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Il Louvre del Golfo

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d Abu Dhabi inaugura il Louvre del Golfo, il grande museo di arte realizzato in collaborazione con i francesi. Rocco Moliterni ci è stato e ce lo racconta in anteprima. Jean Nouvel, l’architetto che l’ha progettato: “Ho pensato a un’agorà, un luogo dove le culture si incontrano, ma anche a una medina”.

Il Louvre del Golfo racconta il cammino dell’arte nel mondo

S’inaugura ad Abu Dhabi il grande museo realizzato in collaborazione con i francesi

ABU DHABI – A vederlo appena arrivi, dalla strada che corre lungo il mare il Louvre di Abu Dhabi, sembra una sorta di immensa palafitta che si staglia sull’acqua, con un tetto grigio e le pareti di un bianco abbacinante. All’interno la struttura ideata da Jean Nouvel si trasforma in una medina, una cittadella araba dove gli edifici (l’auditorium, lo spazio per le mostre temporanee, i padiglioni della collezione permanente, il ristorante, il museo per i bambini) si inseguono e si incastrano uno nell’altro, aprendo qua e là spazi o piazzette segrete dove scopri fontane o prospettive verso il mare.

Al centro una grande piazza sovrastata da un tetto le cui geometrie ricordano l’intrecciarsi di foglie di palma. «Ho pensato – spiega l’archistar d’Oltralpe – a un’agorà, un luogo dove le persone e le culture si incontrano, ma anche a una medina, perché credo che il mio compito fosse tradurre in questa struttura la cultura del luogo. Mi sembrava importante poi che il tutto avesse una dimensione spirituale, e che le persone potessero vivere in modo gradevole la loro esperienza di visita».

Jean Nouvel è stato il protagonista della presentazione ufficiale (l’apertura al pubblico sarà sabato) del nuovo museo, che vede la luce dopo non pochi rinvii: l’accordo per realizzarlo (il costo si aggira su un miliardo di euro) tra gli Emirati Arabi Uniti e la Francia è del 2007, la costruzione e stata avviata nel 2013 e l’inaugurazione avrebbe dovuto avvenire a dicembre del 2015. Il clima tra mondo arabo e Francia era dieci anni fa molto diverso, il terrorismo islamista non aveva ancora colpito in modo così traumatico, per cui ieri tanto Mohamed al Mubarak, ministro della cultura degli Emirati, quanto Manuel Rabaté, direttore del Louvre Abu Dhabi, quanto Jean Luc Martinez, presidente del Louvre di Parigi ci hanno tenuto a sottolineare che la nuova creatura rappresenta una sfida al fanatismo e che il modo migliore per combatterlo può essere proprio quel dialogo tra le culture, di cui il museo vuol essere espressione.

Per realizzarlo nacque dieci anni fa in Francia un’apposita struttura che coinvolge 13 musei e istituzioni d’Oltralpe, per cui non c’è da stupirsi se nel percorso espositivo trovi preziose opere (statuette cinesi o indiane) del Quai du Branly o del Musée d’Orsay che si priva temporaneamente addirittura di una delle sue icone, il Pifferaio di Manet, oltre che di un celebre autoritratto di Van Gogh.

Sebbene il nuovo museo abbia già acquisito molte opere per la sua collezione, la parte del leone la fanno i prestiti del Louvre, che quasi simbolicamente cede alla neonata costola araba il celebre ritratto di Dama di Leonardo, che in Francia chiamano la Belle Ferronnière e che si candida ad essere la Gioconda di Abu Dhabi. La struttura ospiterà quattro mostre temporanee l’anno, la prima si aprirà a dicembre, ma gia il percorso «permanente» giustifica ampiamente la visita. È scandito in dodici tappe che ambiscono a ripercorrere attraverso l’arte, ovviamente non solo (anche se a conti fatti si direbbe soprattutto) occidentale, l’evoluzione della civiltà nelle varie aree geografiche del pianeta.

Si parte con le statuette che rappresentano la maternità o i primi uomini in preghiera in Africa come in Cina, si prosegue con i primi villaggi per passare poi ai primi grandi imperi, dai faraoni (notevole la statua di Ramsete II) ai romani, passando per i persiani. Ci si confronta poi con le religioni universali, ed è molto bella, nella sua penombra la sala dove si susseguono antichissimi esemplari di sacri testi: Torah, Bibbia e Corano.

Ci sono le rotte che portano verso l’India e quelle che riportano in Europa, così le statue indù occhieggiano a una splendida Madonna con Bambino di Bellini. Antiche mappe, astrolabi arabi e paraventi giapponesi costellano la sala della Cosmografia. Si arriva quindi alle prospettive del mondo nel ’500 (qui la Dama di Leonardo e l’Apollo Belvedere di Primaticcio, oltre a statue cinesi e iscrizioni arabe). Lo splendore delle corti ai quattro angoli della terra e rappresentato da testimonianze del XVII secolo che comprendono tra l’altro bronzi africani, elmetti ottomani e il monumentale gruppo statuario dei Cavalli del sole di Gilles Guerin. Incombono le rivoluzioni americane e francesi, incombe Napoleone che David ritrae a cavallo nel celeberrimo dipinto.

Poi arriva l’età moderna che per l’Occidente è stata narrata soprattutto dagli impressionisti e dalla fotografia. La lunga cavalcata si conclude dopo aver occhieggiato all’arte contemporanea (tra le altre ci sono la Sedia Elettrica di Warhol, alcuni Rothko e un Mondrian, oltre a Calder) con la galleria della globalizzazione, dove campeggiano l’Albero di famiglia di Zhng Huan, la Fontana di luce di Ai Wei Wei, un’opera dei nativi australiani e last but non least Cibo per il pensiero, un’installazione costruita con grandi pentole dell’artista araba Maha Malluh.

Da non dimenticare che ad accogliere i visitatori nella grande agorà sono due opere di Giuseppe Penone (l’albero in realtà si perde sotto il tetto, più azzeccato il disegno in porcellana Germinazione), l’Homme qui marche di Rodin, e un’installazione di Jenny Holzer che riproduce in scala gigantesca alcune tavolette di 4000 anni fa ritrovate in Mesopotamia, prima testimonianza di dialogo tra la cultura sumera e quella accadiana. La prima sala che conduce alla biglietteria vede invece sei grandi tele di Cy Twombly.

Uscendo si prova un po’ di sgomento se si pensa a quella fotografia in bianco e nero mostrata da Jean Nouvel in conferenza stampa: vi si vedeva solo una striscia di mare e una spiaggia, ossia com’era dieci anni fa il luogo dove oggi sorge il sontuoso Louvre. Peraltro è solo il primo tassello di un più grande distretto culturale che vedrà tra l’altro nascere il nuovo Guggenheim firmato da Gehry, e interventi di Zaha Hadid e Norman Foster.

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lastampa/Il Louvre del Golfo racconta il cammino dell’arte nel mondo ROCCO MOLITERNI

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