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Castellammare di Stabia

La gita a Faito dopo Pasqua. Dopo mille anni, “incontro” con i santi Catello e Antonino

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A

nche quest’anno, in occasione del lunedì in Albis, si è rinnovata la lunga tradizione della gita pasquale sul Monte Faito. Sulla scia degli antichi pellegrinaggi, infatti, fedeli e non, si sono incontrati nello storico santuario “con i santi Patroni di Stabia e Sorrento”.
La storia di tale montagna, sulla quale sorge il santuario dedicato all’Arcangelo Michele (più volte ricostruito e in luoghi diversi a partire dal secolo decimo circa, è lunga e segnata da episodi anche sanguinosi. Alle falde dei Monti Lattari (Mons Lactarius), così indicato per l’abbondanza di pascoli e vegetazione, e quindi produzione di latte e carne, ebbe luogo, nel 552, la battaglia tra bizantini e Ostrogoti, rispettivamente comandati da Narsete e Teia (morì), che segnò la vittoria dell’Impero romano d’Oriente: lo scontro finale ebbe luogo poco oltre Castellammare di Stabia ed ha lasciato il nome alla località ‘Pozzo dei Goti’). Poi il Monte è stato luogo di invasioni, scorrerie, rappresaglie.
Oggi si va sul Faito come tanto tempo fa, ma “in veste moderna”: la comitiva, una delle tante, si attrezza alla men peggio, con pantaloni anti-graffi (chi li tiene), qualche giaccone pesante, zaino, zainetti e portavivande, senza trascurare, ovviamente recipienti per attingere l’acqua alla fonte della lontra. E le donne?, beh, fanno del loro meglio: pantaloni un po’ pesanti, meglio plaids (al posto della gonna e dei calzettoni di una volta), golfi e golfini, attrezzi e aggeggi personali.
Poi, giunti ad una certa altezza, si cerca uno spiazzo “comodo, perché oggi siamo già tutti un po’ stanchi…” e si “piantano le tende”. Così si diceva. Si sistema il tutto a terra “vettovaglie”, tovagliato e quanto altro può essere di qualche utilità. In tempi in cui mancavano televisione, internet e cellulari, si ricorreva a qualche giradischi, qualche radiolina. Poi “sciorinato” il tutto, venivano fuori pizze di pasta (mastodontici timballi di maccheroni) e poi cotolette,  salami e salcicce, uova sode, parmigiane bevande varie, un po’ di vino, un po’ di aranciata o limonata, qualche bottiglia grande di CocaCola (poi arriveranno le lattine). Trascorse alcune ore, si abbandonava alla sua…sorte il piccolo fuoco acceso con l’inutile speranza di arrostire un pezzo di carne. Si lasciava a terra scrupolosamente tutto il rimasto, cartacce, fogli di giornali, involucri ritenuti inutili da portare a casa, bottiglie e bottigliette, rimasugli di cibi, forse lasciati anche per gli animali notturni. A quel punto, a bravura fatta, in barba a tutte le regole da osservare per la protezione dell’ambiente, ci si cominciava ad alzare e rassettarsi un po’, riprendersi dalla fatica sostenuta per mangiare, bere e scherzare.
Poi si riunivano varie comitive (una quarantina di coppie?) e si prendeva la via per raggiungere il Santuario: per molti era la meta principale ma la salita era un po’ aspra, faticosa specie per le ragazze. Comunque, la grande comitiva che si muoveva, comprendeva almeno una settantina tra giovani e ragazze, però strada facendo molte coppie si…disperdevano, ma molte, bisogna dirlo per onestà, raggiungevano la chiesa, nella quale, in forma e tempi diversi, pregavano i santi Catello e Antonino.
Certo, oggi esiste il Santuario, officiato dall’abate canonico don Catello Malafronte che, per missione e passione, svolge una intensa attività pastorale soprattutto fra i giovani. Ma secoli fa?
E proprio all’abate-rettore della chiesa viene posta la solita domanda…sull’antichità della chiesa e dei Santi. Lui non ha una risposta precisa, non dispone di dati storici. Ciò che può dire, e dice, che i Santi sono antichissimi…anche la chiesa è antica.
Beh, antica, quanto? Le prime notizie risalgono almeno a mille anni or sono. Ma rimane il dubbio. E’ vago, molti che vorrebbero notizie un po’ più dettagliate. Quanto tempo fa?
Beh, gli agiografi locali non si sono messi ancora d’accordo.
Secondo il vescovo Milante, serio ed accorto studioso, san Catello e sant’Antonino avrebbero recitate le loro preghiere nel secolo IX –X. Secondo gli studiosi del Vaticano, visto che la mischia è accanita, da parte mia non posso che proporre di consultare l’autorevole ‘Bibliotheca Sanctorum’: Agostino Amore, occupandosi del Patrono di Sorrento, vi riporta con sicurezza la data del 14 febbraio 830, scrivendo tra l’altro che ‘.. Antonino, durante le scorrerie dei Longobardi nella Campania, dovette abbandonare il suo monastero (non si tratta però di Montecassino, come qualcuno ha pensato) …’. Vi si rimanda agli ‘Acta Sanctorum Februarii’, Aigrain, al Lanzoni, al Martirologio Romano, al Mallardo, al Baudot –Chaussin, il Caracciolo, il Della Noce, l’Ughelli, il Mabillon, il Milante, il Muratori. Tutti per il 14 febbraio 830.
E poiché ognuno può scrivere ciò che vuole, ovviamente in piena libertà anche senza alcuna cognizione inerente la metodologia della ricerca sociale, basata soprattutto sul confronto di date e notizie, perché, è opinione comune che l’attribuzione di maggiore anzianità può rendere il Santo più “potente”.
Dell’altro gruppo, quello degli studiosi locali, fanno parte mons, Francesco Di Capua, Giovanni Celoro Parascandolo, Giuseppe D’Angelo, Angelo Acanfora e altri che sostengono l’appartenenza dei Santi al VI – VII secolo.
Gli scrittori locali, che hanno il merito di mantenere viva la discussione, appassionata, forse non confrontano le date, le idee, i fatti salienti che hanno caratterizzato la vita di quei tempi, i personaggi, ecco: se sant’Antonino è del nono secolo, secondo l’elenco ufficiale dei santi, come si può collegarlo a san Catello?, si tratta magari di due S. Antonino? E’ possibile!, non è peccato immaginare che due Santi con lo stesso nome siano vissuti in due epoche diverse.
(non si tratta però di Montecassino, come qualcuno ha pensato) … Vi si rimanda agli ‘Acta Sanctorum Februarii’, all’Aigrain, al Lanzoni, al Martirologio Romano, al Mallardo, al Baudot -Chaussin. E poi ci sono quelli citati dall’avvocato: il Caracciolo, il Della Noce, l’Ughelli, il Mabillon, il Milante, il Muratori. Tutti per il 14 febbraio 830.
Dell’altro gruppo, quello degli studiosi locali, fanno parte mons, Francesco Di Capua, Giovanni Celoro Parascandolo, Giuseppe D’Angelo, Angelo Acanfora e altri che sostengono l’appartenenza dei Santi al VI – VII secolo.
Gli studiosi locali non confrontano le date, le idee, i fatti salienti che hanno caratterizzato la vita di quei tempi, i personaggi, ecco: se sant’Antonino è del nono secolo, secondo l’elenco dei santi, come si può collegarlo a san Catello?, si tratta magari di due S. Antonino? E’ possibile, non è peccato immaginare due Santi con lo stesso nome vissuti in due epoche diverse.
Sia oggi, quindi, sia nei secoli passati, il santuario di san Michele, costruito e ricostruito in diversi posti, prima in legno, poi in "solida fabbrica", accoglie numerosi fedeli, specialmente nel giorno della Sua festa: il 29 settembre.
C’è il “problema” dell’anzianità di S. Antonino: è stata una “anzianità” voluta e sostenuta dai sorrentini, si dice, per ottenere la dignità di arcidiocesi. Ma di queste “miserie umane” certamente i due Santi dal cielo sorridono e assolvono.
Secoli dopo, negli anni ‘50 e ‘60, se volevi far bella figura, dovevi portare i tuoi ospiti a Monte Faito. La strada Moiano- Faito non esisteva ancora, bisognava salirci in Funivia oppure per la Strada Privata di Quisisana. “La funivia funzionava tutto l’anno e il massimo dello chic, specie d’inverno, era saltarvi dentro e sbarcare a Monte Faito , fermarsi al Bar della Funivia e ordinare la famosa cioccolata calda di Eugenio o un bel doppio Kummel (all’epoca si portava) , fare quattro chiacchiere con gli amici e osservare dalle vetrate la caduta della neve sul Piazzale della Funivia”. Il bar era elegante,ed i clienti pure. Vicino c’era il Grand Hotel Monte Faito, con gli allievi della sua Scuola-Convitto Alberghiera che studiavano e facevano tirocinio in albergo tra posate d’argento e vasellame raffinato, tappeti ed arazzi pregiati. Di fronte, lo Chalet in legno pullulava di villeggianti che ,anche d’inverno, preferivano trascorrervi i fine settimana e le vacanze di Natale divertendosi nella faggeta, dove potevano usare il piccolo impianto di risalita per le loro imprese sciistiche. E la sera tutti al Cinema Teatro Ciclamino ,una sala con platea e ampio loggione al primo piano. Personaggi dello spettacolo in auge a quel tempo intrattenevano i villeggianti nelle loro feste. D’estate al Centro Sportivo, costruito dai villeggianti proprietari di villette, si disputavano gare di tennis, pattinaggio, basket, nuoto in piscina, insomma un centro “turistico” per ricchi, una piccola stazione dei Carabinieri, una scuola elementare pluriclasse, la stazione della Guardia Forestale e un’Infermeria. “villaggio alpino”…. L’economia di Vico e soprattutto della zona alta girava intorno alla montagna. Un autobus di linea partiva da Napoli per il Faito…passeggero d’eccezione fu Alcide De Gasperi che vi trascorse il Capodanno del ’52. Ma anche Giorgio la Pira partecipò a un convegno al Faito. Molte foto storiche le esposi in una Mostra Fotografica organizzata dalla Pro Faito in occasione del 60° anniversario della fondazione del Villaggio. Al Piazzale Funivia c’era l’Ufficio Postale e più avanti una Stazione Meteo , un acquedotto privato serviva il villaggio ben prima che fosse costruito l’Acquedotto Penisola Sorrentina…A Vico attingevamo a pozzi e fontanelle pubbliche, ma al Faito avevano già ”l’acqua in casa”. Un depuratore trattava i liquami , in un’epoca in cui i depuratori erano quasi sconosciuti in Italia, e le fogne sconosciute a Vico. Il Villaggio, si legge in una nota di Vico Equense, non firmata, era gestito come un lussuoso condominio dalla Società Monte Faito ,all’epoca proprietaria della montagna.
Arrivò il boom economico e ben presto gli usi e i costumi cambiarono, si diffuse il possesso di auto private, si viaggiava su e giù per l’Italia, non si faceva più la villeggiatura per 3 o 4 mesi all’anno, i figli non andavano più in vacanza con i genitori , sorsero altre abitudini: le ferie in giro per il mondo, ognuno per conto suo, entrambi i genitori impegnati nel lavoro anche d’estate… e il villaggio man mano si spopolava , con la continua perdita di tutti i servizi: Guardia Forestale, Carabinieri, Ufficio Postale, Fattoria, scuola, cinema, distributore di benzina, negozi … Molte case
cominciarono a restare chiuse anche d’estate e quindi trascurate. Il Centro Sportivo fu ceduto alla Società Monte Faito per l’impossibilità dei proprietari a continuare a gestirlo. Con l’apertura negli anni 60 della strada Statale Moiano-Faito ( percorsa da Aldo Moro nel viaggio inaugurale), il villaggio ,da privato ed esclusivo, era diventato prevalentemente di uso pubblico. In realtà lo era anche prima: non si capisce infatti come in un villaggio privato potessero esserci una Funivia, una stazione dei Carabinieri, un ufficio Postale…mistero! Ma la cosa si complicò ancora di più con questa nuova strada statale e il traffico di veicoli che ne derivò, Le strade si usuravano rapidamente, i costi a carico della Società e dei proprietari “condomini” aumentavano, e man mano si rallentarono gli interventi di manutenzione fino all’azzeramento totale. La Società Monte Faito in seguito passerà più volte di mano fino a  Fintecna ( tutte del gruppo IRI) ma nessuno di queste Società si curerà mai della montagna.
Oggi, bisognerebbe affrontare la situazione di Monte Faito con coraggio, con un programma di fattibile sviluppo. Stanare innanzitutto, se ci sono, delinquenti e persone di male affare, per intenderci, quelli che provocano incendi, quelli che fanno furti nelle case disabitate specie nei mesi invernali, quelli che seminano piante stupefacenti, quelli che vogliono aprire nuove strade per usi e consumi propri.
Dopo ciò, ma il cronista potrebbe continuare, occorrerebbe nuovamente la presenza soprattutto dei carabinieri e delle altre forze dell’ordine.
Fatto il “repulisti”, necessariamente, si può cominciare a…ragionare.

Antonio Ziino

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