MOSTRE / Vestone, fino al 31 luglio 2016
di Andrea Barretta
A Vestone una retrospettiva di Piero Giunni, pittore tra i più rappresentativi dell’arte informale italiana nella seconda metà del Novecento, e uno degli ultimi naturalisti, tra successi di pubblico e critica con importanti riconoscimenti tra cui la partecipazione alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma e alla Permanente di Milano
A unire Vestone e Bondone c’è il fiume Chiese che entrando e uscendo dal lago d’Idro ne traccia un percorso ricco di storia che accomuna la Valle Sabbia in territorio bresciano e la Valle del Chiese in quel del Trentino, a iniziare dal dominio Romano alla Repubblica di Venezia, dal rapporto con il monastero di Santa Giulia in Brescia e più verso il nostro tempo con le vicende della famiglia dei Lodron. Ora a gemellare questi due paesi, dal 9 al 31 luglio, provvede la mostra “Il linguaggio del colore: l’arte informale tra Vestone e Bondone”, organizzata negli spazi dell’Associazione di promozione culturale “Via Glisenti 43” di Vestone (Brescia), che si sta rivelando come importante polo culturale e artistico per le mostre e gli incontri che propone con l’alta sensibilità di un gruppo di lavoro ben impostato.
A emergere è il percorso culturale di Piero Giunni, un artista nato a Villa Cortese (Milano) nel 1912, che ha attraversato quasi l’intero Novecento tra avanguardie e movimenti per poi radicarsi nell’arte informale e terminare la sua vita ricca di successi nel 2000 a Bondone cui ogni volta giungeva da Milano senza prima fermarsi a Vestone e salutare i numerosi amici che, come ha sottolineato Giancarlo Marchesi, in rappresentanza del Centro Valsabbino di Ricerche Storiche, “in quegli stessi decenni vedeva la presenza di pittori come Solaro, Fiessi e Dolci, nonché del giovane Getulio Alviani”.
A parlarci, infatti, di questa importante retrospettiva con opere provenienti da collezioni private, promossa da Sergio Monchieri e Giovanni Zani, è in catalogo lo storico Marchesi introdotto alla vernice dal presidente dell’Associazione “Via Glisenti 43”, Gianfausto Salvadori, in quel “linguaggio del colore” precisato da Marcella Amigoni in riferimento ai circa quaranta lavori in mostra selezionati dagli anni Cinquanta ai Novanta, nel rappresentare “trascendenza e corporeità …. tra presenza e assenza di un soggetto mai imitato, ma evocato”. Mentre la presenza di Paolo Giunni, figlio dell’artista, ha portato una nota di sereno ricordo di un padre sempre impegnato nella casa-studio e fin dal mattino presto, tanto che era “talmente scontato per me bambino che tutti i genitori fossero pittori, da stupirmi molto alla scuola elementare, che i genitori dei miei compagni svolgessero altri lavori”.
Una mostra ben curata e di grande interesse per quello che gli espressionisti astratti americani negli anni Quaranta del Novecento basavano su esiti emotivi e liberatori dalle forme, e che in Europa si condensò nel dopoguerra nella ribellione non soltanto dalla “forma”, poi sfociata anni dopo nella diatriba tra figurativo e astratto, ma prestando un preminente interesse alla materia e agli oggetti di uso comune quotidiano, secondo le indicazioni date dal critico francese Michel Tapiè nel coniare nel 1952 il termine “informale” nel suo libro “Un art autre”, approntando e allargando lo sguardo alle arti tutte in un dibattito tra filosofia e letteratura, che coglie Giunni nella frequentazione dell’Accademia di Brera avendo come maestri: Achille Funi, Aldo Carpi e Carlo Carrà, e per compagni Ennio Morlotti, Bruno Cassinari, Gianni Dova, Alfredo Chighine, Aldo Bergolli. Mente, negli anni Quaranta, a seguito della chiusura di Brera per la guerra, va a Venezia, dove conosce nella locale accademia d’arte Gina Maffei che diverrà sua moglie.
Lo sviluppo di Piero Giunni sarà tra segno e gesto, fin dalle prime opere in quella pittura “di tocco” cui sicuramente s’è rifatto non foss’altro per la vicinanza a un altro milanese quale Arturo Tosi, ma che lascerà presto per una ricerca di nuovi valori espressivi, già nella prima personale del 1949 alla “Galleria Annunciata” di Milano, pur non rinnegando quell’impressionismo lombardo che sarà comunque parte fondante del suo excursus artistico. Egli, infatti, fissa sulla tela rappresentazioni con l’immediatezza di gradazioni accese e con l’apporto della luce che testimonierà l’altra via percorsa dal nostro pittore, che attuerà l’esplorazione materica indirizzata a potenziare il colore ad olio usato in maniera pastosa e densa. Non solo. Giunni si diversifica in un suo stile nell’indagare la natura, confermando semmai influenze reciproche su strade parallele con Morlotti e altri, ma allontanandosene nel momento in cui decide di diversificare i soggetti nei gialli e negli azzurri, nel verde sfrangiato in diverse tonalità, fino al rosso e ai grigi, e quando s’apre a proprie sperimentazioni, dando voce a quanto alcuna parte di critica assegnava all’informale il significato di “non-formale” e non di “senza forma”. Così, ad esempio, per artisti diversi tra loro come Pollock, de Kooning e Rothko, che pure sono considerati “informali”, oppure in Europa per Hartung, Mathieu e Fautrier con Dubuffet e Tapies, e ancora per Fontana e Vedova con Burri.
In questa mostra, però, il filo conduttore c’è, ed è l’andare nella crescita artistica di Giunni, al di là del pittore di estrazione figurativa collocato storicamente nell’informale, e questo per i pronunciamenti di masse spaziali, tanto che si potrebbe pensare come per lo stesso Dubuffet – considerato uno dei fondatori del movimento “informel” in Francia, ma che non si sentiva in questa etichetta – a un artista semplicemente e altrettanto, e soprattutto, libero da convenzioni affinché gli consentisse di leggere in modo straniante la terra che tanto amava e rivelarne aspetti inconsueti.
Il pensiero non può non andare a uno dei suoi primi paesaggi esposto alla Quadriennale di Roma del 1951, notato da Roberto Longhi che vi riconosce una pittura spontanea, e per quanto scrive lo storico dell’arte Francesco Arcangeli nel 1954, presentandolo alla “Galleria La Loggia” di Bologna, nell’affermare “la sua furia, talvolta esorbitante” in cui però riconosce motivi “di astrazione formale, da star quasi fra un De Staél e un Poliakoff (…), in una sua ispirazione nuovamente e umanamente nordica”. Mentre in quello stesso anno sarà ancora Arcangeli a definirlo come uno degli “ultimi naturalisti”, per quelle vedute tra Venezia e la pianura padana, le Langhe e le montagne del Trentino, che si evolvono nell’astrattismo per approdare negli anni Sessanta, e definitivamente, alla poetica dell’Informale – appunto – che genera in un proprio codice lirico allorquando diviene colore puro tra ricordi e pittura all’aperto. Suo principale motivo ispiratore, infatti, resterà comunque la natura e i paesaggi definiti, nel 1963, da Maurizio Calvesi come “macchiati, disfatti e dolci, teneramente tattili” in “un accento psicologico di solitudine”, e indugerà nel suo amore per le valli bresciane e trentine, nel trattenersi e nel percorrerne i sentieri in una sorta di “cammino” spirituale oltre che artistico, là verso le cime anelanti il cielo.
La spontaneità di Piero Giunni sta tutta qui, e nelle sue appassionate pennellate di colore. Nei campi di grano sotto il sole cocente o nei boschi che generano ombre, oppure nei cieli stratificati in candidi azzurri, oppure nelle tenui atmosfere delle rive dell’Eridio, nei fiori a grappoli in piccole affollate macchie o su per i monti tra marroni sovrastati dal blu. Così lo storico dell’arte Luca Pietro Nicoletti, a margine della mostra alla Galleria Marini, prende nota proprio di questo riempire fitto “di tocchi come gocce di pioggia, … respiro pulsante di una superficie in movimento”, e registra quanto Giunni esprimeva nella “ricerca di un’autenticità di sentimento, di umori della terra, di identità di luoghi e di natura, … con una implicita riflessione tonale e lombarda … spunto per trovare la luce interna alla materia”.
Nel 1956 Piero Giunni è alla Biennale di Venezia, premiato come “giovane pittore” (vi ritornerà nel 1958). L’anno dopo espone alla “Saletta” di Modena e nel 1962 la mostra a Milano presso la “Galleria del Milione” confermerà il suo valore ormai riconosciuto in campo nazionale. Seguono: il Premio Spoleto (1957), il Premio Marzotto (1958) e il Premio La Spezia (1959). Poi l’attività espositiva alla “Bergamini” quale galleria di riferimento dal 1970 al 1979, alla “Ponte Rosso” negli anni Ottanta, alla Permanente di Milano nel 1990 (con un’acquisizione della Collezione d’arte della Fondazione Cariplo), e in Svizzera alla “Matasci” di Tenero nel 1980 e alla “Colomba” di Lugano nel 1986 e nel 1988. Infine, della sua opera si sono interessati nomi prestigiosi della cultura italiana; tra questi oltre i già citati Calvesi e Arcangeli (che scrive di una natura “aggredita di fronte (…) entro poche misure, semplici, schiette, grandiose” in cui “l’occhio si tuffa entro una vertigine di spazio), gli storici dell’arte Franco Russoli e Arturo Carlo Quintavalle, gli scrittori Roberto Sanesi, Alberico Sala, i critici d’arte Luigi Carluccio, Roberto Tassi, Elvira Cassa Salvi, Mauro Corradini, Gianfranco Bruno. Mentre un’ampia bibliografia è stata raccolta con documenti e riproduzioni nella monografia “Materia e memoria” curata da Elda Fezzi (ed. Panda, 1976), in cui si osserva il valore implicito colto da Giunni nel “comportamento di lotta contro il presentimento della morte della pittura, contro la sua anche troppo rapida obsolescenza”, tanto che “nei suoi dipinti sembra soprattutto protagonista un’intensa metafora” come “sartiame che regge, consunto e piegato, un ultimo naviglio disperato passato per molte secche”.
Due mostre postume hanno confermato il vitalismo del messaggio dell’opera di Giunni. La prima nel 2001 alla “Galleria Ponte Rosso” di Milano, con opere dal 1960 al 1990, in cui Corradini ha descritto in catalogo la “materia di Giunni” che non è “solo nel rigoglio delle messi, ma anche nei muri sgretolati e consunti dal tempo, nelle figure più inquiete, come accade per le rive che scivolano verso il fiume, quasi a rigenerarsi nella lucentezza azzurra dell’Adda o del Po (…)”. Perché “la pittura di Giunni mantiene intatti i suoi segni vitali, continua fino alla fine a manifestare questa interiore forza, a proporsi e prodursi come un’immersione entusiastica nel mondo”.
La seconda sempre a Milano in marzo 2014, con il titolo “Piero Giunni. Il gesto e la foglia”, alla “Galleria Marini” con presentazione di Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, che appunta l’attenzione ancora una volta sul colore pastoso che “non è solo semplice materia, ma natura vivente”, in un equilibrio che reclama attenzione, “finezza dello sguardo, per non cedere all’essenzialità dell’informale e non eccedere nella minuzia della natura”.
Oggi, le opere esposte di Piero Giunni in “Via Glisenti 43” – in una rassegna cui ha partecipato l’Associazione Artisti Bresciani – ci danno qualcosa in più, ossia la percezione della qualità delle collezioni bresciane e la proiezione dell’Informale e della sua eterogenea applicazione della realtà naturale nell’euritmia cromatica di superfici tra evoluzioni e appartenenze non sovrapponibili delle matrici compositive del secondo Novecento. Così per altri artisti di quegli anni, come Santomaso e la sua “elaborazione del visibile”, mentre Pompilio Mandelli disfa la materia e Morlotti appronta cicli dedicati a vegetazioni dai consistenti impasti pittorici, ma anche Afro Basaldella, Corpora e Dorazio. Questo il tempo in cui si è plasmato il nostro autore e questi i motivi di congiunzione della mostra, nella traccia data da quel processo di sintesi che Piero Giunni condivide con i maggiori interpreti dell’arte moderna figlia delle avanguardie, giacché se l’informale mirava al dissolvimento, allora nelle tele dell’artista milanese possiamo cogliere la ricapitolazione dell’arte nell’arte, e sondarne gli stati d’animo per rappresentare la vita nella mimesi argomentata da Aristotele.
Andrea Barretta
“Piero Giunni. Il linguaggio del colore: l’arte informale tra Vestone e Bondone”, dal 9 al 31 luglio 2016, Spazio d’arte “Via Glisenti 43”, Vestone (Brescia), Via Glisenti 43. Orari: giorni feriali, 17 – 19; festivi, 10 – 12 e 15 – 21. Ingresso libero.
vivicentro.it/cultura – L’art autre di Piero Giunni in Via Glisenti 43 di Andrea Barretta
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