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Castellammare di Stabia

La battaglia della Catalogna: “È regime”

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Tensione altissima in Spagna in vista del referendum per l’indipendenza della Catalogna proclamato per il 1 ottobre e sospeso dalla Corte costituzionale di Madrid. La Guardia Civil arresta 14 persone tra cui due stretti collaboratori del vicepresidente catalano Junqueras e sequestra 10 milioni di schede per il voto. La folla scende in piazza: «Madrid ci ruba la libertà».

Blitz in Catalogna contro il voto. Barcellona in piazza: “È regime”

La Guardia Civil arresta il braccio destro del vicepresidente e altri tredici dirigenti. Sequestrate milioni di schede elettorali. I manifestanti offrono garofani ai poliziotti

BARCELLONA – Le camionette della polizia, le manette, la rivolta. Eccolo qui lo scontro tra i treni in corsa che tutti aspettavano. Spagna e Catalogna si parlano ormai attraverso un linguaggio para bellico: arresti e disobbedienza. Uno scenario atteso, con paura da alcuni e con cinico calcolo politico da altri, che adesso spaventa l’Europa. A dieci giorni dal referendum indipendentista vietato, ma fortemente voluto, la Catalogna è diventata una polveriera difficilmente gestibile.

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Anche Barcellona adesso ha la sua breccia: il 20 settembre è cominciato al mattino presto, la Guardia Civil è entrata in nove diversi uffici della Generalitat, il governo catalano.

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Si cercano le “paperetas”, le schede elettorali del referendum diventate un simbolo persino goliardico della mobilitazione indipendentista («dove sono le schede?» è lo slogan di ogni corteo). Le perquisizioni sono fruttuose: milioni di foglietti con le temute opzioni “sì” e “no” vengono requisite. Ma il colpo, durissimo, alla logistica del referendum non basta: quattordici alti dirigenti del governo catalano finiscono in manette. Li vanno a prendere a casa, o per la strada. Nomi poco noti alle masse, ma decisivi per l’organizzazione del voto. Tra loro c’è anche Josep Jové, il più stretto collaboratore di Oriol Junqueras, leader di Esquerra Republicana e vicepresidente del “govern”. La reazione dell’indipendentismo scatta con grande rapidità, segno di una mobilitazione permanente e molto ben organizzata. Partono messaggi WhatsApp e post sui social: intorno a tutte le sedi si formano delle manifestazioni con le bandiere repubblicane e i cori di sfida: «Voteremo». Le scene possono far pensare al peggio, dentro ai palazzi la Guardia Civil a caccia di schede e registri elettorali e fatture che dimostrano l’utilizzo di fondi pubblici per l’organizzazione del referendum proibito, fuori il popolo che protesta. Ma l’assedio è pacifico, i manifestanti portano garofani agli agenti, simbolo di rivolte iberiche mai dimenticate.

All’incrocio tra la Rambla Catalunya e la Gran Via c’è il cuore delle dimostrazioni. Un sit-in formatosi al mattino e che piano piano prende la forma di un accampamento permanente. Qui arrivano tutti gli indignati e, brutto segnale per Madrid, non sono tutti indipendentisti duri e puri: «Non mi piacciono molte cose del secessionismo – racconta Montse, estetista – ma se la Spagna è questa allora meglio una nostra repubblica».

Ma non c’è solo la piazza: il presidente catalano Carles Puigdemont, un indipendentista della prima ora, riunisce il suo esecutivo d’urgenza e poi compare davanti ai giornalisti: «Lo Stato spagnolo ha superato la linea rossa che lo divideva da un regime autoritario. Hanno tolto la nostra autonomia». Parole durissime che di fatto sono una chiamata alla piazza, che infatti si riempie sempre più. A Barcellona girano voci di un passo indietro tattico, la rinuncia al referendum per manifesta impossibilità logistica, convocando elezioni anticipate con una campagna elettorale praticamente già fatta. Puigdemont e la presidente del parlamento catalano, Carme Forcadell però smentiscono: «Votarem», voteremo. Gli indipendentisti colpiti duramente da quella legalità spagnola che hanno sfidato, capiscono che l’operazione di polizia può essere un boomerang di immagine per Madrid e una conferma della tesi ripetuta da anni: a un problema politico, la Spagna risponde solo con tribunali e polizia. La scena della Guardia Civil in effetti colpisce e in Europa si alzano molte voci critiche, un appoggio indiretto che la Generalitat ha cercato invano per anni. Anche in Italia ci si mobilita, l’Arci fa girare un appello che in poche ore raccoglie migliaia di adesioni.

Un certo imbarazzo si registra anche a Madrid, più di un deputato ha l’impressione che al governo Rajoy sia scappata la mano. I socialisti, fino a oggi leali all’esecutivo sul tema dell’unità della nazione, sono in forte imbarazzo. Podemos ne approfitta per sfidare la destra e convoca una manifestazione nella capitale spagnola.

La situazione è tesa, i poliziotti sono costretti a dormire nelle navi da crociera al largo di Barcellona e Tarragona. Il premier decide di comparire a tarda sera con un appello dai toni drammatici agli indipendentisti: «Fermatevi, siete ancora in tempo per evitare guai peggiori» dice Rajoy. Nelle parole del capo del governo nessun passo indietro, «quella dello Stato è una risposta ferma, proporzionata e vigorosa». Ma quando compare la sua faccia sullo schermo della Rambla Catalunya, nessuno lo ascolta, «votarem, votarem». Il referendum forse non si farà, ma prima o poi qualcuno dovrà capire come recuperare tutta questa gente.

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