Ferdinando I diede a Giovanni Acton l’incarico di riorganizzare la marina napoletana: dal 1783 nei cantieri stabiesi si costruiscono navi per fare grande Napoli
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no dei meriti di Ferdinando I di Borbone fu quello di aver intuito che uno Stato circondato per tre quarti dal mare non poteva progredire ed emergere senza l’ausilio di una flotta. L’incarico di riorganizzare il settore fu affidato a Giovanni Acton, il quale, non volendo servirsi di stranieri, affiancò al vecchio arsenale di Napoli, un nuovo cantiere navale da realizzarsi in Castellammare di Stabia, città nota sin dall’antichità non solo per la capacità dei suoi mastri d’ascia, i quali vennero poi affiancati da oltre 850 forzati (servi di pena) alloggiati nell’attiguo dismesso convento dei Carmelitani, quanto per la disponibilità di legname dei sovrastanti monti. Il programma di Acton era senza dubbio ambizioso in quanto prevedeva la realizzazione di fregate da 1000-1200 tonnellate, corvette da 600-800 tonnellate e naviglio minore.
Nel maggio del 1786 fu varata la prima delle 6 corvette della nascente marina da guerra borbonica, la Stabia, cui fece seguito, nel mese di agosto il vascello Partenope, e nel mese di ottobre – il 6 o il 10 -, la corvetta Flora*. L’unità era a due ponti con carena ramata, tre alberi a vela quadra con randa e bompresso; era lunga 112 metri, larga 28 e un’immersione di 14; era armata con 24 cannoni (da 12 e da 6) e contava un equipaggio di 172 unità.
In tredici anni di attività, all’inizio dei moti rivoluzionari del 1799, oltre a naviglio minore, dal cantiere erano scese in mare oltre a lance cannoniere e bombardiere anche 15 unità di grosso tonnellaggio, che, costate più di 4 milioni di ducati, fecero dell’Armata di mare una realtà inequivocabile e il principale strumento della politica estera napoletana nel Mediterraneo, limitando di molto l’audacia dei pirati barbareschi. Gli eventi che portarono alla creazione della Repubblica napoletana decretarono la fine della flotta.
Mal consigliato dall’Ammiragliato inglese, Ferdinando I preferì allontanarsi da Napoli per Palermo, con l’ordine – secondo Nelson – di non distruggere le navi ancorate nel porto della capitale. Purtroppo la situazione a Napoli era degenerata. La confusione era tale che gli ordini si accavallavano l’uno sull’altro al punto che il vicario generale, principe Pignatelli, “sembrava aver perduto la testa”.
La sera dell’8 gennaio 1799 l’ammiraglio della flotta portoghese diede l’ordine di distruggere le navi “offrendo al popolo attonito il doloroso spettacolo di un immane incendio”. Furono bruciati e affondati i vascelli Guiscardo, San Gioacchino, Tancredi, la fregata Pallade, la corvetta Flora, bruciate 5 lance cannoniere e 2 bombardiere, mentre la Cerere fu depredata e abbandonata in alto mare.
larepubblica/Quell’Armata di mare nata a Castellammare, voluta da Acton per fare grande Napoli di CATELLO VANACORE
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