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l maresciallo ucciso sull’uscio di casa da un padre a cui aveva messo i figli balordi in galera. La dottoressa colpita a morte con un piede di porco dal cognato alcolista perché avrebbe incoraggiato la sorella a divorziare. Da Carrara a Cosenza gli ultimi delitti di cronaca obbediscono a un medesimo copione. Le vittime sono punite per avere fatto la cosa giusta: arrestare delinquenti, ospitare parenti in fuga da matrimoni guasti. E il loro giustiziere è un maschio – anziano nel primo caso, di mezza età nel secondo – che proietta fuori di sé gli sfaceli familiari, individuando i capri espiatori oltre le mura di casa. Â
Casi estremi, ma indicativi di un clima. C’è chi, anche senza assecondare impulsi omicidi, sulla voce della coscienza preferisce pigiare il tasto «muto». Chi non incolpa i figli e i coniugi dei propri e loro fallimenti, e non perché li ami, ma perché li considera estensioni di se stesso. «Mi ha rovinato la vita», sbotta l’assassino del maresciallo di Carrara. Non sono i figli a essersela rovinata da soli con la droga, né lui ad avere dato un generoso contributo in termini di cattiva o scarsa educazione. «Quella donna mi detestava», confessa l’assassino della dottoressa di Cosenza, sorvolando sulle obiettive difficoltà di adorare un uomo che picchia o comunque fa soffrire tua sorella. La responsabilità è di chi non si fa i fatti propri e osa guardare in faccia il problema. Come se bastasse spezzare il termometro per non avere più la febbre.Â
*lastampa
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