolare l’ipotesi di una “nuova lira” da affiancare all’euro. Marco Zatterin spiega perché questa suggestione è priva di fondamenti economici. Tra tassi di cambio, imposte, stipendi e spesa corrente, la nuova moneta (che ricorderebbe la “Am lira” introdotta dagli americani nel 1943) non potrebbe che «alimentare bancarotta, inflazione e crisi».

La nuova lira della politica ferma al ’43

Nella confusione del dibattito politico è rispuntata la lira. La «nuova lira». Quella che alcuni programmi non scritti immaginano come strumento parallelo all’euro in grado di risollevare parecchi problemi del Paese, un portento salvifico – si assicura – «come la “Am lira”», introdotta dagli americani liberatori nel 1943. A parte l’idea, che qualcuno parecchio euroscettico potrà anche trovare suggestiva, la proposta non ha per ora una fisionomia precisa e la possibilità che ne trovi una viene pesata con scetticismo. Non si vede come si possa fare. E come, se fatta, potrebbe non alimentare bancarotta, inflazione e crisi.

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nzitutto la Am lira non fu salvifica e neanche tanto parallela, in quanto versione alternativa della regia moneta emessa dai nazifascisti. Gli americani la adottarono dopo lo sbarco in Sicilia e presero a stamparla senza troppe cautele. Ne sfornarono 917,7 milioni di pezzi per un controvalore di 167 miliardi. Le «nuove vecchie lire» cominciarono così a risalire la penisola con gli alleati, gonfiando i prezzi, foraggiando il mercato nero e contribuendo all’impoverimento di un Paese distrutto dalla guerra.

Non c’era una politica monetaria seria che sovrintendesse l’opera delle due zecche e i cittadini liberati avevano altro a cui pensare, per cui l’Am lira non generò stabilità nemmeno a ostilità finite. L’aumento dei prezzi fu del 62% nel 1947, anno in cui la Banca d’Italia repubblicana di Einaudi e Menichella avviò l’eliminazione di questa reliquia tossica del conflitto. Inevitabile, perché l’Italia non aveva due monete, ma una due volte.

Questo il passato. Una moneta che oggi vivesse in condominio con l’euro, e per forza di cose nella sua ombra, avrebbe buone chance di generare problematiche analoghe a quelle della «Am lira», se non peggio. Perché la sola eccentrica idea di una «nuova lira» parallela all’euro, oltre a essere incompatibile con i Trattati Ue, genera una ricca messe di domande da brivido.

Come concepirla, per cominciare? La si può introdurre a forza. O si può immaginare di uscire dall’Unione, coniare la nuova lira e chiedere agli ex partner di usare un po’ di euro. Ma perché dovrebbero? E perché dovremmo?

Se fosse fisso, il tasso di cambio della rinata lira costringerebbe la «nuova» Bankitalia a inseguire l’euro, una moneta forte e credibile, impresa di svenamento brutale e improduttivo. Se lasciata fluttuare, la «nuova lira» porterebbe un sistema di serie A (l’Eurozona) e uno di serie B (l’Italia). Avremmo insomma due unità per i pagamenti, con la certezza che nessuno vorrebbe la seconda se non costretto. Potrebbe essere imposta dallo Stato per alcuni tipi di pagamento? Potrebbe succedere che la pubblica amministrazione decida di pagare stipendi e fornitori solo in lire? E che fare col debito mostruoso?

Qui l’intreccio s’aggrava. Il debito internazionale dovrebbe restare in euro con costi elevati per scongiurare un crac. Se convertito in «nuova lire» proporrebbe tassi impraticabili e, stima un economista, «il default della Repubblica sarebbe immediato». Per banche e finanziarie sarebbe una scoppola micidiale.

Ammesso e non concesso che la «nuova» formula sia applicata, la doppia circolazione forzerebbe i cittadini ad avere due conti in banca (con doppie spese) a cambiare anche solo per andare a bere un Pernod a Mentone da Ventimiglia, accettando commissioni che l’euro ha cancellato.

Qualcuno suggerisce che il vero vantaggio sarebbe la svalutazione competitiva. Ma l’attivo della bilancia commerciale favorito dalla parte più competitiva dell’Azienda Italia dimostra che non è proprio una esigenza urgentissima. Per contro, volerebbe il costo delle importazioni. Dovremmo continuare a pagare in euro (o in dollari) petrolio, telefonini, computer, sneakers, borse francesi, moto e auto straniere, merluzzo, canzoni di iTunes. La «nuova» valuta potrebbe magari tornare utile per pomodori e arance, a patto che non siano marocchine e sempre che i coltivatori – che se usciti dall’Ue non avrebbero più i miliardi di Bruxelles – si persuadano a trattare con chi non li paga in euro.

Se la regola è che non bisogna mai chiudere le porte all’innovazione politica, sarà bene attendere il piano concreto per la «nuova lira». Semmai ci sarà, visto che vanno di moda gli slogan senza contenuto. Nell’attesa vale la pena di ricordare ai promotori del progetto – tutti nemici storici del comunismo – che a Cuba, dove vige da sempre una tripla circolazione tollerata fra peso ordinario, peso convertibile e dollaro, nessun vero attore del mercato offrirebbe ai turisti le sue merci più preziose in moneta locale: siano esse una scatola di sigari, una corsa in taxi o una qualche esperienza più peccaminosa.

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lastampa/La nuova lira della politica ferma al ’43 MARCO ZATTERIN

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