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Castellammare di Stabia

Italia-Egitto, una crisi che non deve dividere STEFANO STEFANINI*

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I

talia e Egitto sono improvvisamente a un bivio che può segnare irrevocabilmente i loro rapporti. E sullo sfondo la già pesante esposizione del nostro Paese a un Mediterraneo in fiamme. Il Cairo e Roma si trovano in una strettoia fra difesa dei diritti umani, in questo caso dell’incolumità di un cittadino italiano, e rispetto reciproco fra due amici, alleati e partner legati da una fitta rete d’interessi e minacce comuni. Gestire la crisi richiede che entrambe le parti non si lascino prendere la mano dall’inerzia della convinzione delle proprie ragioni.  

Quello che è essenziale in situazioni come questa è di lasciare all’altra parte una via d’uscita – di riconoscerne le esigenze e vincoli. 

In primo luogo viene la tragica vicenda di Giulio Regeni. L’Italia non può transigere sulla morte di un connazionale, per di più in una città e fra gente amica. Per di più quando vi sono coinvolti elementi che agivano per lo Stato egiziano. La linea fin qui seguita dal presidente del Consiglio e la composta fermezza dell’ambasciatore Massari sono state impeccabili. È essenziale mantenere quest’atteggiamento, senza sbavature, ma anche senza cedimenti alla tentazione di pronunciamenti pubblici che tradiscano incapacità di mettere l’Egitto di fronte alle proprie responsabilità e dare al Cairo modo, e un minimo di tempo, per assumersele.  

Per l’Italia non è certo il momento di scendere a compromessi sulla pelle di un proprio giovane, ma neanche quello di diktat.  

Ma neppure l’Egitto può transigere sulla necessità di rendere conto all’Italia (e, per inciso, alla comunità internazionale che osserva) di quanto avvenuto. Al Cairo è morto un italiano. Non è stato un incidente stradale. Non bastano scuse o promesse. L’Italia ha il diritto di chiedere, come ha fatto, e di sapere chi siano i responsabili. L’omertà ammantata di scuse e scusanti non è accettabile. 

Cosa può aspettarsi in cambio l’Egitto dall’Italia? Una cosa molto semplice ma cruciale per Al Sisi: che la tragedia rimanga confinata a quello che probabilmente è stata, una brutalità fuori controllo e deprecata vibratamente come tale, senza assurgere a una rottura fra i due Paesi. Quello che il governo italiano può e deve fare è non condannare l’Egitto ma solo i colpevoli scindendo le responsabilità. Ma per arrivare a questo difficile (e non ingiustificato) equilibrio è indispensabile che l’Egitto collabori – anzi, che sia anche l’Egitto a volere la catarsi. 

Sarà decisivo come il Cairo e Roma giocheranno la partita nei prossimi giorni. Il nemico principale sono le dichiarazioni pubbliche tonitruanti da cui non si può far marcia indietro. L’Italia si è trovata in passato ad affrontare e gestire tragedie umane che mettevano a repentaglio il rapporto con alleati. Basti pensare, con gli Stati Uniti, all’incidente della funivia del Cermis o agli errori della sparatoria a Baghdad in cui perse la vita Nicola Calipari. Non fu facile, e le soluzioni non furono di nostra completa soddisfazione. Ma gli americani non cacciarono la testa sotto la sabbia, l’Italia ottenne trasparenza d’indagine e accettò che in entrambi i casi la giustizia americana facesse il suo corso. Giustizia – non omertà. 

Oggi Italia e Egitto hanno di fronte a sé un’analoga sfida. Se Renzi e Al Sisi saranno capaci della stessa maturità di allora, la tragedia di Regeni potrà ricevere giustizia senza diventare una crisi fra due Paesi e governi che vogliono restare amici.  

 
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