Secondo Charles A. Kupchan «l’Occidente sembra giunto a un punto critico. Il populismo potrebbe continuare a guadagnare forza. E qualunque sia l’esito, la Brexit è un minaccioso segnale di avvertimento».
Il capo del Desk Esteri de La Stampa, Alberto Simoni, nel suo reportage racconta le reazioni degli inglesi al divorzio. Il Regno Unito vuole mantenere con l’Unione europea «una partnership profonda». Theresa May lo ha scritto sette volte nella lettera che ha dato il via ufficiale alla Brexit. Ma la strada per i negoziati è in salita: non c’è intesa sui tempi, i commerci e la difesa comune.
L’Occidente nella trappola populista
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nizia così la trattativa che porterà Londra fuori dal mercato unico dell’Ue, così come dalle sue istituzioni, leggi e regolamenti.
La notifica di Londra a Bruxelles è arrivata solo pochi giorni dopo l’incontro dei leader europei (mancava il primo ministro del Regno Unito Theresa May) che si sono riuniti lo scorso fine settimana in Italia per celebrare il 60° anniversario del Trattato di Roma, che nel 1957 fu l’atto fondativo del progetto di integrazione europea. Ed è significativo che a far da contorno a questo traguardo siano la prima uscita di uno Stato membro – e una crescente ondata di populismo che mette in discussione la sopravvivenza stessa del progetto europeo.
Ma la data più significativa per mettere la Brexit nella giusta prospettiva storica è il 1815, non il 1957. Il 1815 ha segnato la fine delle guerre napoleoniche e l’inizio del Concerto Europeo – un’iniziativa guidata dai britannici per espandere il governo liberale e preservare la pace in Europa attraverso un ordine basato su regole internazionali. Mentre aiutava a preservare la stabilità in Europa, Londra era impegnata nella costruzione di un vasto e redditizio impero d’oltremare, ponendo così le basi per la globalizzazione del commercio e degli investimenti.
Il sistema globale emerso come pax britannica sanciva pratiche liberali, inclusa la libertà di commercio, lo Stato di diritto con appositi controlli sul potere assoluto, e i diritti politici – ponendo così le basi per la pax americana. Dopo il passaggio della leadership dell’Occidente da Londra a Washington, con la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno eliminato l’impero precedente e modificato in altri modi i progetti britannici, ma in gran parte hanno costruito sull’edificio eretto da Londra. Infatti, durante la Prima e la Seconda guerra mondiale, e la Guerra fredda, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno fatto fronte comune contro i nemici Da questo punto di vista, il Regno Unito e gli Stati Uniti sono i principali artefici dell’odierno sistema internazionale.
La Brexit, insieme alla crescente ondata di populismo da questa parte dell’Atlantico, solleva quindi interrogativi profondamente preoccupanti sul fatto che l’epoca aperta circa 200 anni fa potrebbe essere al tramonto. A dire il vero, i fondatori anglosassoni di un mondo globalizzato basato su regole ora condividono la leadership internazionale con molti altri Paesi. La Gran Bretagna per ora si sta separando solo dall’Ue, non dall’Occidente nel suo complesso. E l’amministrazione Trump, la cui politica estera è ancora in divenire, potrebbe virare verso una posizione centrista e riscoprire i meriti delle norme internazionali, del libero scambio, e gli alleati democratici.
Ciò nonostante, la Brexit e la più ampia onda populista che sta spazzando tutto l’Occidente rivelano disfunzioni preoccupanti nelle nostre società democratiche. La Gran Bretagna è pronta a infliggersi una grave ferita; la sua influenza internazionale subirà un contraccolpo significativo dall’uscita dalle istituzioni europee e la sua economia ne soffrirà in quanto lascia il più grande mercato del mondo. Di certo le preoccupazioni economiche derivanti dalla de-industrializzazione stanno alimentando un giustificato malcontento sociale nel Regno Unito come negli Stati Uniti. Ma dato che quasi il 50 per cento delle esportazioni di beni e servizi del Regno Unito è diretto agli altri membri dell’Unione Europea, il distacco dall’Unione servirà solo a peggiorare le cose.
Il Regno Unito si sta preparando ad andarsene nonostante questi costi. Gli attivisti per la Brexit hanno vinto facendo appello alle emozioni e all’identità, non ai manuali; il nazionalismo duro e puro e il disagio per l’immigrazione stanno vincendo sopra ogni altra preoccupazione. Ed è in gioco anche l’unità della Gran Bretagna, non solo la sua salute economica. Gli elettori in Irlanda del Nord e la Scozia si sono espressi con margini decisivi per rimanere nell’Ue. Il Regno Unito lascia l’Unione europea, ma non è affatto chiaro se Irlanda del Nord e Scozia vorranno restare nel Regno Unito.
A breve, i sostenitori della Brexit potrebbero presto trovarsi di fronte un minor numero di immigrati e godersi la soddisfazione emotiva della «piena» sovranità. Ma molti di loro farebbero meglio a prepararsi a vedere il declino dell’influenza del loro Paese, a essere più poveri, e a vedere messa a dura prova l’unità del Paese. L’emozione e l’identità sono costantemente parte della vita politica – ma non capita spesso di vederle affermarsi in così evidente contrasto con l’interesse nazionale. La Brexit è il risultato di una scelta democratica, eppure rivela le attuali tribolazioni della democrazia, non i suoi punti di forza.
La globalizzazione ha certo bisogno di una migliore gestione e di una più ampia condivisione dei suoi benefici. Le democrazie occidentali hanno necessità di capire come potranno guadagnarsi il salario le classi lavoratrici a fronte della crescente automazione e del commercio internazionale. E dobbiamo anche migliorare gli approcci nazionali ed internazionali alla gestione delle migrazioni.
Ma smantellare o rifiutare un ordine globalizzato, basato su regole, non è la risposta. La storia indica chiaramente le conseguenze cui va incontro un mondo frammentato dove ognuno pensa per sé.
L’Occidente sembra giunto a un punto critico. Il populismo potrebbe continuare a guadagnare forza, fino a minare il sistema internazionale che ha preso forma sotto la pax britannica e la pax americana. O il centro politico potrebbe recuperare e rivalutare le istituzioni create sotto la guida dell’Occidente. Avremo un senso più chiaro di quello che ci aspetta dopo le prossime elezioni in Francia e Germania.
Qualunque sia l’esito, la Brexit è un minaccioso segnale di avvertimento.
Traduzione di Carla Reschia
vivicentro.it/opinioni
vivicentro/La Brexit è un minaccioso segnale di populismo
lastampa/L’Occidente nella trappola populista CHARLES A. KUPCHAN
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