Cinque i tipi di patologie per le quali i medici potranno ricorrere al farmaco. La ricetta permette di accedere alla terapia senza spendere solo in ospedale. Le cure (con molte restrizioni) a domicilio sono a pagamento.
span style="color: #252525; font-family: Arial, 'Helvetica Neue', Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; line-height: 23px;">Via libera in Lombardia alla cannabis terapeutica. L’indicazione è contenuta nelle Regole di sistema, l’insieme delle norme varate dalla Regione per governare la sanità lombarda nel 2016. Nel provvedimento, il Pirellone recepisce un decreto del ministero della Salute del 2015, con il quale vengono individuati cinque tipi di patologie per le quali i farmaci con i principi attivi della marijuana potranno essere usati dai medici. Senza che i pazienti paghino nulla, ma con “indicazioni rimborsabili a carico del Ssr”, ovvero, il servizio sanitario regionale.
A beneficiarne, secondo gli esperti di terapia del dolore, dovrebbe essere un migliaio di pazienti, sugli oltre 80mila che in Lombardia soffrono di dolore cronico. La decisione mette al passo il Pirellone con altre dieci regioni italiane – tra le quali Emilia Romagna e Toscana, Liguria e Veneto, Sicilia e Abruzzo – che sulla materia non solo si sono già attivate da mesi ma hanno anche emanato leggi regionali ad hoc. “Una cosa che qui invece ancora manca: bisogna fare presto – dice la democratica Sara Valmaggi, vice presidente del Consiglio regionale – Bene che nelle regole per il 2016 ci siano le prime indicazioni, ma non basta: occorre una norma precisa”.
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L’argomento è già stato affrontato dal parlamentino di via Fabio Filzi ad agosto. Quando, nell’ambito della discussione della riforma della sanità, è stato approvato un ordine del giorno dei Cinque stelle che chiedeva proprio l’introduzione della cannabis terapeutica negli ospedali. A votare no furono 13 consiglieri di maggioranza, a esprimersi a favore in 53. Tra questi, anche tutti i rappresentanti del Carroccio e, in primis, lo stesso governatore Roberto Maroni. Sul tema, i Radicali e i Giovani democratici hanno anche avviato una raccolta firme, per una legge regionale d’iniziativa popolare: “Siamo vicini all’obiettivo delle 5mila firme – spiega il radicale Marco Cappato, che è anche tesoriere dell’associazione Luca Coscioni – Chiediamo il pieno riconoscimento di questa terapia dal servizio sanitario regionale, senza restrizioni”.
Le cure a base di cannabis saranno permesse per le patologie che comportano sia dolore sia spasmi, come la sclerosi multipla e le lesioni del midollo spinale. E poi per l’anoressia, le malattie che causano dolore cronico, la sindrome di Tourette (che comporta movimenti involontari). Infine, per i pazienti sottoposti a chemioterapia, radioterapie e terapie per l’Hiv, e non riescono più a combatterne gli effetti collaterali con i farmaci tradizionali. Il nuovo corso inizierà “a partire dalla data di disponibilità del prodotto da parte del ministero della Salute alle Regioni”, si legge nel documento approvato dalla giunta Maroni a fine anno. Ovvero, non appena arriverà il primo carico di marijuana prodotto dal ministero.
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Già, perché il decreto di Roma ha stabilito che la cannabis ad uso terapeutico non venga più importata dall’estero (in Europa uno dei maggiori coltivatori è l’Olanda). Ma sia prodotta a Firenze: il progetto pilota, partito la scorsa primavera, prevede la coltivazione di 100 chili di marijuana da parte dell’Istituto farmaceutico militare. Il primo raccolto dovrebbe essere pronto a breve: un fatto, questo, che permetterà di abbassare i prezzi (finora molto alti), e far partire la rimborsabilità.
In Lombardia, al momento, la ricetta del medico (una prescrizione particolare, priva del nome del paziente, sostituito da un codice per garantirne la privacy) permetterà di accedere alla terapia solo in ospedale senza pagare. Le cure somministrate (con molte restrizioni) a domicilio, invece, resteranno a pagamento.
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