Dall’Iit un’arma hi-tech per affrontare i lavori usuranti: due braccia robotiche in più per gli operai, contro la fatica, dicono. Ma hanno ben calcolato l’animo dell’homo sapiens? Aiuteranno o sostituiranno? Per chi produce sarà come per chi mette sul mercato le armi: “le armi, dicono, non sono certo cattive. Loro non ammazzano, non fanno guerre, è l’uomo che le può usare bene o male”.
Appunto: l’homo sapiens è sempre meno “humano” verso i suoi simili per cui mi scuso subito, ma proprio non riesco a non vedere che, dai cosiddetti “piani alti”, trasuda un incremento di autostima pari solo alla sottostima degli altri, e fa niente se questi altri – va qui detto ed evidenziato – sono la maggioranza di quella specie umana che i primi, siano essi industriali, politici, affaristi et similia, ritengono essere dei perfetti cretini da poter manipolare come credono per asservirli ai loro interessi.
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unti Chiave Articolo
- Per chi non la conoscesse, la “Sindrome di Stoccolma” è:
- Non ci credete? Allora provate a vedere l’ultimo dispositivo sviluppato dall’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) definito, appunto, sistema robotico di “arti sovrannumerari” così presentato:
- Nel presentarli Arash Ajoudani ha annotato che:
- ecco, ci siamo, il punto è questo e solo questo:
- NOTA FINALE
Purtroppo, a ben vedere, in questa manipolazione sono avvantaggiati anche da quella che ormai sembra stia diventando una pandemia da tempo ben conosciuta e catalogata come “Sindrome di Stoccolma”.
Per chi non la conoscesse, la “Sindrome di Stoccolma” è:
“un particolare stato di dipendenza psicologica e/o affettiva che si manifesta in alcuni casi in vittime di episodi di violenza fisica, verbale o psicologica. Il soggetto affetto dalla sindrome, durante i maltrattamenti subiti, prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aggressore che può spingersi fino all’amore e alla totale sottomissione volontaria, instaurando in questo modo una sorta di alleanza e solidarietà tra vittima e carnefice”
e solo di questo può trattarsi visto il quasi bearsi e finanche ringraziare del male che alcuni fanno a tanti altri. In alternativa, cosa in verità non meno incresciosa, può trattarsi solo di un vero rincretinimento di larga fascia del genere umano, e questo sarebbe anche peggio.
Tralasciamo per una volta chi politicamente usa ed abusa di tale stato nel quale sembra ricadano alcune persone, e rapportiamoci solo al mondo del lavoro (quando c’è), e della “tecnologia” ad esso legata.
Questo ci porta all’ultima creazione dell’umano ingegno: gli “arti sovrannumerari” quindi, sic et simpliciter, “arti in più”. Nuovo traguardo presentato come se esse fossero il sogno più elevato dell’umana stirpe dei lavoratori che così si potranno sentire come il dio Visnù, quello, tanto per ben capirci, con quattro braccia. E già questa è un’abberrazione ma, leggete bene, il tutto è “venduto” come un mezzo per lavorare meglio, di più, e svolgere lavori e compiti anche faticosissimi senza fatica, anzi, con il doppio della forza e la metà dello sforzo, il tutto, Ça va sans dire, con il sorriso dipinto in volto per la graditudine per chi così li avrà ridotti.
Non ci credete? Allora provate a vedere l’ultimo dispositivo sviluppato dall’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) definito, appunto, sistema robotico di “arti sovrannumerari” così presentato:
“Avere quattro braccia come il dio Visnù per svolgere i compiti più faticosi con il doppio della forza e la metà dello sforzo: il sogno di molti lavoratori potrebbe presto diventare realtà, grazie al sistema robotico di arti sovrannumerari sviluppato all’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) che è formato da un imbrago indossabile, simile a uno zaino, a cui sono agganciate due braccia dotate di mani robotiche che il lavoratore può usare per non affaticare spalla, gomito e polso ogni volta che deve sollevare pesi, compiere movimenti ripetitivi o usare strumenti che generano vibrazioni fastidiose”.
Questo il “nobile” scopo e la non meno “nobile” finalità dichiarata che sarebbe alla base dello studio e, soprattutto, della realizzazione di tali dispositivi che però, tanto per dirne una di recente attenzione per la cronaca, richiamano alla memoria altro dispositivo creato ed adottato, ad esempio, da Amazon: il GeekWire! Braccialetto elettronico venduto come aiuto fornito agli operatori per ottimizzare – e rendere meno impegnativo – il lavoro in magazzino: in realtà e nel pratico, bracciali per monitorare i dipendenti nei loro spostamenti e nel loro operare.
Purtroppo, per entrambe (come per tante altre “invenzioni” in essere e/o in studio) sembra che non si tenga mai conto del fatto che il prodotto finale sarà poi utilizzato dalla “bestia” più inumana e feroce del genere vivente su questa terra: l’uomo in generale; l’uomo (im)prenditore in particolare. Specie, questa, alla quale non è che interessi il chi e come gli procuri utili, ma solo che questi siano sempre più grandi e più facili per cui, quello che dovrebbe essere uno sgravio per chi lavora, alla fine potrà diventare una nuova maglia della catena che lo terrà legato, sempre più, a chi lo sfrutterà il più possibile, lavorando, lavorando il doppio, poi il doppio del doppio, poi ……
Per una pura (si spera) coincidenza, l’avvio dei primi test del dispositivo nato dalla collaborazione tra i laboratori Hrii (Human Robot Interfaces and physical Interaction) e SoftBots (Soft Robotics for Human Cooperation and Rehabilitation), coordinati rispettivamente da Arash Ajoudani e Antonio Bicchi, sono iniziati proprio alla vigilia della festa dei lavoratori e, ad annunciarli, è stato – come riportato dall’Ansa – “il rumore di un trapano”.
Nel presentarli Arash Ajoudani ha annotato che:
“Il più delle volte i robot vengono progettati per condividere l’ambiente di lavoro con l’uomo in sicurezza, evitando collisioni accidentali o contatti sporadici, ma pochi sono pensati per dare assistenza attiva, ridurre gli sforzi e migliorare la produttività del lavoratore”;
ed ha aggiunto:
“Il nostro obiettivo è introdurre nell’industria dei sistemi robotici in grado di aiutare fisicamente i lavoratori a svolgere le proprie mansioni in modo sicuro e confortevole”.
Poi non si contiene e lascia trapelare, nelle parole conclusive, un retropensiero che certamente non era negli intenti:
“Si tratta – dice – di una questione di grande rilievo, se pensiamo che le patologie del sistema muscolo-scheletrico derivanti dallo svolgimento prolungato e non ergonomico di mansioni usuranti costano all’Unione europea circa 240 miliardi di euro all’anno in termini di perdita di produttività e assenza per malattia”;
ecco, ci siamo, il punto è questo e solo questo:
trovare il sistema per far risparmiare “all’Unione europea circa 240 miliardi di euro all’anno in termini di perdita di produttività e assenza per malattia” e, per far questo, non già ridurre il lavoro del produttore di reddito (l’operaio o quel che sia) per evitare tali “malattie professionali”, ma facendo sì che possa comunque lavorare ed anzi, lavorare di più producendo e rendendo di più.
Il colmo poi di questa escalation, nemmeno sottaciuta, è che parlano con orgoglio anche del fatto collaterale che questi dispositivi poi “impareranno”, sempre più e direttamente dall’uomo fattasi cavia, le abilità complesse del come operare in modo corretto per poi arrivare ad eseguirle direttamente ed insegnarle ad altri …. arti sovrannumerali, robot, braccialetti e quel che sono e saranno, con buona pace della “bestia” uomo che, a quel punto, non avrà più bisogno ne di quota 100, 41 o quant’altro si inventeranno i nostri ed altrui politici, perché la gran massa umana o sarà divenuta “macchina androide”, ed allora farà uso del libretto di manutenzione e garanzia, o proprio non entrerà nel ciclo produttivo e non si sa ancora bene che fine farà, ne come potrà vivere o sopravvivere, come ormai già ci si sta abituando a fare da anni.
NOTA FINALE
Tanto per chiarire, lo scrivente era un progettista e costruttore di sistemi, macchinari ed apparecchiature automatiche, ma “quelle” servivano realmente ad aiutare l’adddetto a lavorare meglio e con minor tensione (sia pur comunque, con “maggior resa”, inutile negarlo) e non a sostituirlo, men che meno a “cannibalizzarlo” studiandone ed imparandone la manualità al fine di renderlo poi inutile, anzi dannoso perchè, da umano, più soggetto a possibili errori (guasti per i robot) per cui il mio pensiero non è astratto o unicamente “filosofico”, ma ben ponderato e con cognizione di causa.
Nulla quindi contro il progresso ed il trasferimento di lavoro, soprattutto se gravoso e pericoloso, da uomo a macchina (robot) ma ….
Ma non bisogna mai perdere di vista che siamo umani, uomini, e quindi con la pessima tendenza ed abitudine a “sfuttare” tutto e tutti per il benessere (ricchezza) personale per cui, SI’ a progresso tecnologico anche su questa strada ma …..
Ma ancor prima cominciare già a prevedere, ed organizzarsi e legiferare, per far fronte ad una società sempre più piena di macchine al lavoro ed uomini ????
Ecco, urgente ed improcrastinabile sarebbe, anzi è, il dare risposta a quei punti interrogativi e SOLO DOPO avventurarsi su una strada che potrà di dare “soffisfazioni” ad alcuni ma, tempo, dolori, patimenti e sofferenze a tanti altri, troppi, temo.
Concludo quindi, sempre tenendo presente “l’homo sapiens” e di cosa esso è capace, affermando che non vorrei che, su questa strada, quella degli “arti soprannumerari” non si arrivi un giorno a traslare qualche esperimento da animale ad uomo sperimentando anche su questi sostanze citolitiche (perché l’Homo sapiens esperimenti del genere li sta già facendo, per ora tra gli Anfibi, particolarmente negli Anuri tra cui: rane, rospi e raganelle) per far sviluppare, direttamente, “arti sovrannumerari” e non certo per abbracciare meglio, ma per lavorare il doppio.
Stanislao Barretta
#robot #artisovrannumerari #tecnologia #lavoro
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