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La Finanziaria all’ARS è stata approvata spalmando il disavanzo con decennali tasse sui siciliani. Sentenza della Corte Costituzionale

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La Finanziaria, dopo le paventate dimissioni di Musumeci, è stata approvata spalmando trentennali tributi. Cose siciliane. Sentenza della Corte Costituzionale.

L’attuale Governo di centrodestra della Regione siciliana ha trovato la soluzione su dove reperire nell’immediato i soldi per mantenere l’incancrenito decennale sistema regionale, così non rischiando la crisi.

In pratica, la maggioranza ha presentato e approvato un emendamento che spalma in 30 anni l’intero disavanzo da 2,1 miliardi rilevato dalla Corte dei Conti così sbloccando subito i pagamenti e cancellando i tagli. La Giunta regionale si è mossa quindi come se a Roma fosse già stata approvata la norma con cui la Regione ha chiesto di fare questa operazione. Norma che invece a Roma finora non è passata. Cose siciliane. Evidente retaggio culturale di decenni di inciuci e trasversali accordi politici sottobanco sulla pelle dei siciliani (e degli italiani).

È stato approvato anche un articolo che consente la sopravvivenza di Riscossione Sicilia, che in base a una vecchia legge doveva essere chiusa entro la fine del 2018. Il nuovo termine è quello del 31 dicembre 2019 ma la norma approvata nella notte prevede, a differenza della precedente, che se dovesse fallire l’intesa con lo Stato per far acquisire Riscossione dall’Agenzia delle Entrate allora la Regione deve dar vita a una nuova società partecipata mantenendo la gestione diretta del servizio e salvaguardando i 700 dipendenti. Cose siciliane.

Ci sono state forti proteste dei 5stelle, in particolare quando è stato previsto che si possano prelevare 20 milioni dal fondo Pensioni della Regione per vendere al predetto fondo alcuni palazzi incassando 20 milioni. Cioè la Regione vende a se medesima. Cose siciliane.

È stata votata una norma a favore di comuni siciliani che hanno raggiunto almeno il 65% di raccolta differenziata, i Comuni che hanno vinto il premio Borgo più bello d’Italia, quelli che sono insigniti della bandiera blu per la loro spiaggia e poi i centri storici di Ortigia a Siracusa e Ibla a Ragusa. Non c’è, guarda caso, mai qualcuno che si domandi come mai, seppure in questi Comuni cresce la raccolta differenziata e la Regione da loro anche dei contributi, le tasse sulla Tari aumentano lo stesso.

E’ stato approvato un emendamento che consentirebbe di superare il parere della Corte dei Conti che ha bloccato la firma di circa 8 mila contratti. Secondo i magistrati contabili, i sindaci dovrebbero riservare la metà dei posti e dei fondi disponibili ad assunzioni di esterni. Con la norma approvata la Regione precisa che ai fini delle stabilizzazioni i sindaci possono impiegare il 100% delle risorse disponibili per trasformare i contratti a tempo determinato in posti a tempo indeterminato. La Regione continua a garantire agli enti locali 180 milioni all’anno per le stabilizzazioni.

L’assessorato al Territorio potrà rilasciare nuove concessioni per realizzare lidi, bar e ristoranti fino al 2020. È stata approvata la norma, emendata però in modo influente dai 5stelle che hanno imposto di procedere alle nuove concessioni “con procedura di gara pubblica”. Le nuove concessioni possono essere rilasciate anche nei Comuni che non hanno completato il Pudm, il cosiddetto Piano spiagge.

È stata votata una norma che consente al governo di spostare in avanti il momento in cui il dipendente, maturati i requisiti, viene autorizzato a lasciare l’ufficio. La nuova norma permette all’Amministrazione reginale di attendere fino a due anni prima di concedere il prepensionamento, a condizione però, come hanno chiesto e ottenuto Pd e grillini, ci sia il consenso del dipendente.

Infine, la Regione potrà aumentare i consigli di amministrazione di tutti gli enti pubblici non economici. È una norma per ampliare il Cda del nascente Irca (l’ente che fonde Ircac e Crias) dando così spazio ai membri scelti dalle organizzazioni di categoria degli artigiani e delle cooperative, ma in sostanza con questa formulazione, la norma consente la riapertura di tutte le nomine non nel solo Irca  e in tutti gli enti pubblici non economici, dunque anche all’Esa e agli enti simili. Cose siciliane.

Però c’è un aspetto che si ritiene importante da segnalare a proposito dello spalmare in trent’anni il disavanzo regionale e che se fondato in pratica potrebbe rendere vana questa ennesima “cosa siciliana”.

Con la sentenza n. 18/2019, la Corte Costituzionale ha affermato che la procedura di prevenzione dal dissesto degli enti locali è costituzionalmente legittima solo se supportata da un piano di rientro strutturale di breve periodo. Non, invece, se questo piano si sviluppa su un arco di tempo troppo lungo. Per questo motivo è incostituzionale la disposizione di legge (art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, ovvero la legge di stabilità 2016) che consente agli enti locali, in stato di predissesto, di ricorrere all’indebitamento per gestire in disavanzo la spesa corrente per un trentennio.

Spiega la Consulta, “non corrisponde ad un formale pareggio contabile, essendo intrinsecamente collegato alla continua ricerca di una stabilità economica di media e lunga durata, nell’ambito della quale la responsabilità politica del mandato elettorale si esercita, non solo attraverso il rendiconto del realizzato, ma anche in relazione al consumo delle risorse impiegate. È evidente che la norma censurata si discosta radicalmente da tali parametri, consentendo di destinare, per un trentennio, in ciascun esercizio relativo a tale periodo, alla spesa di parte corrente somme necessarie al rientro dal disavanzo. La procedura di prevenzione dal dissesto degli enti locali – chiariscono i giudici di Palazzo della Consulta – è costituzionalmente legittima solo se supportata da un piano di rientro strutturale di breve periodo. Il legislatore statale – sulla base dei principi del federalismo solidale – può destinare nuove risorse per risanare gli enti che amministrano le comunità più povere ma non può consentire agli enti, che presentano bilanci strutturalmente deficitari, di sopravvivere per decenni attraverso la leva dell’indebitamento. Quest’ultimo, ha rilevato la Corte, deve essere riservato, in conformità all’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, alle sole spese di investimento (cosiddetta regola aurea). «L’ordinamento finanziario-contabile», ammonisce la Corte, richiamandosi alla normativa, «prevede, in via gradata: a) l’immediata copertura del deficit entro l’anno successivo al suo formarsi; b) il rientro entro il triennio successivo (in chiaro collegamento con la programmazione triennale) all’esercizio in cui il disavanzo viene alla luce; c) il rientro in un tempo comunque anteriore alla scadenza del mandato elettorale nel corso del quale tale disavanzo si è verificato. In sostanza, la fattispecie legale di base stabilisce che: a) al deficit si deve porre rimedio subito per evitare che eventuali squilibri strutturali finiscano per sommarsi nel tempo producendo l’inevitabile dissesto; b) la sua rimozione non può comunque superare il tempo della programmazione triennale e quello della scadenza del mandato elettorale, affinché gli amministratori possano presentarsi in modo trasparente al giudizio dell’elettorato al termine del loro mandato, senza lasciare “eredità” finanziariamente onerose e indefinite ai loro successori e ai futuri amministrati; c) l’istruttoria relativa alle ipotesi di risanamento deve essere congrua e coerente sotto il profilo storico, economico e giuridico».

Per la prima volta la Consulta è stata chiamata a pronunciarsi su una questione incidentale promossa da una sezione regionale della Corte dei conti in sede di controllo sulla corretta attuazione della procedura di predissesto degli enti locali. La disposizione annullata è stata dichiarata in contrasto con gli articoli 81 e 97 della Costituzione sotto tre diversi profili di incostituzionalità: violazione dell’equilibrio del bilancio, in relazione alla maggiore spesa corrente autorizzata nell’arco del trentennio; violazione dell’equità intergenerazionale, per aver caricato sui futuri amministrati gli oneri conseguenti ai prestiti contratti nel trentennio per alimentare la spesa corrente; violazione del principio di rappresentanza democratica, in quanto sottrae agli elettori e agli amministrati la possibilità di giudicare gli amministratori sulla base dei risultati raggiunti e delle risorse effettivamente impiegate nel corso del loro mandato.

A

dduso Sebastiano

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