Dopo aver ascoltato papa Francesco, come potranno i vertici delle istituzioni europee proseguire nella loro inconcludente politica della migrazione? O le parole del Pontefice saranno presto archiviate come una edificante «predica della domenica»?
C
erto, Bergoglio non è entrato in dettagli immediatamente operativi e strategici, ma ha allargato il discorso della migrazione all’interno di una visione, anzi di un «sogno» (come ha insistentemente ripetuto) di una identità europea che da sempre è stata dinamica e multiculturale.
«Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano».
Ma in un passaggio molto esplicito troviamo l’invito «a non accontentarsi di ritocchi cosmetici o di compromessi tortuosi per correggere qualche trattato, ma a porre coraggiosamente basi nuove, fortemente radicate». Si tratta di un invito a rifondare l’Europa letteralmente, secondo lo spirito dei padri fondatori – andando ben oltre i ritocchi ai trattati di Dublino o allo schema Schengen su cui si sta faticosamente lavorando con esiti dubbi.
L’azzardata minaccia di Vienna (non tempestivamente scoraggiata da Berlino) di restaurare il confine al Brennero, ha suscitato le proteste contro i nuovi «muri», provocando in molti un soprassalto di spirito europeistico. In compenso però è venuto alla luce il problema dei «confini» interni ed esterni dell’Unione cui non si era mai prestato sufficiente attenzione.
In questo contesto alcuni passaggi del discorso del Papa dovrebbero aver trovato consenso presso i leader europei presenti in Vaticano, a cominciare dalla cancelliera Angela Merkel. Ma se si va oltre le immagini dei «muri» e dei «ponti» e si prende sul serio le intenzioni ultime del discorso di Bergoglio, è legittimo chiedersi se la cancelliera tedesca possa mantenere immutate le sue note posizioni. Le posizioni che sono emerse ancora l’altro ieri nell’incontro con Matteo Renzi. Quando Frau Merkel ribadisce il suo no ad ogni forma di eurobond, non importa quale sia la sua finalità specifica (compresa quella che riguarda il problema della migrazione) e quando dichiara impraticabile il Migration Compact per aiutare gli Stati di provenienza dei migranti, perché assorbirebbe troppe risorse europee, eccetera, va in direzione opposta agli auspici di Bergoglio.
Prendo qui in considerazione Frau Merkel perché, superata la grave crisi interna ed esterna legata alla sua politica di accoglienza dell’estate/autunno 2015, e imponendo di fatto all’Unione il problematico accordo con la Turchia, ha riguadagnato forza al proprio interno e ridato alla Germania il ruolo di potenza condizionante in Europa. Per quanto riguarda Bruxelles invece, con tutto il rispetto per gli Juncker e gli Schulz, la loro capacità di azione e di convincimento è modesta. In modo inatteso sono i governanti della Polonia, dell’Ungheria e dell’Austria che hanno acquistato un potere di intimidazione in Europa.
Dietro ad essi ci sono i movimenti xenofobi, che chiamiamo populisti, che attirano simpatie in molti strati sociali. Sono loro il vero pericolo per l’Europa. Non mi pare che il Pontefice abbia fatto considerazioni critiche ad hoc, soprattutto nei riguardi di quei gruppi che affermano di voler salvaguardare identità, culture e tradizioni cristiane minacciate dai migranti. Non è un mistero che ci sono anche uomini di chiesa che condividono questo atteggiamento. Il Pontefice ha preferito fare un discorso tutto in positivo, ma nella realtà quotidiana e nel discorso pubblico il problema è molto sentito e dibattuto tra la gente. Per questo una qualche sua puntuale osservazione sarebbe stata molto utile.
Non ci rimane così che la speranza di «un’Europa giovane, capace di essere ancora madre. Un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo». Un sogno.
vivicentro.it-editoriale / lastampa / L’Unionesia all’altezza di Bergoglio GIAN ENRICO RUSCONI
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