Un plotone, al comando del ten. Enrico Mollo, aspettando la controffensiva, svolge, in territorio occupato, servizio d’istituto occulto in favore dei coloni italiani.
Negli ultimi anni ’40 era in voga una canzone il cui ritornello, molto orecchiabile, diceva: “avanti e indrè, avanti e indrè, che bel divertimento”. Nessun riferimento alle vicende belliche che si svolgono, fra il ‘40 ed il ’43, in Africa Settentrionale, tra offensive, ritirate e controffensive.
L
a prima fase della guerra in Libia, iniziata con l’avanzata italiana nel settembre 1940, si conclude il 7 febbraio 1941 con la perdita della Cirenaica e col disfacimento dell’Armata di Graziani (oltre 130.000 prigionieri, fra i quali 23 generali). Con la resa degli ultimi Reparti a Beda Fomm, solo 7.000 soldati nazionali e 1.300 libici si mettono in salvo dietro l’ultima linea di difesa di El Agheila, al confine della Tripolitania. È là che si ferma l’Operazione Compass che gli Inglesi hanno sferrato in novembre per ricacciare le truppe italiane insediatesi a Sidi El Barrani in territorio egiziano.
Il 12 febbraio 1941, il giorno dopo il rientro in Italia di Graziani, mentre è in corso la grande ritirata italiana, giunge a Tripoli il gen. tedesco Erwin Rommel, mitico personaggio che sarà denominato “la volpe del deserto”, che, al comando dell’Afrika Korps, assumerà, di fatto, il comando delle operazioni, quasi ignorando la presenza del comandante in capo italiano, gen. Bastico. È la fine della guerra parallela che Mussolini intendeva condurre in chiave esclusivamente “italiana”.
Rommel sferra una controffensiva il 24 marzo 1941 che si concluderà a fine aprile con assestamento della linea, oltre il confine egiziano, sulla direttrice Buq Buq-Sofafi.
Il 18 novembre 1941 nuova offensiva britannica (Operazione Crusader): le truppe dell’Asse sono costrette alla seconda ritirata dalla Cirenaica che si concluderà, il 6 gennaio 1942 ad El Agheila, il punto più a sud del golfo della Sirte. La sola Divisione Savona, asserragliata a Sollum, resisterà fino al 16 gennaio arrendendosi “per fame” a causa dell’impossibilità di essere rifornita.
La ritirata impone la necessità di garantire un ripiegamento controllato per porre in salvo le nostre truppe, per lo più appiedate, che ripiegano verso la Tripolitania. Il piano prevede l’esigenza di una resistenza che blocchi, per un’intera giornata, l’avanzata britannica difendendo le direttrici di marcia a sud della “Balbia”, la strada costiera che ha preso il nome dal suo ideatore, il Governatore Italo Balbo. Nel punto più delicato dello scacchiere, il bivio di Eluet El Asel, a sud del Gebel cirenaico, il gen. Rommel richiede, specificamente, l’impiego del Battaglione Carabinieri Paracadutisti, di stanza nella zona, impegnato da mesi in funzione anti-commando e di polizia militare.
Il Battaglione, costituito il 1° luglio 1940, è strutturato su tre compagnie ed è formata da 22 ufficiali, 50 sottufficiali e 320 fra appuntati e carabinieri, severamente selezionati. Il primo comandante, magg. Bersanetti, è sostituito, a seguito d’infortunio in addestramento, dal magg. Edoardo Alessi. Questi, col grado di tenente colonnello, cadrà in combattimento contro i Tedeschi in una formazione partigiana in Valtellina: sarà insignito di Medaglia d’Oro al Valor Militare. Nel luglio del ’41 il Battaglione, dopo un duro addestramento, è pronto per l’impiego: tutti sono animati da forte senso del dovere e da razionale equilibrio in quanto Carabinieri e ardimentosi e determinati quali Paracadutisti, decisi ad affrontare i rischi di azioni temerarie. È la prima volta che l’Italia dispone di un’unità combattente di alto livello addestrativo in grado di svolgere anche compiti di polizia. Resteranno però delusi perché non saranno mai impiegati in azioni belliche con aviolanci: giungeranno a Tripoli, via mare, il 18 luglio 1941, indossando, non il paracadute, ma … il salvagente.
Il 14 dicembre 1941 al Battaglione è affidato quindi il compito di costituire un’efficace linea di resistenza a cavallo del bivio di Eluet El Asel, punto di confluenza delle piste provenienti da Chaulan e da El Mechili e Martuba. L’impegno è di bloccare la direttrice d’attacco del XXX Corpo d’Armata britannico costituito dalla 1^ Divisione motorizzata sudafricana e dalla 7^ Divisione corazzata inglese. Dalla tenuta dei Carabinieri Paracadutisti dipende, in massima parte, la sopravvivenza delle Divisioni corazzata Ariete e di Fanteria Trieste in ripiegamento da sud e delle altre cinque Divisioni di Fanteria in ripiegamento, per lo più a piedi, sulla “Balbia”. Al fianco dei Carabinieri una Compagnia dell’8° Reggimento Bersaglieri con dieci cannoni anticarro ed una ventina di Paracadutisti libici. Per fermare i carri inglesi – fra i quali i possenti “Valentine II” – non disponendo di munizionamento efficiente, si rimedia con la bomba Passaglia, dal nome del tenente del Genio che l’ha ideata. Si tratta del recipiente vuoto del minestrone in scatola, riempito di esplosivo, che fa corpo unico con una bomba a mano fissata al barattolo con spago e catrame; l’impugnatura è un manico di scopa o un tubo di latta. È una manifestazione della tipica fantasia italiana costretta ad arrangiarsi ed un’anticipazione del riciclaggio razionale dei rifiuti! I lanci contro i carri, che difficilmente vengono fermati dai cannoni anticarro, devono essere effettuati da distanza ravvicinata sulle parti motrici per cui necessita, oltre ad uno specifico addestramento, un notevole ardimento, dote peculiare dei Carabinieri Paracadutisti. La guerra moderna dell’Italia fascista contro le Potenze tecnologicamente avanzate, col Duce comandante in Capo, si fa anche utilizzando … manici di scopa!
All’alba del 19 dicembre la 1^ Compagnia del Battaglione (schierata a sinistra, fronte a sud), entra in contatto con le avanguardie nemiche, dotate di mezzi blindati e corazzati, che sono respinte anche con un efficace contrattacco. Successivamente la direttrice di attacco inglese cambia e viene interessato il settore della 3^ Compagnia (al centro, con fronte sud-ovest). Il combattimento dura, all’incirca, tre ore, senza che vengano scalfite le posizioni difensive.
L’attacco nemico continua sui vari settori alternati da fuoco di artiglierie ma i Carabinieri non cedono e dimostrano in pieno l’efficacia delle bombe Passaglia, arma certamente sconosciuta alla tecnologia bellica britannica. Nel tardo pomeriggio il nemico ritorna in forze sul settore più esposto tenuto dalla 3^ Compagnia e riesce limitatamente ad infiltrarsi. Il contrattacco di due plotoni della 2^ Compagnia, a colpi di bombe a mano, riesce a ricacciare indietro gli incursori nemici.
In definitiva, da Eluet El Asel non si passa! Alle prime ombre della sera arriva l’ordine di sganciarsi e ritirarsi ordinatamente a scaglioni. In posizione di retroguardia, per coprire il ripiegamento, restano, fino alle 22, tre Ufficiali con una quarantina di uomini, fra questi, il ten. Enrico Mollo che, col suo plotone, sarà protagonista di attività occulte in territorio occupato.
Intanto il grosso del Battaglione, a bordo di autocarri, raggiunge, attraverso le piste, la via Balbia per proseguire verso le nostre linee più ad ovest. Le avanguardie nemiche, però, sono ormai davanti a loro per cui questa volta occorre superarli ed attuare una “fuga in avanti” sopravanzando i vari sbarramenti.
Bisognerà superare tre blocchi: ad ognuno si scende dagli autocarri e s’ingaggia un combattimento, talvolta corpo a corpo. Ultimo ostacolo è al bivio di Lamluda ove si svolge, fino alle prime luci dell’alba del 20 dicembre, un vivace scontro ravvicinato col nemico. I Carabinieri Paracadutisti, se pur con gravi perdite, riescono a superare tutti gli ostacoli. Nella tarda serata del 20 dicembre finalmente, quello che resta del Battaglione, raggiunge Agedabia dove è attestata la nuova linea di difesa dell’Armata: sono 44 Uomini (10 Ufficiali, 4 Sottufficiali e 30 Carabinieri). Sul terreno desertico restano, a testimonianza del valore e del sacrificio, 31 Caduti ed un gran numero di feriti parte dei quali, purtroppo, moriranno per mancanza di cure immediate.
La giornata del 19 dicembre, ad Eluet El Asel, resta fondamentale nella storia della Campagna di Libia e delle glorie più eccelse dell’Arma Benemerita: un solo Battaglione di Carabinieri Paracadutisti consente, con una strenua difesa ed armamento inadeguato, di mettere in salvo sei Divisioni dell’Esercito votandosi al sacrificio. È un’azione che sbalordisce anche il nemico e riporta alla mente le gesta dei Carabinieri di Pastrengo, del Podgora e di Culquaber in Africa Orientale. Non è un avvenimento noto forse perché dura una sola giornata e non vi partecipano grandi Unità. Si tratta però di una vicenda densa di significato e di valori individuali e collettivi. La Medaglia d’Argento al Valor Militare alla Bandiera dell’Arma, assegnata nel 1964, è però la testimonianza della gratitudine della Patria per quel pugno di uomini che seppe mantenere fede ad un giuramento e ad un impegno pur consapevole della grave situazione militare. Il Battaglione non è sconfitto: assolve il compito assegnatogli con abnegazione ripiegando, nel rispetto dell’ordine ricevuto, nel quadro strategico di un’ampia manovra che tende a mettere in salvo il maggior
numero di truppe combattenti.
Nessun accenno del fatto d’arme nel Bollettino di Guerra del Comando Supremo, solo un dispaccio del Capo di Stato Maggiore Generale che si compiace per la valida funzione svolta, con perizia ed eroismo, dai primi “Carabinieri dell’aria” della Storia. Ne parla però, il 28 dicembre, Radio Londra, affermando che “i Carabinieri Paracadutisti si sono battuti come leoni e fino allora, in Africa, i reparti inglesi non avevano mai incontrato così accanita resistenza”. Il riconoscimento del nemico introduce una nota cavalleresca, degna d’altri tempi, in quella tragedia spietata della guerra ed è ancor più apprezzabile perché è fuori da ogni retorica ed enfasi propagandistica.
L’ultimo reparto a lasciare Eluet El Asel per la tattica dello sganciamento progressivo è il plotone del ten. Mollo. Le truppe nemiche hanno ormai invaso l’area e non sono certo venti uomini con un giovane tenentino a poterli fermare. Due sono le soluzioni: sgusciare fra le loro linee o la prigionia. Il ten. Mollo sceglie la prima ipotesi e guida, con rara perizia, i suoi uomini nella buia notte africana raggiungendo, a sbalzi, il primo paese di coloni italiani, il villaggio Luigi di Savoia, ormai in pieno territorio occupato. È l’alba del 20 dicembre ed il plotone è in attività ininterrotta di combattimento da oltre 24 ore. Il ten. Mollo istruisce i suoi uomini perché possano mimetizzars come coloni od operai delle ditte che svolgono lavori nell’area. Con la cooperazione dei maggiorenti del villaggio predispone poi un opportuno piano di distribuzione di uomini ed occultamento delle armi. Intanto si rifugiano nel villaggio altri Carabinieri del Battaglione sbandatisi, circa 40, e due Ufficiali, il ten. Galliot ed il s.ten. Sandulli. Quest’ultimo troverà la morte nell’ isola greca di Cefalonia nell’infausto settembre ‘43, per resistere ai Tedeschi: sarà decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.
Dopo qualche giorno per il ten. Mollo si presenta però l’esigenza di dover salvaguardare i beni dei coloni italiani, ormai abbandonati a loro stessi, senza protezione, contro le scorrerie degli Arabi. Questi attuano prepotenze e scorribande nelle case più esposte razziando generi alimentari e bestiame. I Carabinieri del ten. Mollo sono così costretti a fare i “Carabinieri territoriali” e a riprendere le funzioni, se pur in territorio occupato, di vigilanza e tutela della sicurezza della popolazione con la difficoltà di doverlo fare in modo occulto. Il ten. Mollo predispone un efficace piano di difesa territoriale per ostacolare le incursioni arabe. La situazione è gravata dai frequenti rastrellamenti britannici consci di una presenza militare italiana occulta. I Carabinieri del ten. Mollo non mollano! Sono combattenti ed hanno, quindi, l’obbligo di sottrarsi alla cattura ma, sono anche Carabinieri e sentono l’esigenza di svolgere i propri compiti d’istituto. In quel periodo sventano tre rapine ingaggiando conflitti a fuoco con gli Arabi in uno dei quali trova la morte anche un Carabiniere e ne viene ferito un altro.
Intanto il 21 gennaio 1942 il gen. Rommel sferra la tanto attesa controffensiva che si fermerà ad El Alamein. I Paracadutisti del ten. Mollo non aspettano inerti: compiono atti di sabotaggio alle linee di comunicazione e, appena percepiscono i primi sintomi del ripiegamento britannico, provvedono a riparare i danni provocati per ritardare l’avanzata italo-tedesca. Quando nei primi giorni di febbraio arriveranno le avanguardie di Rommel, il ten. Mollo, prima di lasciare il villaggio, rimette in efficienza la Stazione Carabinieri, smantellata dal nemico. È così che si conclude l’epopea dei Carabinieri Paracadutisti in terra d’Africa, prima interrompendo l’avanzata nemica e poi tutelando la sicurezza e dei beni dei coloni italiani.
Il Battaglione viene sciolto dal Comando Superiore Africa Italiana ed i superstiti, 77 in tutto, nei primi giorni del marzo 1942, rientrano in Italia e saranno dislocati nei reparti territoriali. Solo una parte ritornerà in Libia con la Folgore.
Con grande modestia, con la consapevolezza di avere svolto solo il suo dovere, il ten. Mollo rientra nell’anonimato dell’Arma. Vi era entrato nel 1938, già tenente di Fanteria, e nel 1940 aveva lasciato il Comando della Tenenza di Novi Ligure per dare il suo contributo di dedizione e di entusiasmo alla Patria chiedendo di far parte di un’unità combattente da impiegare in azioni di ardimento. Ed è appunto in Libia, combattendo e svolgendo una proficua attività in territorio occupato, che dimostra tutta la sua capacità militare e professionale e, soprattutto, il suo amor patrio: Eluet El Asel ed il villaggio Luigi di Savoia sono la sua tribuna. Collocato in congedo col grado di generale vive a Roma partecipando, nel commosso ricordo di quanti combatterono al suo fianco affrontando anche l’estremo sacrificio, alle manifestazioni che ricordano l’epopea del 1° Battaglione Carabinieri Paracadutisti in terra libica. Quella Medaglia d’Argento al Valor Militare che fregia la Bandiera dell’Arma è, in piccola parte, anche sua!
Il Battaglione, ricostituito a livello di Reparto nel 1951, solo nel 1963 prenderà la consistenza di Battaglione. Nel 1975 assume la denominazione di Tuscania richiamando la terra d’origine addestrativa della Scuola di Paracadutismo di Tarquinia. Ha sede a Livorno e, con l’attuale consistenza di Reggimento, partecipa a tutte le rischiose missioni di pace all’estero portando, certamente, lo spirito e l’abnegazione del Battaglione originario cui si richiama.
Le Divisioni Carabinieri, nell’attuale ordinamento, portano i nomi delle località che ricordano i più gloriosi fatti d’arme dove maggiormente emerse lo spirito e la tenacia dei Carabinieri. Non sono certo legittimato a fare proposte in tal senso, ma non posso esimermi dal considerare che sarebbe affascinante conferire ad un Battaglione dell’attuale Reggimento la denominazione Eluet El Asel. Forse sarà difficoltosa la pronuncia ma sarebbe certamente il modo migliore per onorare gli Eroi di quell’episodio sublime: è ad Eluet El Asel, nell’arido deserto libico, che risiedono le radici eroiche di quel Battaglione Carabinieri Paracadutisti, il primo della storia dell’intero Esercito, al quale la Patria deve la sua imperitura riconoscenza.
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Giuseppe Vollono
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