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La disfida del ragù: bolognese contro napoletano, quale sarà il più buono?

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Per Sapori hanno svelato la loro ricetta perfetta l’emiliana Irina Steccanella, chef dell’Agriturismo Mastrosasso, e la proprietaria di Zi’ Teresa, uno dei ristoranti più antichi di Napoli.

“Adesso mi vuoi insegnare come si fa il ragù? Più ce ne metti di cipolla, più aromatico e sostanzioso viene il sugo. Il segreto sta nel farla soffriggere a fuoco lento”. Lo dice Rosa, uno dei personaggi indimenticabili di Edoardo De Filippo in uno dei suoi tanti brani che parlano di cibo e tradizioni culinarie. In questo caso una di quelle più famose d’Italia – napoletana ma non solo – ovvero il ragù tanto orgogliosamente rivendicato in “Sabato, domenica e lunedì”.

Condivisa, amata e contesa in egual modo dalla tradizione campana e da quella emiliana, questa ricetta affonda le sue radici molto lontano. Sia nel tempo che geograficamente. La parola che identifica questo sugo scuro, saporito e profumato deriva dal francese ragoût, ovvero oggi uno stufato – anche oltralpe -, ma una volta il sostantivo di un verbo imaginifico: ragoûter, che rimandava al senso di “risvegliare l’appetito” prima e che poi si è trasformato nell’immagine verbale di un condimento abbondante, a base di carne, usato anche per accompagnare altre preparazioni. Inizialmente identificato come ragoût anche in Italia, diventò prima ragutto in epoca fascista e poi è approdato al ragù che tutti conosciamo. E amiamo.

Oggi in Italia con questo termine si intende un sugo a base di carne macinata – ma non solo – cotto molte ore. Anche più di otto in alcune regioni, con variazioni da campanile a campanile che toccano il tipo di soffritto da utilizzare, i tagli di carne da aggiungere, la possibilità o meno di mischiare carne bovina e carne suina. Diffuso in maniera più o meno capillare in tutto il Paese, questo sugo però è figlio soprattutto della tradizione bolognese e di quella napoletana (con due ricette però diversissime tra loro), radicato nelle due culture in maniera fondamentale, tanto da diventarne simbolo. “Nel 1982 – racconta Irina Steccanella, chef dell’Agriturismo Mastrosasso, non lontano da Bologna – l’Accademia italiana della cucina ha depositato presso la Camera di commercio industria artigianato e agricoltura di Bologna” il testo ufficiale della ricetta del ragù bolognese “in modo da garantire la continuità ed il rispetto della tradizione gastronomica bolognese“.

Ragù bolognese

 Ragù bolognese

A Napoli è radicato nella storia e nei ricordi di tutte le famiglie, fin dal dopoguerra, quando ” dato che non tutti potevano permettersi di comprare la carne necessaria a cucinarlo – racconta Carmela Abbate, dello storico ristorante Zi’ Teresa al Borgo marinaro -, era uso presso molti signori, dopo aver mangiato, di sporcarsi la camicia con un po’ di sugo e scendere in strada”. Un vezzo, un modo “per vantarsi senza farlo notare del benessere economico che si aveva. Il ragù è sempre stato un simbolo”. Di uno status sociale “ma anche e soprattutto della tradizione domenicale del riunirsi in famiglia, di un senso di convivialità che qui è molto forte”. E che accomuna due città, seppur così lontane geograficamente.

Ragù napoletano Abbondante basilico, per il ragù napoletano

Un sugo profumato, corposo, che parla di tradizione, di storia, di tavolate infinite. Ma che siate napoletani, bolognesi o semplicemente amanti della buona cucina, voi quale ragù preferite? Raccolte per Sapori le “ricette perfette” della versione emiliana e di quella partenopea.

Il ragù bolognese (ricetta di Irina Steccanella, dell’Agriturismo Mastrosasso)

1. Partiamo dal classico soffritto: sedano carota e cipolla tritati. Nella versione tradizionale viene mischiato tutto in cottura, mentre io consiglio di far andare separatamente gli ortaggi. Si inizia con le carote e dopo cinque minuti si aggiunge tutto il resto.

2. La cottura del soffritto è importantissima: bisogna che duri almeno venti minuti a fuoco dolce, basso, per poter garantire il gusto inconfondibile al vostro ragù.

3. Quando mancano pochi minuti alla fine della cottura del soffritto, tenete a portata di mano una battuta di pancetta fresca e prosciutto crudo da aggiungere appena le verdure sono al punto giusto. Con una grande attenzione alla qualità dei salumi.

4. Il soffritto così si arricchirà del sapore e dei grassi di pancetta e prosciutto. Una volta dorati i primi ingredienti, andrà aggiunta la salsiccia, per donare gusto e morbidezza al nostro ragù.

5. Passo dopo passo, vanno aggiunti gli ultimi tagli di carne. Dopo la salsiccia andrà aggiunto il lombo di maiale e solo in seguito la carne macinata.

6. In un pentolino, su uno dei fuochi piccoli, va fatto bollire per qualche istante il vino rosso che verrà poi usato per bagnare la carne, una volta che tutte le parti aggiunte al soffritto saranno perfettamente rosolate. Questo passaggio gli fa perdere la parte alcolica che potrebbe dare un gusto non proprio piacevole alla carne.

7. Una volta sfumato ulteriormente il vino, va aggiunto finalmente il pomodoro. Che deve essere ben carico: ideale usare doppio concentrato.

8. Una volta versato il pomodoro e amalgamata bene la carne, la salsa va allungata con acqua, in modo da avere sufficiente liquido per tutta la durata della cottura e non doverne aggiungere in corso d’opera. In questa fase vanno poi aggiunti sale e pepe. Quest’ultimo rigorosamente macinato fresco.

9. La cottura: il ragù dovrà cuocere tre ore,tre ore e mezzo circa. Il tutto a fuoco lento e avendo l’attenzione di girarlo di tanto in tanto con un cucchiaio di legno.

10. A cottura ultimata si spegne il fuoco e si “ruba” un pezzetto di pane, lo si ricopre di abbondante ragù e una bella spolverata di Parmigiano Reggiano: e il gioco è fatto !!!

Il ragù napoletano. (ricetta di Carmela Abbate, titolare del ristorante Zi’ Teresa al Borgo marinaro).

1. Innanzitutto, va usato un ottimo olio per irrorare il fondo della pentola. Nei tempi antichi si usava lo strutto, ma oggi è consigliabile un extra vergine di oliva. In questo ingrediente nobile va aggiunto il necessario per il soffritto, con attenzione alla cipolla, che deve essere dorata/ramata e tagliata a quadrucci.

2. Dopo aver fatto delicatamente rosolare il soffritto va aggiunta – per una media di otto persone – la seguente carne: una puntina di maiale, che sia alta, un paio di braciole (che andranno cucinate secondo la ricetta classica, con uva passa, pinoli, parmigiano e prezzemolo), 3 o 4 salsicce, mezzo chilo di muscolo e mezza gallinella di maiale.

3. I pezzi vanno aggiunti uno alla volta e fatti rosolare lentamente, girando di tanto in tanto la carne fino a farla diventare dorata e avvolta da una leggera crosticina.

4. Appena la carne è al punto giusto di rosolatura, aggiungere un generoso bicchiere di vino e farlo sfumare. Se non si vuole un ragù troppo scuro, troppo nero – com’era invece nella tradizione -, aggiungere del buon vino bianco.

5. Una volta sfumato il vino, andrà aggiunto il pomodoro. Con grandissima attenzione alla qualità della passata che si utilizza, perché andrà a trasformare del tutto il sapore finale del piatto.

6. Il segreto del ragù napoletano sta nel tempo di cottura. Regola vuole che resti a puppuliare (sobbollire), dalle otto alle dieci ore.

7. Dopo circa tre o quattro ore, andrò tolta la carne – che verrà poi riposta in un contenitore coperto per utilizzarla poi a fine cottura, per non farne macerare il sapore -, e aggiunto il sale.

8. Il formato di pasta perfetto rimangono gli ziti. Se possibile spezzati a mano, come si faceva una volta.

9. Una volta cotta e scolata la pasta, un primo passaggio, per amalgamare bene il sugo, andrà fatto nella pentola dove è stato cotto il ragù, ancora sporca di salsa.

10. Fondamentale, per concludere la mise en place del piatto e garantirgli un’ottima riuscita è il basilico va usato in abbondanza, solo così il profumo sarà esattamente quello tradizionale, che rende questo piatto ancor più goloso.

10 bis. L’ultimo consiglio: mai buttare il ragù avanzato. La salsa si può usare per aggiungere gusto ad altre ricette, come la parmigiana di melanzane o il sartù di riso.

larepubblica/ LARA DE LUNA


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