La classifica annuale giunta alla 23ª edizione redatta da ItaliaOggi e Università La Sapienza di Roma, in collaborazione con Cattolica Assicurazioni, vede quest’anno una sostanziale conferma, con le città del Sud sprofondare agli ultimi posti per vivibilità della vita.
I parametri principali sono stati: affari e lavoro, ambiente, istruzione e formazione, reddito e ricchezza, tempo libero.
Sicilia e Calabria purtroppo continuano ad essere i fanalini di coda della Penisola. L’ultima è Crotone (cittadina della Calabria ionica). Napoli la più popolosa città del Meridione scivola al 103° posto, seguita da Foggia.
Le città siciliane rimangono tutte in basso: Siracusa 104; Caltanissetta 101; Catania 100; Palermo 99; Messina 98; Enna 96; Agrigento 95; Trapani 92; Ragusa 84.
Al contrario si distinguono le città del Nord. Quest’anno è la provincia di Parma a conquistare la vetta (nella scorsa edizione era al 39° posto). Bolzano scala la classifica, dall’ottava alla terza posizione; Bologna che era 27ª ora è quarta; Milano, guadagna quaranta posizioni dalla 45ª alla quinta; così come Trieste dal settimo posto dal 40°;. Non da meno il salto che ha fatto Firenze da 31ª a sesta.
L
’OPINIONE
Non andiamo oltre nell’illustrazione della sopra citata classifica – tra l’altro sarebbe una prolissità non essendoci stati negli anni discostamenti in positivo – poiché da siciliani ci si fa il “sangue” fradicio” a leggere le analoghe condizioni negative da oltre cinquant’anni.
Purtroppo si continua ad assistere all’ennesimo eloquente trasversale fallimento socio-politico nel Sud e più in particolare in Sicilia.
Da queste pagine più volte si sono riassunte delle indicazioni che, forse, potrebbero gradualmente riportare ad una condizione di civiltà e progresso questo Sud, tanto raccontato, nominato, propagandato, enfatizzato ma fondamentalmente rimasto nelle grinfie della trasversale tracotanza (per usare un eufemismo) e suddivisione pubblico-politica legalizzatasi negli anni attraverso norme subdole (e gabelle vessatorie) su cui poi, dietro l’ufficialità e le retoriche di facciata, s’innesta corrompendo anche l’attività criminale.
Il criterio di base da noi seguito è stato riconsiderare la complessa quanto opaca “piramide” del sistematico sistema pubblico-politico, italiano e specialmente siciliano.
Spezzarne la cima (la testa) è pressocché impossibile, in quanto troppo in alto e ben protetta da quasi inscalfibili quanto premeditate norme dei Governi e Parlamenti. Ma sarebbe anche inutile farlo, stante che la “testa” come regolarmente è accaduto, verrebbe tempestivamente surrogata dai tanti, vari e trasversali interessi, con un’altra, magari ancora più “consolidata e allargata”.
È alla “base” che si dovrebbe operare, ridando il legittimo, costituzionale e civile diritto ai cittadini di potere partecipare efficacemente alla gestione della Cosa pubblica ad iniziare dai propri Enti locali.
Ma quando si è sottoposta tale necessità progressista, tutti: destra, sinistra, centro e movimento; hanno fatto “orecchio da mercante”.
In un recente articolo “31 Luglio 2021 I comuni siciliani in gravi difficoltà finanziarie ma un report denota inadatte gestioni” sono esposte alcune delle generali indicazioni con cui, si ritiene, si possa lentamente cercare dal basso di recuperare un po’ di etica che, poi, dovrebbe permeare il centro e infine la “testa”, in quanto di certo, una tale efficiente partecipazione cittadina influirebbe anche nella elezione dei candidati ai Comuni e quindi, a salire, in quelli regionali, nazionali ed europei.
Ma probabilmente è proprio quest’ultimo aspetto per cui non si vuole più ridare la facoltà concreta di presenza attiva al cittadino per come l’abbiamo proposta.
Insomma, sembra che la cultura mafiosa abbia almeno vinto in un aspetto: la politica, le istituzioni, la burocrazia, ecc. in Italia e soprattutto in Sicilia, hanno ormai incarnato quando altrettanto mistificato una visione assoggettante – per carità costituzionalizzatasi, pertanto tutto regolare.
Non potrà tuttavia durare ancora a lungo questo “acquitrino” politico-mentale che causa anche un lampante regresso socio-economico. Il tanto declamato attuale PNRR, in alcuni anni passerà e, sperando che rimanga praticamente qualcosa di esso sui territori (che non se lo “spartiscano” tutto come, notoriamente quanto rimosso, accade da sempre per ogni piano d’interventi), comunque non potrà presumibilmente risolvere granché in assenza di un radicale cambio di passo normativo-culturale.
(le altre informazioni regionali le trovi anche su Vivicentro – Redazione Sicilia)
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