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L’europa uscirà dal guado solo con investimenti e innovazione

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L’europa uscirà dal guado solo finanziando investimenti e innovazione  EMANUELE FELICE

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MANUELE FELICE – L’Europa è rimasta in mezzo al guado. Ha in fondo una sola istituzione davvero efficace, la Banca centrale: la quale azzerando i tassi è pure riuscita a mettere in minoranza i rigoristi (a riprova che istituzioni comuni funzionanti non sono affatto una proiezione dei sogni egemonici di Berlino, anzi servono a contenerli). Ma la Bce da sola non basta. La politica monetaria, specie quella più espansiva, rimane monca se non è accompagnata da politiche industriali che orientino le scelte degli investitori. E il nostro è un caso tipico: ormai nelle disponibilità delle imprese il denaro non manca, ma rimane liquido perché, nell’incertezza generale, non è chiaro come investire – e perché intanto i prezzi non aumentano.

Detta altrimenti ci troviamo nel bel mezzo di una «trappola della liquidità», un’espressione coniata da Keynes per la crisi del 1929. Occorre rendersene conto e impostare di conseguenza la giusta strategia. Per uscire dalla «trappola» non basta pompare denaro. Questa è solo la prima gamba su cui rimettersi in cammino, necessaria ma non sufficiente.

Una seconda è altrettanto indispensabile: i poteri pubblici devono farsi carico di una coerente politica degli investimenti e dell’innovazione; «coerente», perché dovrà essere capace di tracciare la via di un nuovo sviluppo tecnologico, l’unico in grado di smuovere davvero gli operatori economici e spingerli a rischiare la loro liquidità. Ma quali poteri pubblici? Quelli europei. Perché quelli nazionali sono troppo deboli, o troppo piccoli, per impostare una politica dell’innovazione di qualche respiro, o per realizzare investimenti significativi. E perché l’Europa, a pensarci bene, è nata anche per questo: per porre il sistema imprenditoriale del vecchio continente in grado di competere con giganti quali gli Stati Uniti o la Cina – Paesi che godono sì di un mercato comune, ma anche di una direzione strategica sui grandi investimenti e le innovazioni.

L’Europa una politica industriale comune non ce l’ha. E nemmeno ne parla. In aggiunta il suo sistema di innovazione e ricerca è rimasto essenzialmente a struttura nazionale. Per promuovere la crescita, l’unica iniziativa europea di una certa rilevanza è stato il piano Juncker, dal nome del presidente della Commissione. Avviato ad aprile 2015, quasi un anno fa ormai, prevedeva di mobilitare 315 miliardi di euro, da destinare in parte a infrastrutture e innovazioni, in parte ad accordi per finanziare le piccole e medie imprese. Per gestirli è stato creato, non senza qualche lentezza, un Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis), che però a febbraio aveva erogato appena 8 miliardi di euro (per un investimento atteso di 50): spesso si tratta di programmi già finanziati dalla Banca europea degli investimenti, successivamente dirottati sul Feis che in essa è incardinato; oppure di iniziative che i singoli governi avrebbero già di loro avviato; pochissimi sono i progetti transazionali. Piccole cifre, insomma, lungaggini burocratiche e soprattutto mancanza di visione strategica a oggi rendono questo strumento quasi irrilevante.

Di ben altro ci sarebbe bisogno: di una nuova agenzia pienamente autonoma, non appesantita da compiti pregressi e assai più ambiziosa, magari da finanziare con l’emissione di Eurobond che ora costerebbero poco. Un’agenzia che realizzi infrastrutture (di trasporto, telematiche, energetiche) ma che finanzi anche le imprese di alcuni settori particolarmente innovativi (come la biorobotica), totalmente assenti nel piano Juncker. Settori che, accanto alla riqualificazione energetica – finora giustamente valorizzata, ma nei profitti molto ridimensionata dal crollo del greggio – e alla telematica, diano agli imprenditori privati il senso di una direzione di sviluppo: di opportunità su cui investire.

Di tutto questo si discute poco. E l’Europa rimane in mezzo al guado. Ferma nella corrente, sta perdendo la grande competizione dell’innovazione con l’Asia e gli Stati Uniti. Anche per questo non cresce più. Anche per questo non garantisce più benessere. Ed è anche per questo che i populismi avanzano e la stanno lacerando, alla periferia così come nel cuore dell’area euro.

*lastampa /  L’europa uscirà dal guado solo finanziando investimenti e innovazione EMANUELE FELICE

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