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Castellammare di Stabia

La Commissione che non vide (come oggi pure accade)

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span style="font-family: terminal, monaco, monospace">23 giugno 1944 … Caro “Zio Stato” non vogliamo più mangiare tante sardine siamo sazi molto sazi …

Il giorno della memoria. Tra le tante tragiche vicissitudini durante la seconda guerra mondiale, una ha riguardato una città, Terezin,  ad alcune decine di chilometri da Praga, che venne trasformata in un ovattato ghetto per gli ebrei appartenenti alle classi sociali più in vista, poichè in quanto tali, con la loro improvvisa sparizione, avrebbero potuto innescare delle ricerche insospettendo probabilmente l’opinione pubblica mondiale, la quale a quel punto si sarebbe potuta (e dovuta) accorgere (prima di quanto non lo abbia poi fatto) dei “demoni”, ma forse dovrei dire, della umana psicopatia che si celavano dietro lo stendardo del “Terzo Reich”.

Invece, la propaganda militante e mediatica seppe all’epoca fare apparire Hitler persino come colui che aveva “regalato” la città “Theresienstadt” agli ebrei (o ghetto di Terezín secondo la definizione preferita da alcuni studiosi), così riuscendo quindi a non ingenerare dubbi nell’opinione pubblica europea nonostante le persone continuassero a confluire a decine di migliaia a Terezin per poi sparire nel “nulla” (dal momento che gradualmente venivano poi avviate ai campi di concentramento per essere sterminate).

E quando la comunità internazionale  chiese ai nazisti di visitare la fortezza di Terezin, dove erano ammassate tutte quelle persone (dormivano ad esempio in 25 in una stanza appena sufficiente per pochi e su fatiscenti letti di legno a castello), i comandanti del “Terzo Reich”, dopo avere innanzitutto deportato altrove (nei campi di concentramento per essere gassificati) tutti gli orfani e malati, organizzarono un percorso preordinato per la Commissione Internazionale, facendo ripulire agli stessi ebrei tutte le parti interne ed esterne delle strutture in cui sarebbe stata fatta passare.

Distribuirono a tutti vestiti nuovi e cibo, ed in particolare ai bambini imposero di ripetere continuamente la frase con cui ho titolato questo post ‘’’Caro “Zio Stato” non vogliamo più mangiare tante sardine siamo sazi molto sazi’’’, con la sola differenza che io ho sostituito simbolicamente il nome del comandante “Rahm” con “Stato”, in quanto quest’ultimo all’epoca ed in quella sede era rappresentato dal comandante “Karl Rahm“, che a sua volta andava pure ripetendo “E’ così divertente stare a Theresienstadt, allora suonatela la musica allegra” (un’analoga frase anche tutt’oggi si sente quando si vuole dissimulare certa realtà).

Tutti dovevano quindi (per quella circostanza) ridere, cantare, ballare e mangiare, insomma dovevano apparire felici e contenti (che inquietante assonanza con certi “inviti” odierni della trasversale politica attuale di questa Nazione).  Ma quando andò via la Commissione Internazionale, la quale incredibilmente non si pose neanche il dubbio di vedere cosa ci fosse oltre gli edifici del percorso prestabilito dai nazisti, tutti gli ebrei presenti in quell’occasione furono caricati sui carri merci ed inviati  ai campi di concentramento a morire nelle camere a gas affinché non ci fossero testimoni.

Addirittura, i nazisti, avendo compreso l’importanza di insistere nella propaganda ingannevole, riorganizzarono la stessa orrenda commedia, ma stavolta girando un film che documentasse le stesse “farse” (che inquietante assonanza con certi “programmi televisivi” e d’informazione odierni) con protagonisti altri ebrei anch’essi deportati a Terezin in attesa di essere smistati nei campi di concentramento di Auschwitz.

All’allora Presidente della Commissione Maurice Rossell e agli altri delegati nelle sei ore che passarono nella Grande fortezza di Terezin, fu mostrato loro un ghetto modello del tutto finto, con gente sana, vitto abbondante, alloggi puliti e tutt’altro che sovraffollato, tanto da concludere nel suo rapporto che: “Era una visita prevista dalle SS e io ho riportato quello che ho visto. Ho anche fatto parecchie foto e come si dice a volte una foto vale più di mille parole … abbiamo visto una normale città di provincia … Possiamo dire che abbiamo provato uno stupore immenso per il fatto di aver trovato nel ghetto una città che vive una vita quasi normale” (un’altra preoccupante simile corrispondenza con certe “dichiarazioni” foto e video, di altrettanti titolati vari osservatori dei giorni nostri).  La farsa era invece terminata come volevano i tedeschi. Una tragica pagliacciata che aveva visto i nazisti come registi, gli ebrei come attori, la Commissione come spettatrice.

Ecco, in Italia, sembriamo diventati quasi tutti come quella Commissione, camminiamo generalmente su un percorso prestabilito da “altri”, fotografiamo solo ciò che vogliamo vedere o dobbiamo scorgere, giudichiamo pregiudizialmente solo dalle apparenze, dal sorriso, dai gesti, dall’appartenenza, senza più pensare che dietro ogni individuo e quindi tutte le comunità, ci sono dei cervelli e dei corpi.

Questo perché ormai non guardiamo più nei palazzi istituzionali, oltre la via che abitiamo, al di là del nostro naso, insomma, siamo diventati ostentatamente superficiali quanto convenientemente omertosi così come altrettanto individualmente disinteressati e senza più un comune umano progetto sociale, conseguentemente risultiamo più facilmente “pascolabili”, soprattutto i giovani ai quali (non a tutti per fortuna) è come se avessero sostituito la consapevolezza razionale con un cartone animato interattivo.

Credo, e concludo, che non sia necessario essere degli acculturati per avere dei “sani” dubbi  quando si osserva la realtà che ci circonda. Sarebbe infatti anche sufficiente ripercorrere alcuni passaggi della nostra Storia, non trascurando tuttavia la nota variabile universale che nulla è mai come prima, e che tutto si evolve, ma tutto è pure ciclico, tanto che tutto può anche ripresentarsi persino sotto altre “fattezze”.

E se in questa Italia, e soprattutto in questa Europa, non si avvia un’analisi ‘’umana’’ sulla condizione di tanti, troppi cittadini in stato di nota difficoltà, tutto ciò che è già accaduto, e che in questa data si ricorda, prima o poi analogamente si ripresenterà.

Le nostre ombre collettive, come quelle individuali, attraversano i secoli. Pensare di poterle rimuovere senza invece mai essersele guardate e accettando che ci sono per imparare a conviverci, serve unicamente a dare loro altra malefica linfa anche devastatrice, nella comunità come nel singolo.

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