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Castellammare di Stabia

La cultura degli insulti impliciti e delle offese a prescindere

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Una cultura politica e sociale che si è diffusa e cronicizzata. L’ultimo eloquente caso, un critico d’arte vs un avvocato donna e sindaco.

“Secondo me prima di fare il sindaco, la Raggi faceva la cameriera in uno studio di avvocati”. La frase pronunciata da Vittorio Sgarbi nel giorno della propria candidatura a sindaco della Capitale e della sua lista, accende (e legittimamente) la reazione della sindaca Virginia Raggi che in serata ha risposto al Senatore e sindaco di Sutri: “La cameriera è un mestiere più che dignitoso”.

Per la cronaca, i rispettivi candidati dello Sgarbi a presidenti dei 15 municipi della Capitale, andavano dal culturista, alla cintura nera di taekwondo, all’allenatore di palestra, all’assistente bagnante e influencer.

Per carità tutte qualità e persone rispettabilissime, ma ragionevolmente cosa c’entrino, compreso il critico d’arte, con la complessa amministrazione, soprattutto giuridico-economica, di una grande città, capitale e capoluogo, è arduo razionalizzarlo. Ma se saranno contenti gli elettori, contenti tutti. Siamo (dovremmo essere) in una democrazia, costituzionale, repubblicana, parlamentare e occidentale.

La conclusione dello Sgarbi è stata esplicita riguardo alle sua visione politico-sociale: “Io sono un grande solista ma non ho mai avuto un’orchestra. Sono il Grillo di Rinascimento, posso fare anche otto comizi al giorno visto il mio temperamento, ma mi è sempre mancato un Casaleggio per curare la struttura e lasciarmi libero ai miei show”.

A proposito, il movimento di Vittorio Sgarbi “Rinascimento” lo candida pure a presidente della Regione alle prossime elezioni del 14 febbraio “Per liberarla dalla mafia e dallo Stato”.

Insieme alla candidatura a Roma, sembra quasi un grande “gioco” nazionale del “a cu pigliu pigliu”.

Si rammenta tuttavia una frase dell’attuale parlamentare Sgarbi, già deputato nelle legislature XI, XII, XIII, XIV e precedentemente in Forza Italia-Berlusconi-presidente, ora nel gruppo Misto (o come mi appare più in generale questo Gruppo parlamentare, sia nazionale che regionale: «un Limbo, in attesa di “pi mia chi c’è”»).

Ospite lo Sgarbi, il 17 giugno 2011, del «Taormina Film Fest», dichiarò: “La mafia in Sicilia non esiste più. Mi spiego: la Sicilia soffre del connubio mafia/antimafia, ha fornito il marchio d’origine, ma, dagli anni Ottanta, il ruolo dei pentiti l’ha resa meno forte, fino a sgretolarla. Insomma, la mafia non esiste più, rimane solo un rapporto affettivo nei suoi confronti”.

Quelle parole, si ritiene, delegittimavano implicitamente la memoria di chi ha dato la vita e tutt’ora la propria esistenza, per combattere la criminalità organizzata per il bene dei siciliani e italiani civili.

C’è probabilmente anche un’ulteriore componente nell’implicita delegittimazione contro la sindaca, ovverosia che l’attuale avvocato e sindaco Raggi, è una donna.

Quest’altra nevrosi, la misoginia a prescindere, è ormai sparsa in modo trasversale in tutte le espressioni politiche, da destra a sinistra e nel movimento, persino tra le donne appartenenti alle predette estrazioni.

Qualche esempio eloquente tra gli innumerevoli che ci sono stati: gli strali e gli insulti pesanti di qualche anno addietro da parte della sinistra contro la parlamentare Maria Rosaria Carfagna poiché quest’ultima di Forza Italia. Altrettanti quelli della destra e allora del movimento contro la parlamentare Maria Elena Boschi all’epoca del Partito Democratico e persino anche di qualcuna più avanti negli anni dell’allora suo stesso partito. Come pure sono altrettanto significativi gli insulti e attacchi contro la sindaca Virginia Raggi, da parte della sinistra quando il Governo era cinquestelle-lega, poi dalla destra quando il Governo è divenuto cinquestelle-sinistra e pure da fuoriusciti dal movimento.

E questa ossessione dell’insulto o dell’offesa gratuita, accade pure nel quotidiano, sui social e ovunque ci sia interazione tra persone, quasi che diversamente non si è nessuno/a.

D’altra parte lo sperimento su me stesso. Quando scrivo, a seconda già del titolo e nonostante il più delle volte con il lampante supporto di comunicati delle Forze dell’Ordine, per alcuni sono stato: razzista, piddiota, grullino, fascista e queste le parole edulcorate, altre frasi invece non è il caso di citarle.

Questo evidente sentirci, ma anche metterci l’uno contro l’altro, come addirittura veicolato da parte della politica, istituzioni e media (DIVIDI ET IMPERA), potrebbe costituire, nel caso di una rilevante crisi economica, una soglia di non ritorno con imbarbarimento generalizzato.

Legittimo e a volte anche doveroso combattere civilmente il sistema tanto più se incancrenito e/o deviato. Da queste pagine non gli si risparmia alcun aspetto e in certi casi anche in modo aspro. Ma quando l’assillo diventa la persona, il concittadino, solo perché di altro colore, oppure in quanto indipendente e/o non allineabile alla rispettiva estrazione o ideologia, oppure confessione, o anche corruzione, allora c’è una inquietante regressione psico-sociologica nella cosiddetta società civile.

Adduso Sebastiano

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