La famiglia Calò era il vanto di ogni buona sentinella del Family Day: padre, madre, quattordici figli e un cane. Unico metodo contraccettivo conosciuto, sigillare la porta della camera da letto prima dell’ingresso del partner, benché la chiusura risultasse molto spesso difettosa. Un’unione con tutti i cromosomi giusti, la quintessenza della tradizione e del secondo natura, da mandare in estasi mistica Alfano. Eppure la famiglia Calò aveva il destino nel nome ed è calata di un’unità quando, alla soglia dei cinquant’anni, l’inseminatore seriale ha preso atto di avere messo al mondo due squadre abbondanti di calcetto e se n’è andato di casa. Nel darne l’annuncio al programma televisivo Tagadà, la moglie ha ammesso che l’amore per un coniuge può finire, mentre quello per i figli non dovrebbe. Invece il signor Calò manifesta una diffusa forma di amnesia riguardo ai doveri di assistenza verso la smisurata prole.
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ell’incoscienza ribalda di certi maschi purtroppo si sa. Ma in questi giorni di disquisizioni sul concetto di famiglia, merita forse porre l’accento su come la maestosità dei dibattiti astratti finisca poi per infrangersi contro le onde dure della realtà. Per quanto la si voglia continuare a considerare un’istituzione, ingabbiandola dentro schemi rassicuranti, la famiglia è diventata un mero incontro di persone dominate da sentimenti instabili e volubili. Nella vita reale, così lontana dai dibattiti parlamentari, si procede a tentoni, caso per caso. E chi sventola ricette assolute in buonafede è un illuso. Se in malafede, un ipocrita.
*lastampa
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