C
’è una Repubblica delle Ragazze e dei Ragazzi che in questo 2 giugno 2016 ci chiede di essere guardata e ascoltata. È composta, tra gli altri, da quegli studenti italiani che grazie a un bando ministeriale hanno detto la loro sulla scuola, e dunque la società , che vorrebbero. Ne sono usciti una serie di progetti ispirati alla ricerca del dialogo e alla connessione: spazi circolari, aule aperte, bacheche digitali, conoscenze da condividere e commentare come in un grande social network della mente.
Proposte e progetti emersi a dispetto di una educazione – quella offerta loro dagli adulti e dalle scuole attuali – oscillante tra eccessi di autoritarismo e orientamenti deboli, e resa paradossalmente più fragile da una serie di «ineducazioni» che caratterizzano quest’epoca, a settant’anni dalla nascita della Repubblica. L’educazione digitale ad esempio, che i ragazzi hanno appreso per lo più da autodidatti, circondati da adulti tendenzialmente in ritardo e spesso impauriti di fronte alla gestione dei nuovi supporti.
Loro sembrano sapere meglio di altri che non basta essere nativi digitali per imparare a muoversi nelle praterie del Web, ma in quanti hanno saputo trasmettere alle nuove generazioni le regole di una corretta andatura appresa nei campi delle vecchie scuole, spesso né peggio né meglio di quelle di adesso? L’educazione ecologica, quella che si ispira al riutilizzo di materiali esistenti, che guarda ai processi di produzione interrogandosi sui singoli passaggi della filiera, esige trasparenza e in alcuni casi il coraggio di rinunciare alle merci in eccesso. E ancora l’educazione sessuale, che dopo la liberazione degli Anni 70 e le ricadute dei decenni successivi non è stata in grado di dare sufficiente spazio alla parola, ai verbi, ai complementi, tutte cose che servono ad aumentare i margini di confronto e le soglie di tolleranza. Perché mai – si chiedeva di recente un articolo sul magazine The Atlantic – a un bambino si insegna a far di conto con le dita prima di passare al calcolo mentale e poi arrivare alle equazioni, e invece per il sesso ancora troppo spesso si tace, si rimanda, si fa finta di niente, per poi aspettare che i motori di ricerca svolgano il compito che altri hanno mancato?
Ecco, malgrado tutto questo, e chissà forse proprio in forza di tante negligenze, lo spirito mostrato dal progetto #scuoleinnovative va nella direzione di una correzione del passato non grazie a chissà quali rivoluzioni, ma al dispiegamento di idee, di quel potenziale creativo che viene non dai colpi di genio, ma dallo scambio di persone chiamate a collaborare per un miglioramento collettivo. Niente di molto diverso, a ben vedere, da quello che settant’anni fa portò alla nascita di una Repubblica.
Anche le grandi aziende se ne sono rese conto, come dimostrano i progetti di Smart Coding avviati da Samsung nelle scuole elementari e medie per insegnare la programmazione di software ai più piccoli, o le 218 borse di studio che Fiat Chrysler e Cnh Industrial hanno consegnato l’altra sera a giovani ingegneri, biochimici, archeologi e filosofi per aiutarli a vincere la loro scommessa col futuro. Un’alleanza delle idee tra istituzioni, aziende e nuove generazioni sembra oggi l’unica in grado di arginare le forze oscurantiste che premono nelle faglie più profonde della società e di far sì che anche le marginalità possano tentare di conquistare il centro della scena.
vivicentro.it/cultura –  lastampa/La Repubblica dei ragazzi vuole spazio FRANCESCA SFORZA
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