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Castellammare di Stabia

ISCHIA tra i tramonti infuocati e il totale black out

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o vissuto in prima persona, il recente TERREMOTO di ISCHIA, unitamente ai miei familiari, tra cui i miei giovanissimi nipoti (che certo hanno imparato qualcosa, da tutto quanto è accaduto), e ai miei amici.
Ho seguito, successivamente, con attenzione, tutti o quasi, i servizi giornalistici, i commenti, le prese di posizione, le dichiarazioni ecc. che, a tutt’oggi ci sono state, intorno ad esso: dalle (tardive) denunce di strutture alberghiere e ville abusive, agli abusi di caserme e uffici pubblici, alla “fuga” di turisti e villeggianti che “non hanno pagato il conto”, alla arretratezza e superficialità della gestione delle “vacanze a Ischia”, agli errori, voluti o capitati, degli “esperti”, sulla magnitudo e sull’epicentro del sisma, alla grande bravura e comunicatività che i soccorritori e, in particolare, i Vigili del Fuoco, hanno avuto nel salvare vite umane; alla generosità con cui, “addetti ai lavori” delle Istituzioni locali, la Protezione Civile. medici, militari, tecnici e volontari, si sono prodigati, e ancora continuano, per contenere quanto più è possibile i danni e i disagi, all’alzata di scudi dei sindaci sul fango che, in modo eccessivo, secondo alcuni, in modo insufficiente, secondo altri, i media hanno riversato sull’isola; pareri ispirati ora a fatalismo, ora a stretta razionalità, pacati o rabbiosi, commossi o distaccati, pieni di dolore per alcuni e di sollievo, sia pure amaro, per altri, pieni di terrore, o di semplice cautela, diffusi, diversi, convergenti o contrastanti, sdegnati in un verso o nel verso opposto, sui quali ho, ovviamente, anch’io la mia opinione, e sono pronto a metterla in discussione in ogni sede, ma non ne parlo qui perché è stato detto tanto da più parti, e io non avrei che da condividere o non condividere argomenti già trattati.

Vorrei qui dare, invece, un taglio diverso al contributo che, da scrittore e giornalista, sento spiritualmente, prima che intellettualmente, di dover dare alla visione d’insieme, circa un drammatico e importante evento, quale è certamente un terremoto, che ha messo a dura prova la mia isola, il luogo dove vivo e che amo, pur non avendo subito, direttamente, alcun danno da esso; e questo è stato dovuto a mera casualità, nient’altro. Hai voglia di dire, col senno di poi, terreno più roccioso, parte bassa, e fuffa varia.

Dunque:
Il 21 agosto scorso, alle ore 21, con una contemporaneità che è impossibile descrivere graficamente, si è sentito un forte boato, la nostra terrazza affacciata sulla baia di San Francesco ha tremato come se fosse percorsa da un brivido, tutte le luci intorno si sono spente, la sagoma nera delle colline e dei costoni rocciosi, si è stagliata, per la prima e unica volta, contro un terso cielo stellato, e sono caduti piatti e suppellettili.
Pochi secondi di tempo sospeso: “ci attende un prosieguo dall’abbraccio della Terra, fino alle sue viscere, o siamo salvi? Tutto si ferma?”
Ed ecco che d’improvviso tutto l’inquinamento elettrico e delle chiamate telefoniche, riprende il suo pieno fulgore.
Da ora si comincerà a piangere, a ridere, a prendere decisioni, a parlare in pubblico e in privato, come ho sopra detto.

L’indomani apprenderemo di altre 15 scosse che ci sono state lontane da noi, di lieve entità, ma che hanno provocato ulteriori danni.
Abbraccio mio nipote che era solo, in una stanza al piano di sotto e, indubbiamente, ha preso un grande spavento, e vado, con mia figlia a prelevare mia nipote che, fortunatamente, a sua volta ha preso solo un grande spavento, ed è ad una festa, nel cuore di Casamicciola.
Con mia moglie e i nostri amici riprendiamo la serata come se nulla fosse; non c’è nulla da attendere, o attendiamo senza ben precise idee.

Ora, a distanza di una settimana da quello che è accaduto, mi sento di esprimere ciò che, fin dal primo momento, ho pensato:
Come è imprevedibile il momento e il modo in cui si presenta la FORZA IRRESISTIBILE della NATURA!
Viviamo in un Universo che, se vuole, in un nanosecondo ci annienta.
Quella stessa Natura che noi abbiamo cercato di imbrigliare, e sembrava una cosa buona: l’Uomo si organizza, studia, progetta, e fronteggia alluvioni, territori irti di pericoli e bestie feroci, frane, scosse telluriche, tsunami, siccità e straripamenti di fiumi e laghi; cura i mali umani del corpo e dello spirito, e ambientali (luci, riscaldamento, frescura, comodità).
Ma la storia è andata avanti, e l’Uomo ha pensato di poter piegare la Natura e conformarla alle proprie esigenze. Ha quindi scavato tunnel sempre più ampi e profondi, si è adoperato per raddrizzare ed accelerare il più possibile i percorsi terrestri e le forniture d’acqua, costruendo dighe da capogiro, viadotti, via via più lungi ed arditi, ha sfidato i terreni, i mari, ed in seguito i cieli, con opere sempre più sofisticate, ha promosso e perseguito produzioni ed estrazioni di beni sempre più estreme, indifferente alle emissioni altrettanto estreme di gas nocivi, necessarie per tali attività, anzi, producendone addirittura, per fini industriali, commercio e scambi di merci, schiavi, animali, sempre più intensi, incurante dei contraccolpi sociali e delle scorie inquinanti che gravano pesantemente sulla vita esistenziale e relazionale degli esseri umani; ha creato e potenziato comunicazioni sempre più rapide e globali, ha intensificato al massimo la coltivazione dei terreni e gli allevamenti, ha totalmente abbattuto foreste, ed altro ancora.
Ebbene qui eravamo già ben oltre il punto di non ritorno circa la sorte dell’Umanità, come tradizionalmente intesa, di fronte alla sovrastante e possente FORZA della NATURA; in tali condizioni, inarrestabile e non fronteggiabile; sperabilmente, peraltro (ma non proprio fondatamente, mi sembra), non in modo irreversibile.
La Natura infatti, nelle modifiche, nei ripieghi e negli adattamenti all’Uomo, andava deformandosi, fino ad assumere forme e visioni di degrado e di angoscia, i cui pilastri poggiano direttamente sulle mura ciclopiche di Micene: le tonnellate di plastica scaricate negli oceani, hanno formato isole che tolgono ossigeno e favoriscono l’inquinamento gigantesco che, nei suoi obbrobriosi riflessi, notiamo dappertutto, l’emissione incontrollata e incosciente di gas tossici ha aperto il buco nell’ozono, attraverso il quale arriva riscaldamento che genera progressivamente ulteriore riscaldamento e provoca lo scioglimento dei ghiacci (non più) eterni, alterando il clima, le condizioni di vivibilità e provocando uragani e deviazioni delle correnti; i rifiuti tossici e radioattivi, sono alla base del gemellaggio, presto non più rinviabile tra la Terra dei Fuochi e le Terre dei Profughi.

Dopo averne subite, e continuare a subirne, tante, ora è, in molti casi, la Natura stessa a provocare progressivamente e sistematicamente, la distruzione dell’uomo; quasi volesse, in modo incredibilmente premeditato, disfarsi, una volta per tutte, della sua distruttività.
Ora, come ultimo atto, teorizziamo la fuga dal nostro Pianeta Madre, o la trasformazione estrema, in senso distopico della Natura, che peraltro, non bada minimamente a noi; sembrerebbe che non possiamo fare altro.
Cercare di scansare la morte è cosa ben diversa dal promuovere e valorizzare la vita; ma poi, in definitiva, assistiamo, sostanzialmente impotenti a tutto questo.
Se un battito d’ali di una farfalla in India può causare a distanza di due anni un uragano a New York, figuriamoci che cosa può causare nel resto del Mondo, il crollo del costone di un ghiacciaio in Alaska.
Avremmo dovuto fermarci al primo stadio, quello del miglioramento delle condizioni generali dell’Umanità, una volta uscita, e per sempre, in senso etico ed estetico dalla preistoria; avremmo potuto anche addentrarci, in modo abbastanza consistente nella storia, avremmo potuto cercare di realizzare le nostre migliori condizioni di vita, in armonia e nel rispetto della Natura, sarebbe stata buona cosa, certo, difenderci anche, nel miglior modo possibile, dalle sue manifestazioni violente più aspre e dirompenti, o cercare di scansarle, ma non avremmo dovuto mai SFIDARLA, come, invece, abbiamo fatto e continuiamo a fare.
Il motto avrebbe dovuto essere “andiamo verso la vita”, e non, come è stato, “cerchiamo di farla franca, fottendo la morte”.
Se la qualità della vita avesse ruotato intorno all’arte, di cui le iscrizioni rupestri sono il primo esempio, intorno all’amore, intorno alla curiosità esplorativa, al piacere di stare insieme e trascorrere tempi di musica e danza; se ci fossimo dedicati, solo per quanto utile e necessario ad una vita libera e semplice, all’allevamento, alla coltivazione dei campi, alle piantagioni, alla caccia; se avessimo scavato modesti pozzi per il fabbisogno di acqua, e non voragini senza fondo per il petrolio o i gas naturali, miniere pronte ad esplodere per i minerali, e gallerie per i diamanti, fino ad essere prive di ossigeno; se avessimo gustato i miglioramenti intellettuali e fisici derivanti dal teatro, dalla poesia, dalle competizioni ludiche, e altrettanto dalla cura del corpo e dello spirito, verso se stessi e gli altri, con il pensiero, le parole e le azioni, ma senza alcun accanimento o perversione, allora sì, non saremmo rimasti ingabbiati nelle sovrapposizioni dei tempi, ma la nostra sarebbe stata una vera vita.
“Se si guidasse la vita con giusto criterio, la grande ricchezza dell’uomo sarebbe vivere sobriamente e con animo quieto; infatti non v’è mai scarsezza del poco.”
Dice, nel “De rerum natura”, sull’evidente traccia degli antichi maestri classici, Tito Lucrezio Caro, morto  probabilmente suicida a 44 anni, per una patologia mentale, ma più fondatamente, forse, per inadeguatezza del suo pensiero mite e rasserenante, rispetto al trionfalismo possessivo dell’Impero Romano, nella sua fase emergente.
Ora siamo qui e non posso che ritornare al punto iniziale, il terremoto, dal quale eravamo partiti.
Non ho paura, che, almeno per quanto mi riguarda, è un fatto di testa e non di sentimento; non mi coglie alcun pensiero improvviso o inattesa riflessione.

Ho solo la irresistibile e istintiva sensazione, come ho successivamente ricordato, della IMPOSSIBILE REAZIONE ad un unico, abissale e cosmico wrrrrrrrrrr…, un brivido, un’ombra nell’ombra di un film horror, divenuto improvvisamente vita reale, che mi prende come un fuscello o una mosca e poi, insolitamente magnanima, senza alcun fine, mi lascia andare. Alcuni miei amici ischitani e non, hanno subito gravissimi danni, anche se solo materiali e non personali. Qui li saluto e li incoraggio, affettuosamente, a ben operare e sperare, con i migliori auguri.
L’altro giorno però mi sono incantato di fronte ad un tramonto splendido come non mai, tra gli alberi, sul filo del nitido orizzonte, per tutto l’arco della vista, che si irradiava, dal mare blu, verso l’abbraccio del cielo, il sole già non c’era più, attraverso tutto lo spettro dei colori, dal rosso al blu ancora più intenso.
Era anche quella una FORZA della NATURA, che mi ha irresistibilmente preso, come un fuscello o una mosca, portandomi in un Mondo di vita e non di morte; beneaugurante, speriamo, per quella possibilità di salvezza, alla quale ho fatto cenno più su.

Forio 28.8.2017 – Alberto Liguoro


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