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’Ue – scrive Lorenzo Vidino – deve affrontare con urgenza le tensioni tra Ankara e le cancellerie dei vari Paesi europei, «culmine di un progressivo deterioramento dei rapporti iniziato almeno dieci anni fa» a causa della scelta di Erdogan di creare delle proprie reti di sostenitori nelle comunità di emigrati nel Vecchio Continente.
La rete di Erdogan nell’Ue
Da una parte è chiaro che Erdogan stia strumentalmente utilizzando le tensioni con l’Europa per ottenere il proprio obiettivo principale, la vittoria al referendum costituzionale che gli consentirebbe di acquisire poteri pressoché assoluti. Il presidente turco è più che disposto a creare danni anche permanenti alle relazioni con l’Europa, che comunque tiene in scacco con la minaccia di riaprire il flusso di migranti, per scatenare e sfruttare alle urne un’ondata di orgoglio nazionalista in patria e nell’enorme diaspora turca in Europa.
Se queste dinamiche sono chiare, forse lo sono meno i motivi per cui tutti i Paesi europei che ospitano una significativa popolazione di origine turca hanno adottato posizioni intransigenti contro il regime di Ankara. Siano essi di destra o di sinistra, i governi di Germania, Austria, Olanda, Belgio, Danimarca, Francia e Svizzera hanno infatti assistito negli ultimi dieci anni ad una serie di dichiarazioni e azioni volte ad influenzare le locali comunità turche, quelle che erano state considerate inizialmente indebite ingerenze oggi sono viste come vere e proprie azioni sovversive ed illegali.
Le prime tensioni sorsero circa dieci anni fa, quando Ankara cominciò a mutare l’orientamento della Diyanet, l’agenzia di Stato che fornisce servizi religiosi alle comunità turche della diaspora. Per decenni i governi europei avevano stretto forti legami con la Diyanet, che era vista come un’alternativa moderata e laica ad organizzazioni islamiste turche quali Milli Görüs, che in Germania è schedata come estremista. Quando però Ankara cominciò ad assumere alla Diyanet imam dalle visioni islamiste, in certi casi provenienti dall’ex arci-nemico Milli Görüs, e a stampare libri i cui contenuti non esprimevano più il tipo di islam dello stato kemalista ma avevano toni intolleranti e antisemitici, i governi europei cominciarono a riconsiderare gli accordi che permettevano agli imam della Diyanet di insegnare nelle scuole, essere accreditati nelle moschee o predicare nelle carceri.
Anche la retorica di Erdogan e dei suoi ministri, in particolare quella espressa nelle frequenti campagne elettorali condotte negli ultimi anni su e giù per l’Europa, ha contribuito ad intensificare le tensioni. Se le recenti accuse di nazismo contro Germania e Olanda rappresentano l’apoteosi, già in passato il regime di Ankara aveva lanciato accuse dai forti toni populisti contro Paesi europei, tacciandoli di islamofobia, neo-colonialismo e costanti violazioni dei diritti umani. Nel fare ciò aveva esortato la diaspora turca, ormai composta in larga parte da seconde e terze generazioni nate e cresciute in Europa, a sentirsi parte di una neo-ottomana Grande Turchia, e così cozzando con i tentativi di integrazione dei vari governi europei.
Questo tipo di messaggio non viene solo dai leader dell’Akp, ma è propagato da un network di influenza turco che negli ultimi anni ha visto crescere il proprio budget in maniera esponenziale. Organizzazioni islamiche turche, siano esse di Stato come la Diyanet o (teoricamente) indipendenti come Milli Görüs, hanno moltiplicato le proprie attività, operando congiuntamente con il duplice obiettivo di supportare l’Akp e di disseminare un’interpretazione dell’islam ortodossa e politicizzata. In molti casi soldi turchi sono andati a finanziare, vista l’affinità ideologica, anche organizzazioni musulmane europee tradizionalmente legate Fratelli musulmani (il cui baricentro, dopo la fine del governo di Mohamed Morsi, si è spostato in toto a Istanbul).
La situazione è completamente degenerata negli ultimi mesi, in seguito al fallito colpo di Stato dello scorso luglio. Da allora alle purghe e agli arresti di massa in Turchia sono corrisposte azioni di vero e proprio spionaggio contro sospetti «nemici dello Stato» in territorio europeo. In Austria il deputato verde Peter Pilz ha presentato un dossier, basato su documenti interni delle sedi diplomatiche turche a Vienna e Salisburgo, che dimostra come le moschee del network turco siano state usate per un’attività di dossieraggio su esponenti del movimento Gulen, accusato da Erdogan di aver orchestrato il colpo di Stato. Simili sospetti esistono in altri Paesi europei.
Appare quindi chiaro che le tensioni di questi giorni non siano solo dettate da opportunismi politici decretati dalle rispettive campagne elettorali, ma hanno delle radici ben più profonde che l’Europa deve affrontare urgentemente, ancor di più in caso di vittoria di Erdogan al referendum.
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