span style="color: #252525; font-family: Arial, 'Helvetica Neue', Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; line-height: 23px;">Si sporca in società il Movimento 5 stelle, entra definitivamente nella Storia d’Italia, che è storia di briganti politici e di politici briganti, con un ballo delle debuttanti dove c’è, nientemeno, il grillino camorrista, Giovanni De Robbio, il più votato in città, uguale uguale a Nick Cosentino, o’mericano. E balla anche il grillino garantista (peloso) Roberto Fico, parlando, pensate!, come un Cicchitto imbarazzato: “Aspetteremo la fine dell’inchiesta”. Balla la grillina sindaca contigua, Rosa Capuozzo, che era sì ricattata, ma “a sua insaputa” come Scajola al Colosseo. E Beppe Grillo balla come Martelli, quando fu eletto in Sicilia, e conta i voti che non contano: “Sono voti camorristi, ma non determinanti”. A questa sceneggiata alla Zalone manca solo il luogo, il “quo vado?”.
Ebbene il “quo vado” è Quarto, che somiglia alla Palermo di Ciancimino, un cancro edilizio inarrestabile, da 10 mila a 40 mila abitanti negli ultimi anni, due volte commissariata per mafia, un feudo del clan Polverino, al quale era affiliato anche il boss di riferimento del grillino De Robbio, il malacarne Alfonso Cesarano, che gestisce pure i prezzi e le tangenti di quel triste affare sporco che si chiama il caro estinto, la malavita organizzata nella versione della malavita eterna. Sceneggiò infatti anche il famoso funerale Casamonica.
Insomma questa Quarto non è la scogliera di Garibaldi, ma una specie di Corleone tra Napoli e Caserta, dove tutti conoscono il male di tutti (asinus asinum fricat) , tranne la sindaca grillina, che non fricat perché è “a sua insaputa”. Quarto è uno di quei terribili Comuni dove il vecchio Pci, come ha raccontato Isaia Sales sul Mattino di ieri, mandava solo i campioni di ferro e di purga, il senatore Eugenio Donise, il partigiano Mario Palermo, la testa d’uovo Pietro Valenza, e nei capoluoghi Giorgio Napolitano a Caserta, Bassolino ad Avellino, Chiaromonte a Napoli.
Con una classe dirigente più vessata ma meno controllata di quella comunista, il Movimento 5 stelle, grazie anche alla partecipazione straordinaria in campagna elettorale di Fico e Di Maio, vinse le elezioni con il 70,7 per cento dei voti e con lo slogan “liberiamo Quarto dalla camorra” appoggiato, ovviamente, dalla camorra. Lo provano le intercettazioni appunto di Cesarano che promette di portare a votare per la candidata sindaca “chiunque, anche le vecchie di 80 anni. Si devono portare là sopra, e devono mettere la X sul Movimento 5 Stelle”. Ma la novità qui non è la camorra-anticamorra che fu inaugurata dal mafioso Totò Cuffaro nel lontano 2005 con lo slogan “la mafia fa schifo”. La novità è il grillino camorrista, che Grillo rivendica di avere cacciato un po’ prima che l’inchiesta della magistratura diventasse stringente, ma che a Quarto, ovviamente, tutti conoscevano già, e proprio per questo aveva preso 972 preferenze: il più votato. Il consenso infatti è controllo del territorio e ai grillini non è stata messa a disposizione solo la camorra ma anche le parrocchie perché si sa che le preghiere, i ceri, i te deum e le devozioni sono lautamente finanziate dai peccatori sanguinari e dagli estortori che hanno fatto della Chiesa meridionale il loro covo, la banca dei loro sentimenti.
E anche qui non stupisce che i vecchi codici mafiosi siano tornati ad affermarsi sotto nuove vesti, ma amaramente diverte l’impaccio di Grillo e Fico, che pure hanno usato il web, il post e la rete, per epurare i dissidenti, premiare la delazione e eccitarsi nelle accuse agli avversari che sono tutti ladri, tutti maiali, tutti venduti, tutti mafiosi, tutti camorristi, tutti complici… E ora stanno invece difendendo, come farebbe l’Ncd di Alfano, la loro sindaca Rosa Capuozzo che non sapeva, non aveva capito, non si era accorta. Eppure era stata minacciata, addirittura con un dossier, dal suo compagno grillino camorrista che pretendeva il solito appalto di comodo. Ma Rosa Capuozzo non lo denunziò. Anzi, interrogata dal pm, prima negò e dopo, dinanzi all’evidenza, ammise solo un alterco ma non il tentativo di estorsione.
E mentre arriva il superpoliziotto Raffaele Cantone perché quel Comune grillino i mafiosi li ha pure aiutati davvero, chi conosce il Sud, che da sempre si definisce in rapporto al crimine, può capire facilmente lo spavento di Rosa Capuozzo che ha pianto in aula e anziché dimettersi si è rifugiata nel politichese e ha annunziato il rimpasto: “Dobbiamo creare un fronte unito contro la malavita organizzata che vuole infiltrare le istituzioni”. Il coraggio se l’è dato solo adesso: tiene famiglia anche se è grillina. Anche lei aveva quella voglia di vivere in pace che, prima che di Don Abbondio, è un impossibile pensiero meridiano tipicamente mediterraneo che si perde nella notte dei tempi, come spiegava il grande Braudel. Altre intercettazioni sono in arrivo. Altri consiglieri sono sospetti. Il Comune antimafia potrebbe essere sciolto per mafia.
A noi rimane l’amaro compito di registrare il debutto di quest’altra purezza politica nell’impurità della storia, perché come scriveva Turati già nel 1882: “È nel delitto, è in questa sciagurata materia che l’Italia ha un Primato che non è quello del Gioberti”. Ognuno ha avuto il suo ballo delle debuttanti. Senza correre troppo indietro, per il Pci il debutto avvenne con Greganti e i miglioristi di Milano, per i socialisti il ballo si aprì al Pio Trivulzio di Mario Chiesa, per la Lega di Bossi ballò il cerchio magico e fu crapula di famiglia: soldi pubblici finiti in comodato, diamanti, appartamenti, finte lauree… Ovviamente più pura è la purezza sbandierata e più sgargiante è la piccola macchia che sporca la bandiera.
Dispiace che la neoimpurità grillina diventi ora l’alibi degli impresentabili e dei peggiori, ecciti le vendette eccessive e un po’ sguaiate del Pd, legittimi tutti i mammasantissima del voto, come Vincenzo De Luca. I grillini non sono certo diventati delinquenti, anche se perdono qui la loro famosa alterità rispetto al sistema. Entra infatti a Quarto nel gioco italiano di guardie e ladri quella classe dirigente reclutata da Grillo e Casaleggio con i metodi bizzarri e sempliciotti che abbiamo imparato a conoscere: i video di autopromozione, il cartellino penale, mail, post, graticole, finte votazioni, un mondo virtuale inconoscibile e incontrollabile. Ci è parso che ogni tanto vi si fosse infilato – senza offesa – pure qualche minchione. Ora sappiamo che ci sono anche i diavoli. Torna a risuonare a Quarto l’eterno dilemma dell’Italia politica: meglio i diavoli o i minchioni?
*larepubblica
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