Mentre l’Amazzonia va a fuoco, un disastro maggiore si profila all’orizzonte. È venuto il momento di dire basta e speriamo che non sia troppo tardi.
La Terra va a fuoco: allarme incendi in Africa
G
li incendi della foresta pluviale amazzonica divampano e le iniziative per cercare di far fronte alla crisi si stanno moltiplicando, come le raccolte di fondi, le manifestazioni pacifiche e altre iniziative in tutto il mondo. Si pensi che la petizione internazionale di Change.org “Prevenire la deforestazione e lo sfruttamento dell’Amazzonia!”, ha superato in pochi giorni 5 milioni di firme.
Ma mentre l’attenzione di tutti è rivolta al Sudamerica, una crisi ambientale ancora più grave si profila all’orizzonte. Il cuore dell’Africa va a fuoco.
A lanciare l’allarme è Greenpeace, che denuncia la drammaticità della situazione e l’urgenza di interventi tempestivi da parte delle autorità governative dei Paesi del bacino del Congo.
Un disastro immane, ancora più grande di quello amazzonico, che è possibile quantificare soltanto guardando le immagini satellitari della Nasa.
Vista dall’alto, la zona subsahariana appare completamente rossa, puntellata da migliaia di incendi, circa 10.000 roghi (tre volte più estesi del Sudamerica), che da settimane stanno distruggendo la foresta pluviale tra Angola, Congo e Zambia.
Più si distrugge la foresta pluviale africana, uno dei più grandi polmoni verdi del mondo che ogni anno assorbe 115 miliardi di tonnellate di CO 2 e importantissimo regolatore del clima del pianeta, e più aumentano la siccità e i cambiamenti climatici.
Tra le popolazioni indigene c’è sempre stata la pratica di appiccare incendi e di abbattere alberi per avere nuove terre da coltivare, un’agricoltura povera ed itinerante, fatta con mezzi rudimentali per l’autoconsumo.
Essa, responsabile della desertificazione di ampie zone dell’Africa, ha rappresentato sempre un grosso problema ambientale, ma ora la situazione sta precipitando. Perché?
Perché ormai circa un quarto della foresta pluviale del Congo, una superficie pari a 50 milioni di ettari, è di proprietà di multinazionali che la distruggono per creare nuove terre coltivabili o da utilizzare per l’allevamento del bestiame su vasta scala, per la produzione di alimenti molto richiesti dal mercato mondiale, come la carne.
La diffusione in ampie aree del mondo dello stile di vita occidentale con i suoi consumi, sta causando enormi problemi. Ogni azione umana provoca modifiche all’ambiente e tutti sappiamo che la produzione di cibo è un’attività a forte impatto ambientale.
Pensiamo al consumo idrico (ben il 90% dell’acqua usata dall’uomo serve per produrre il cibo che mangiamo: circa 3500 litri al giorno per il fabbisogno alimentare di ogni occidentale), alle emissioni di gas serra ( ben il 25% dei gas è dovuto alla produzione di cibo), e all’impiego del suolo.
Proprio la ricerca di nuove terre provoca i disastri maggiori: pur di aumentare la disponibilità alimentare si distruggono ogni anno, senza alcun rispetto migliaia e migliaia di ettari di foreste, con i loro delicati e complessi ecosistemi, un patrimonio di biodiversità animale e vegetale irrimediabilmente perduto.
Ecco perché anche noi occidentali, con le nostre abitudini alimentari, siamo direttamente responsabili di questi disastri ambientali e dei cambiamenti climatici che ne derivano.
E mentre in tutto il mondo assistiamo impotenti all’aumento esponenziale di fenomeni metereologici estremi (come cicloni, caldo tropicale, tempeste e gelate fuori stagione), da settimane le fiamme continuano a devastare il cuore dell’Africa, dell’Amazzonia, della Siberia.
Non è ammissibile che gli scriteriati scempi ambientali, perpetrati per gli interessi economici di poche persone, mettano a repentaglio la nostra vita e quella delle generazioni future o portino addirittura alla catastrofe totale.
Non si può più aspettare. È venuto il momento di dire basta e speriamo che non sia troppo tardi.
Lascia un commento