La partita dei privilegi sulle urne
In gran parte dell’opinione pubblica infatti s’è diffusa l’idea che i parlamentari non lavorino per niente, siano sostanzialmente dei perdigiorno che frequentino la Camera e il Senato come circoli, allontanandosene solo per andarsi a sedere in buoni ristoranti a spese della comunità.
Inutile dire che questa descrizione non corrisponda alla realtà, e anzi il paradosso di questa legislatura stia nel fatto che, nata morta, senza nessuna maggioranza espressa dalle urne, si sia poi trasformata in una delle stagioni di lavoro più fruttuose degli ultimi anni, con una quantità di leggi approvate non paragonabile a quella delle stitiche stagioni precedenti. Certo, è un fatto che il voto del referendum del 4 dicembre abbia cancellato i risultati più rilevanti di questo lavoro, a cominciare dalle riforme costituzionali e dalla legge elettorale, avviando una fase di ripensamento politico anche su quelle rimaste in vigore, vedi scuola e Jobs Act. Ma ciò non toglie che l’impegno dei parlamentari, a favore o contro, sia stato notevole, sebbene sia cresciuto parallelamente il numero delle leggi mal fatte.
Per capire quanto ormai sia radicato il pregiudizio anti-casta nei confronti dei rappresentanti del popolo è sufficiente fare un piccolo test: affacciarsi a Montecitorio una mattina o un pomeriggio qualsiasi, per accorgersi che i deputati non possono più uscire dal portone principale della Camera, senza essere sommersi da urli e fischi dei manifestanti assembrati nella metà inferiore della piazza. Il minimo che si sentano dire è «ladri», «corrotti», «venduti», ed è questo, purtroppo, negarlo non si può, il sentimento prevalente della gente comune verso gli abitanti delle istituzioni.
Si può discutere se si tratti di giudizi motivati (i cittadini hanno più di una ragione, spesso però sparano nel mucchio), o di ritorno al qualunquismo per disperazione e sull’onda dilagante del populismo. Ma il punto è che se comincia e continua così, la campagna elettorale non potrà che peggiorare una situazione giunta al livello di guardia.
E’ su questo che Renzi dovrebbe riflettere: se nessuno, neppure il segretario del maggior partito di governo, oltre a attaccarne i privilegi, difende i parlamentari, distinguendo tra il degrado e le virtù del loro ruolo e adoperandosi, malgrado tutto, per migliorare le cose, alla fine l’ondata di protesta travolgerà tutto, e non ci sarà tempo per capire di chi è la colpa. Il problema non è solo stabilire chi ha inventato per primo – il Pd o i 5 stelle – e se ha copiato, il modo di togliere ai parlamentari il vitalizio, che comunque va riformato.
Ma interrogarsi sul perché le Camere siano composte in gran parte da persone prive di qualsiasi esperienza, che prima di essere elette non avevano propensione né preparazione specifica per far politica. Deputati, deputate, senatori e senatrici scelti spesso in base alla faccia, o all’aspetto fisico, o alla fedeltà o all’obbedienza; tutti uguali o quasi tutti, perché i partiti selezionano allo stesso modo i candidati, e troppe volte conta più la faccia tosta in un talk-show o l’assiduità sui social forum che il resto. Senza mestiere che diventano politici di professione: e poi ci si chiede perché il Parlamento funziona come funziona.
Matteo Renzi torna in tv dopo le dimissioni da segretario, attacca Massimo D’Alema e difende il ruolo del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan nel governo Gentiloni, dopo che La Stampa ha riferito uno sfogo del responsabile del Tesoro.
Era il 1892, quando Filippo Turati e Guido Albertelli diedero vita al Partito Socialista Italiano. Dopo solo 30 anni di unità, la sinistra italiana inizia una marcia lunga cento anni di fazioni, scissioni e accorpamenti, fino alla creazione della nuova “Cosa Rossa” di D’Alema, Bersani, Speranza e Rossi.
https://www.youtube.com/watch?v=tRI90E0nXxo
Video di Stefano Scarpa
Voce Filippo Femia
A cura del Visual Desk
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