I
talia e Egitto sono improvvisamente a un bivio che può segnare irrevocabilmente i loro rapporti. E sullo sfondo la già pesante esposizione del nostro Paese a un Mediterraneo in fiamme. Il Cairo e Roma si trovano in una strettoia fra difesa dei diritti umani, in questo caso dell’incolumità di un cittadino italiano, e rispetto reciproco fra due amici, alleati e partner legati da una fitta rete d’interessi e minacce comuni. Gestire la crisi richiede che entrambe le parti non si lascino prendere la mano dall’inerzia della convinzione delle proprie ragioni. Â
Quello che è essenziale in situazioni come questa è di lasciare all’altra parte una via d’uscita – di riconoscerne le esigenze e vincoli.Â
In primo luogo viene la tragica vicenda di Giulio Regeni. L’Italia non può transigere sulla morte di un connazionale, per di più in una città e fra gente amica. Per di più quando vi sono coinvolti elementi che agivano per lo Stato egiziano. La linea fin qui seguita dal presidente del Consiglio e la composta fermezza dell’ambasciatore Massari sono state impeccabili. È essenziale mantenere quest’atteggiamento, senza sbavature, ma anche senza cedimenti alla tentazione di pronunciamenti pubblici che tradiscano incapacità di mettere l’Egitto di fronte alle proprie responsabilità e dare al Cairo modo, e un minimo di tempo, per assumersele. Â
Per l’Italia non è certo il momento di scendere a compromessi sulla pelle di un proprio giovane, ma neanche quello di diktat. Â
Ma neppure l’Egitto può transigere sulla necessità di rendere conto all’Italia (e, per inciso, alla comunità internazionale che osserva) di quanto avvenuto. Al Cairo è morto un italiano. Non è stato un incidente stradale. Non bastano scuse o promesse. L’Italia ha il diritto di chiedere, come ha fatto, e di sapere chi siano i responsabili. L’omertà ammantata di scuse e scusanti non è accettabile.Â
Cosa può aspettarsi in cambio l’Egitto dall’Italia? Una cosa molto semplice ma cruciale per Al Sisi: che la tragedia rimanga confinata a quello che probabilmente è stata, una brutalità fuori controllo e deprecata vibratamente come tale, senza assurgere a una rottura fra i due Paesi. Quello che il governo italiano può e deve fare è non condannare l’Egitto ma solo i colpevoli scindendo le responsabilità . Ma per arrivare a questo difficile (e non ingiustificato) equilibrio è indispensabile che l’Egitto collabori – anzi, che sia anche l’Egitto a volere la catarsi.Â
Sarà decisivo come il Cairo e Roma giocheranno la partita nei prossimi giorni. Il nemico principale sono le dichiarazioni pubbliche tonitruanti da cui non si può far marcia indietro. L’Italia si è trovata in passato ad affrontare e gestire tragedie umane che mettevano a repentaglio il rapporto con alleati. Basti pensare, con gli Stati Uniti, all’incidente della funivia del Cermis o agli errori della sparatoria a Baghdad in cui perse la vita Nicola Calipari. Non fu facile, e le soluzioni non furono di nostra completa soddisfazione. Ma gli americani non cacciarono la testa sotto la sabbia, l’Italia ottenne trasparenza d’indagine e accettò che in entrambi i casi la giustizia americana facesse il suo corso. Giustizia – non omertà .Â
Oggi Italia e Egitto hanno di fronte a sé un’analoga sfida. Se Renzi e Al Sisi saranno capaci della stessa maturità di allora, la tragedia di Regeni potrà ricevere giustizia senza diventare una crisi fra due Paesi e governi che vogliono restare amici. Â
Lascia un commento