Servono politiche a sostegno del lavoro e contro le diseguaglianze. Sono convinto che una pratica del genere sia di sinistra.
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O MOLTO piacere di aver letto sul Messaggero di ieri il primo articolo di Luca Ricolfi che fin qui collaborò con Il Sole 24 Ore con articoli a volte più tecnici che politici. Ricolfi tocca un problema centrale per le società moderne: il lavoro e l’occupazione. È un tema della massima importanza e lo è sempre stato sia per i suoi aspetti politici sia per quelli economici e sociali. Vorrei aggiungere che Ricolfi accenna nel finale del suo articolo a questo tema senza però svilupparlo. Il lavoro e l’occupazione ovviamente non esauriscono affatto la natura di una società ma la caratterizzano con le loro diversità. È diverso il tasso di occupazione tra giovani e anziani (direi che i cinquantenni sono il punto di divisione tra le due stagioni). È diverso se il lavoro viene offerto da grandi o da medie o da piccole imprese, alcune addirittura di carattere familiare. È diverso il modo in cui lo Stato aiuta queste varie categorie imprenditoriali. È diversa la mobilità del lavoro, che in larga parte dipende dalla natura delle produzioni e dei materiali tecnici applicati. E anche il commercio, se è confinato all’interno di un’area limitata o è invece esteso al mondo intero. In sostanza lavoro e occupazione caratterizzano una società e spesso addirittura un’intera Nazione e/o un aggregato di Nazioni.
Fin qui non abbiamo ancora parlato di altri tre aspetti fondamentali, necessari per una visione d’insieme della vita sociale: la politica, l’immigrazione, la povertà.
L’esame di questi tre aspetti permette una visione completa della storia del mondo in cui viviamo.
Cominciamo dal tema dei poveri, il più sentito dalle religioni e da quella cattolico-cristiana in particolare.
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Dalle religioni cristiane certo, perché Gesù di Nazareth che ne fu il fondatore era un povero che predicava ai poveri. Ma in realtà i poveri furono l’alimento di quasi tutte le sommosse, le predicazioni e le rivoluzioni nella storia d’un mondo sempre più affollato come numero d’abitanti.
La ricchezza non è quasi mai stata la condizione generale d’un Paese e neppure di una singola regione. È molto raro che ciò sia accaduto. In una società territorialmente vasta i poveri sono sempre stati la maggioranza, rivaleggiando spesso con il ceto medio. La minoranza era la classe ricca, nobile, spesso anche detentrice del potere politico. Sommosse e rivoluzioni modificavano profondamente questo stato di cose, ma in breve tempo tutto tornava come prima. Spesso la composizione sociale e politica era cambiata e i rivoltosi di ieri diventavano i potenti e i ricchi di oggi, ma il numero era fortemente rimpicciolito e la natura del ceto medio era cambiata. Questi erano i sommovimenti provocati dalle rivoluzioni. Assai meno dalle sommosse, i cui effetti sociali duravano ben poco e tutto riprendeva come prima, con qualche misura punitiva che sanzionava il fatto di essersi ribellati.
C’è un punto tuttavia sul quale converrà soffermarsi: i poveri. Possibile che ci siano sempre stati e sempre ci saranno? Il mondo va avanti, la vita sempre cambia, la tecnologia è in crescita costante, ma i poveri sono lì, senza lavoro, senza reddito compatibile, senza le forze di eliminare o almeno fortemente modificare quella loro condizione.
A volte il loro numero, in rapporto al numero totale degli abitanti di quel territorio, diminuisce e questo è un gran successo. Stabilmente? Sì, a volte stabilmente. Nella società comunista, dalla fine dell’ultima guerra (vittoriosa) ad oggi con la Russia di Putin, i poveri sono diminuiti se non addirittura scomparsi. Sono abbastanza prossimi al ceto medio. Forse è quest’ultimo che ha abbassato il proprio tenore di vita.
Comunque, in una visione d’insieme, le condizioni generali sembrano apparentemente aver eliminato i poveri. C’è però un peggioramento di altra natura ma di non minore gravità: hanno perso la libertà. Non totalmente ma sostanzialmente. Si dirà che è meglio un miglioramento sociale che un peggioramento politico. Dipende dai punti di vista.
Insomma e per concludere su questo punto, i poveri ci sono sempre. Variano le cause della loro esistenza. La causa di oggi ha come effetto l’emigrazione. Da alcune zone del mondo, per ragioni economiche e politiche, interi popoli si allontanano cercando uno stato sociale più conveniente, ma non lo trovano, anzi precipitano in sistemi peggiori, morte compresa o prigionia o prostituzione o schiavitù. Comunque suscitano problemi sociali e politici nei Paesi nei quali arrivano. La pratica di quei Paesi (di fatto l’Europa e soprattutto quella che si affaccia sul Mediterraneo, ma anche il Medio Oriente) è duplice: c’è una parte della pubblica opinione che vuole chiudere loro le porte in faccia e ributtarli a mare; un’altra parte vede il beneficio economico di farli lavorare, magari pro tempore e clandestinamente. Infine un’altra parte ancora cerca di ricondurli alla zona di partenza, mutando sul luogo le condizioni e creando lavoro e reddito compatibile.
Questa è la linea che le tre maggiori potenze dell’Europa mediterranea, Francia, Italia, Spagna, più la Germania per ragione di autorevolezza politica, stanno ora perseguendo.
Questa politica farà scomparire i poveri? Purtroppo no. Indicherà piuttosto sui territori le persone coinvolte dai suddetti programmi, ma i poveri dei Paesi africani, e non soltanto quelli ma molti di più, rappresentano a dir poco mezzo miliardo di persone dei quasi otto miliardi che abitano il pianeta.
Mezzo miliardo o, più probabilmente, ottocento milioni di poveri, derelitti, decisi ad abbandonare i loro Paesi e ad affrontare la libertà di movimento con tutti i rischi, le avventure e la morte alla quale vanno incontro.
Papa Francesco, che è per ovvie ragioni estremamente sensibile all’esistenza e alla terribile vita dei poveri, ha definito questo fenomeno con la parola «meticciato» al quale dà per molte ragioni un significato positivo.
Ne abbiamo parlato più volte su queste colonne, ma oggi torna ancora un’occasione attuale. I popoli decisi a muoversi oggi vivono in condizioni di estrema indigenza e puntano all’emigrazione possibilmente verso l’Europa. Non vengono soltanto dal Sud del mondo, ma anche dall’Est.
La Chiesa vede l’intreccio culturale, sociale e sessuale tra popolazioni profondamente diverse come un fatto molto positivo e da parte sua lo incoraggia; ne predice la positività; esorta verso politiche che favoriscano il fenomeno e ne traggano anche conseguenze religiose. Papa Francesco, come è noto, predica l’esistenza di un Dio unico che affratella tutte le razze umane e stronca i fondamentalismi religiosi che ancora insanguinano il pianeta.
Il Dio unico, per chi ha fede, e il mescolamento delle razze che dà luogo al meticciato sarebbero avvenimenti decisivi contro la povertà e a favore di politiche consone a raggiungere quei risultati. Politiche che sostengano lavoro e occupazione, specie per i giovani, aiutando gli anziani con pensioni che assicurino loro la vita, e puntino sulla lotta alle diseguaglianze, sul taglio consistente del cuneo fiscale e sul suo finanziamento attraverso imposte di natura patrimoniale.
Una pratica del genere può definirsi di sinistra? Personalmente sono convinto che sia una politica di sinistra e mi auguro un governo, dopo la naturale scadenza della legislatura, che la attui e la diffonda a livello europeo. Sarebbe un passo essenziale anche per l’unità dell’Europa, che non cesso di auspicare federale e quindi unitaria e democratica, con l’obiettivo di far diminuire o addirittura di abolire la povertà nel nostro continente.
repubblica/La strada maestra per vincere la sfida della povertà EUGENIO SCALFARI
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