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L’Esercito indigeno italiano: una realtà eroica – Le campagne di Grecia e Creta (2)

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L’esercito indigeno italiano dal 1885 al 1941 fu protagonista della vita nelle Colonie. Migliaia di Caduti nel nome dell’Italia.

PARTE 2 – L’ASSURDA AGGRESSIONE ALLA GRECIA NEL 1940

R

etroscena di una guerra fatta per irresponsabile rivalsa. Nonostante il categorico impegno del Duce di “spezzare le reni alla Grecia”, poco mancò che fossimo cacciati dall’Albania.

È una frase d’autore pronunciata da Benito Mussolini il 18 novembre 1940, giorno dell’anniversario delle sanzioni economiche irrogate all’Italia, cinque anni prima, dalla Società delle Nazioni a seguito dell’invasione coloniale dell’Abissinia. Essa nasce da un discorso tenuto a Piazza Venezia alla presenza di tutti i gerarchi provinciali del Partito Nazionale Fascista convocati per il Gran Rapporto, poi trasmesso anche dalla radio italiana, dovuto alla disastrosa situazione della campagna italiana di Grecia:

« Affermai cinque anni fa: spezzeremo le reni al Negus. Ora, con la stessa certezza assoluta, ripeto assoluta, vi dico che spezzeremo le reni alla Grecia in due o dodici mesi poco importa, la guerra è appena cominciata! »

(Benito Mussolini)

Il 23 febbraio 1941, a distanza di tre mesi dal primo discorso, Mussolini fece un annuncio sulle imminenti sorti della campagna di Grecia, così affermando: “fra poco verrà il bello”.

L’espressione spezzare le reni/spezzeremo le reni a… sopravvive soprattutto come parodia dello stile militaresco fascista, secondo un intento subito affermatosi nell’uso, anche nella cinematografia italiana. Un esempio è l’uso che ne fa Totò nel film Totò contro Maciste, di Fernando Cerchio, del 1962:

« Tebani, abbiamo lance, spade, frecce, mortaretti, tricche tracchi e castagnole. E con queste armi potenti, dico armi potenti, noi, noi, spezzeremo le reni a Maciste e ai suoi compagni, a Rocco e i suoi fratelli! Valoroso soldato tebano, mio padre da lassù ti guarda e ti protegge. Armiamoci e partite! Io vi seguo dopo »

(Totò in Totò contro Maciste)

Era un chiaro riferimento ad un discorso del Duce, comandante in capo delle truppe italiane, pronunciato ai Quadri del partito il 18 novembre 1940 quando era già in corso la campagna di Grecia: “Affermai cinque anni fa ‘spezzeremo le reni al Negus’. Ora, con la stessa certezza assoluta, ripeto, assoluta, vi dico che spezzeremo le reni alla Grecia …”. È quindi il caso di dire che Mussolini è stato, in certo modo, anche l’ispiratore di Totò.

Tale utilizzo ironico viene favorito anche dalla memoria storica, che ricorda la sproporzione tra la tracotanza eroica delle parole e la dura realtà dei fatti, con le numerose sconfitte che il Regio Esercito Italiano patì dalle meno quotate forze armate elleniche, che rende ancora più assurda e iperbolica la locuzione.

Per anni la frase “spezzeremo le reni” è rimasta nel linguaggio comune soprattutto come parodia e utilizzandola ogni qualvolta c’era un incontro sportivo tra squadre italiane e greche oppure per indicare un’operazione il cui esito si dava per certo e che non si sarebbe realizzata. Pertanto il Duce del fascismo è passato alla Storia non solo per la gaffe del bagnasciuga (invece della battigia) ma anche per colui che aveva in programma di spezzare le reni alla Grecia non riuscendovi.

L’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940 è determinata dai fulminei successi tedeschi nel nord Europa per cui Mussolini, con spiccato senso realistico, accorre … in aiuto del vincitore. I successi di Hitler creano nel Duce un vero e proprio complesso d’inferiorità e di gelosia verso l’alleato tedesco al quale va tutto bene e, soprattutto, gli nasconde gli obiettivi della sua politica espansionistica. Il Duce cova quindi il desiderio di una vittoria tutta sua che possa dare un “peso” alle future pretese territoriali e d’influenza politica da dettare al tavolo della pace. La campagna di Francia non è stata proprio un successo e l’offensiva in Africa Settentrionale non riesce ad andare oltre i 100 km. di deserto in territorio egiziano fermandosi a Sidi El Barrani. Questo è il quadro politico-militare che si presenta al Duce nell’ottobre 1940.

Hitler, molto più concretamente, si preoccupa di precostituirsi basi sicure alle spalle del futuro schieramento verso Est, il suo recondito obiettivo finale.

Nell’ottobre 1940 un fatto nuovo viene a scombinare la situazione politica: i Tedeschi, che hanno già sotto vigilanza i pozzi petroliferi romeni di Ploesti, occupano militarmente la Romania. Mussolini, preoccupato per il maggior peso tedesco nei Balcani sui quali ha mire d’influenza politica, soprattutto non tollera l’ennesimo sgarbo della politica del fatto compiuto che Hitler attua sistematicamente nei suoi confronti in aperta violazione del Patto d’Acciaio. È l’occasione che fa scattare la molla per ripagare l’alleato con la stessa moneta. Prende così corpo un vecchio progetto e, preconizzando una “sua” blitzkrieg, pensa anch’egli ad attuare la politica del fatto compiuto: invadere la Grecia senza preavvertire l’alleato.

Già in precedenza, per la verità, aveva timidamente manifestato ad Hitler un interesse verso la Grecia ma ne era stato dissuaso per concrete e valide ragioni strategiche. Hitler aveva infatti evidenziato gli aspetti negativi di tali mire perché avrebbe fornito alla Gran Bretagna l’occasione di accorrere in aiuto alla Grecia avvicinando così l’insidia nemica ai pozzi petroliferi romeni, insidia che si sarebbe estesa conseguentemente alla stessa Italia Meridionale.

La Grecia ha un regime di tipo fascista, finanche con tanto di saluto “romano”, (contrabbandato per “greco”) ed il suo presidente, Metaxas, è un ammiratore di Mussolini. Ma c’è solo la Grecia disponibile perché confina con l’Albania e, quindi, occorre accontentarsi di quello che passa il convento. Non esistono motivazioni politiche o strategiche, quanto meno immediate: è solo un “capriccio”!

La decisione “irrevocabile”, secondo le migliori tradizioni mussoliniane, è presa il 15 ottobre del 1940 e la data per l’attuazione fissata al 26 ottobre. Alla riunione prendono parte il Ministro degli Esteri e genero del Duce, Galeazzo Ciano, il Capo di Stato Maggiore Generale Badoglio, il Sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito Roatta (il Capo di S.M. Graziani è ormai in Libia in pianta stabile), il Luogotenente in Albania Jacomoni di San Savino, il comandante delle Truppe d’Albania gen. Visconti Prasca. Che l’Albania sia al di là del mare per cui i rifornimenti devono necessariamente provenire dalla Madrepatria attraverso il Canale di Otranto, è un particolare trascurabile per cui non si ritiene necessaria la partecipazione di Marina ed Aeronautica. Così come superflua è ritenuta la partecipazione dell’Ambasciatore ad Atene, Grazzi, che dovrebbe fornire notizie sulla situazione interna del Paese candidato a divenire nemico. Ma Grazzi è notoriamente contrario all’intervento e le voci discordanti non sono gradite al dittatore fascista.

Il Duce ha deciso e le decisioni non si discutono: non è lui che regge i destini della Patria? È così che l’uomo dalle decisioni immediate ed irrevocabili, quasi si dovesse organizzare una gita fra amici, dispone che nel giro di 11 giorni occorre scatenare una guerra ed aprire un nuovo fronte.

Sul piano tattico l’aggressione dovrebbe avere il vantaggio della sorpresa ma non si trascura nulla perché si intravedano le vere intenzioni che, fra l’altro, hanno anche avuto dei segnali premonitori nel recente passato. Da qualche tempo è stata infatti riesumata una vecchia rivendicazione albanese: la zona costiera del confinante Epiro, la Ciamuria, nel 1918 è stata assegnata alla Grecia nonostante la presenza di una maggioranza etnica albanese e l’Italia, quella “fascista”, sensibile alle rivendicazioni delle minoranze etniche oppresse, si erge a difesa dei diritti degli Albanesi soggetti alla sovranità greca. Una radio da Argirocastro, località albanese prossima al confine, trasmette, in lingua albanese e greca, un’attiva propaganda per predisporre le popolazioni ciamuriote di etnia albanese alla rivolta contro i Greci. I Ciamurioti dovrebbero insorgere e costituire una forte “quinta colonna” per agevolare l’avanzata trionfale delle nostre truppe. Di ciò si è fatto garante, con tanto di spesa a bilancio, il Luogotenente d’Albania in ciò sostenuto dal Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano.

Naturalmente la Grecia ha tutto il tempo di mobilitare l’Esercito con un’azione discreta e nello stesso tempo preparare psicologicamente la popolazione alla “resistenza contro aggressioni esterne”.

Nel suo studio di Palazzo Venezia, il Duce, svestita ormai da tempo la vecchia divisa grigioverde di caporale dei Bersaglieri della prima guerra mondiale, autonominatosi, alla vigilia dell’entrata in guerra, comandante in capo delle Forze Armate, impartisce le necessarie istruzioni e le strategie per la “sua” guerra. Il piano: puntare attraverso la catena montuosa del Pindo al passo di Metzovo per tagliare in due lo schieramento greco della Macedonia e dell’Epiro, occupare Giannina e proseguire per Salonicco. Solo in un secondo tempo scendere verso la capitale. Per appoggiare l’avanzata sul litorale epirota, occupare le isole di Corfù, Cefalonia e Zante. L’occupazione del litorale greco avrebbe poi consentito l’utilizzo dei porti di Prevesa ed Arta, più ricettivi dei porti albanesi di Durazzo e Valona che sarebbero rimasti lontani dalle linee. La logistica sarebbe stata quindi garantita dai porti occupati. La ciliegina sulla torta sarebbe stato un contestuale attacco della Bulgaria che avrebbe avuto l’occasione propizia per soddisfare la sua antica aspirazione di acquisire la Macedonia e lo sbocco al mare.

Il piano, per onestà occorre riconoscerlo, è perfetto anche se non tiene conto di un fattore non certo trascurabile: l’adesione della Grecia che, purtroppo, non ci sarà! A nulla vale che i Capi di Stato Maggiore delle tre Armi, tre giorni dopo la riunione di vertice dell’11 ottobre, si pronuncino nettamente contrari all’ aggressione: non ci sono le condizioni tecnico-militari per affrontare una guerra lontano dal territorio nazionale. In proposito la Marina, inopportunamente non invitata alla riunione delll’11 ottobre, fa sapere che il porto di Prevesa non può essere utilizzato per il semplice fatto che i fondali sono troppo bassi ed i rifornimenti devono attraversare l’Adriatico e lo Ionio col pericolo costante dei sommergibili britannici.

Inoltre, i porti di Durazzo e Valona, non solo non possono sopportare un ritmo costante di materiali per la limitata capacità delle strutture, ma vengono a trovarsi lontani dalle linee e, per di più, le strade non sono adeguate a consentire un agevole trasporto dei rifornimenti. In questo quadro assolutamente negativo, Badoglio riesce solo ad ottenere un rinvio di due giorni: sarà per il 28 ottobre, data storica del fascismo: questa volta invece che su Roma la marcia sarà su Atene, almeno nelle intenzioni.

Un ultimo tentativo, almeno per ritardare l’azione, è la previsione di forti perturbazioni atmosferiche che aggraverebbero la situazione logistica ed impedirebbero l’intervento dell’Aviazione. ma il Duce, nella sua lungimiranza strategica, obietta che le condizioni avverse sarebbero state analoghe anche per i Greci non tenendo conto che la situazione grava di più su chi attacca.

Intanto la Bulgaria fa sapere che non è interessata al problema greco per cui viene a mancare uno dei pilastri della “guerra da risiko” predisposta a Palazzo Venezia. Non ci sarà neanche l’occupazione delle isole Ionie, a causa del cattivo tempo, per cui mancherà l’appoggio dal mare alle truppe del litorale. Le condizioni atmosferiche avverse non consentiranno gli interventi dell’Aeronautica. Verrà poi meno anche l’appoggio degli Albanesi di Ciamuria e la preventivata defezione delle truppe greche. Anche se ci sono tutti i fattori negativi, si parte lo stesso. Il Duce non è il novello Cesare? Quindi, “il dado è tratto”!

Il comandante in capo delle Forze d’Albania ha dichiarato che il contingente militare è senz’altro sufficiente. Ci sono 9 Divisioni mentre precedenti piani operativi, predisposti nel passato, ne prevedevano in numero maggiore (“Piano 1939” gen. Guzzoni: 20; “Piano luglio 40” gen. Geloso: 11). Purtroppo subentra anche la cupidigia personale che dimostra con quanta superficialità ed incoscienza è preparata una guerra: il gen. Visconti Prasca vede profilarsi, con l’aggressione alla Grecia, la promozione a generale d’Armata. Le Forze disponibili in Albania equivalgono infatti all’organico di un’Armata anche se divisi in due Corpi d’Armata per cui la vittoria gli frutterebbe la promozione automatica per il riconoscimento di una funzione già svolta sul campo. Rifiuta, pertanto, eccessivi rinforzi per eludere l’eventualità della designazione di un superiore di grado che avrebbe sconvolto i suoi piani personali. Incredibile ma vero!

L’Esercito dell’Italia fascista è anche questo!

All’alba del 28 ottobre 1940, dopo un ultimatum-farsa di appena 3 ore con richieste pretestuose al Capo del Governo greco, le Truppe partono all’attacco. Fin dalle prime battute la prevista “passeggiata militare” si tramuta in un fallimento. Le strade sono invase dal fango che ostacolano qualsiasi movimento di mezzi (troppo pochi), uomini e quadrupedi. I fiumi sono in piena e non possono essere guadati anche per mancanza del materiale idoneo a sostituire i ponti ovviamente fatti saltare dai Greci. Da novembre ad aprile, fino a quando non interverrà da nord l’Armata tedesca, sarà un continuo indietreggiare ed un invio affrettato di truppe dall’Italia per tappare le falle ed impedire, a costo di enormi sacrifici umani, che i Greci non ci buttino in mare.

L’aggressione alla Grecia, alla quale il Duce aveva garantito che avremmo spezzato le reni, costa la più grande umiliazione che l’Esercito italiano abbia mai subito. Solo il sacrificio illimitato dei nostri soldati, primi fra tutti gli Alpini (la leggendaria Julia su tutti), riusciranno ad ergere un muro difensivo sulle ultime propaggini montagnose albanesi per impedire che i Greci si riversino nella pianura e raggiungere il mare.

La guerra del Duce non è in Grecia ma in Albania!

Quando in aprile i Tedeschi, obbligati dalle circostanze, intervengono in nostro aiuto, sfonderanno le linee greche nel giro di una ventina di giorni. I Greci saranno costretti a chiedere un armistizio ai Tedeschi quando un terzo d’Albania è nelle loro mani. Così com’era già accaduto con la Francia, anche i Greci non intendono chiedere l’armistizio all’Italia e nel primo protocollo di resa sarà chiesto ai Tedeschi addirittura di interporsi fra loro e le nostre truppe per impedirne l’entrata in territorio greco. Infatti, quando le avanguardie della Divisione Casale raggiungeranno il Ponte di Perati, luogo storico sul confine greco-albanese, i Tedeschi bloccheranno i nostri soldati spinti all’inseguimento dei Greci che si ritirano. Sarà l’intervento di Hitler ad imporre al suo comandante d’Armata in Grecia di pretendere, quale condizione di accettazione della resa (come accaduto con la Francia), che venga chiesta anche al comandante italiano.

L’assurda campagna di Grecia, una guerra voluta per una ripicca nei confronti dell’alleato tedesco, costituisce il più grave errore politico-militare del Duce. L’aggressione ad un popolo affine per cultura e retto da una classe politica ideologicamente vicina al regime fascista, con un modesto peso nell’agone internazionale che nessuna minaccia avrebbe potuto portare alla politica mussoliniana nel Mediterraneo, “mare nostrum”, costituirà una svolta fondamentale sull’intera guerra e sulla sua sorte finale. È evidente che la storia non si fa con i “se” ma una considerazione sul “colpo di testa greco” è d’obbligo.

Intanto la profusione di mezzi ed energie umane trasfuse in Grecia in sei mesi non consentirà di riversarle in Africa Settentrionale per tentare l’avanzata fino al canale di Suez con l’obiettivo di raggiungere i pozzi petroliferi del Medio Oriente. Soprattutto, la rotta in Albania costringerà i Tedeschi all’intervento con la conseguenza di far slittare l’aggressione all’Unione Sovietica: il ritardo sarà fatale per il sopraggiungere dell’inverno che bloccherà l’avanzata delle Armate tedesche alle porte di Mosca.

Alla fine delle ostilità, dalle 9 Divisioni iniziali, il contingente italiano salirà a 26 strutturato su 2 Armate e 6 Corpi d’Armata. Saranno cambiati, in corsa, tre comandanti in capo ed il Capo di Stato Maggiore Generale. Peseranno, però, molto di più, le paurose cifre a consuntivo: 13.755 morti, 25.067 dispersi, 50.874 feriti, 12.368 congelati, 52.108 ricoverati in luoghi di cura. Il tutto perché il Duce, fondatore dell’Impero, punto nell’orgoglio in seguito all’occupazione tedesca della Romania, vuole ripagare il suo alleato Hitler della stessa moneta e farlo trovare di fronte al fatto compiuto. Diventa così anche l’ideatore della “guerra per ripicca”.

Non bisogna poi dimenticare che le conseguenze della campagna di Grecia si riproporranno, in maniera drammatica, in occasione dell’armistizio del 1943 quando le nostre truppe colà dislocate subiranno morte e deportazione. Valga per tutte la strage dell’epica Divisione Acqui a Cefalonia e Corfù.

Ritornando indietro nella Storia, per ostacolare la follia bellica dell’ottobre 1940 sarebbe stato necessario il Mussolini rivoluzionario del 1911, quando, alla testa dei “proletari” forlivesi, aizzò i partecipanti allo sciopero generale contro l’invio di truppe in Libia. Per due giorni Forlì fu teatro di disordini con tagli di fili telegrafici e blocco delle rotaie dei treni per impedire la partenza dei richiamati. Nel 1940 avrebbe dovuto impedire, con analoga foga rivoluzionaria, l’avvio di truppe verso il macello greco-albanese.

Ma ormai Mussolini ha subito la metamorfosi politica, è diventato il Duce dell’Italia fascista, di una Potenza militare che, evidentemente, esiste nella sua fantasia e sarà proprio lui a dimostrarlo con l’assurda aggressione alla Grecia, il Paese al quale voleva spezzare le reni.

Inconsciamente pose solo le premesse perché le reni fossero spezzate a lui.

Giuseppe Vollono

COLLEGATA: L’Esercito indigeno italiano: una realtà eroica – Le campagne di Grecia e Creta (1)

(prima edizione Gennaio 2005) novembre 2016

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