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Infrastrutture e lavoro in Sicilia, questi misconosciuti: l’endemico fallimento dell’Italia

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Infrastrutture e lavoro in Sicilia sono come due misconosciuti: tutti sanno che occorrono altrimenti si rimarrà indietro nel progresso globale; tutti ne declamano a parole diversamente si svelerebbe che nei fatti non frega quasi ad alcuno che l’Isola si modernizzi.

Eppure i giornali come anche i siti online d’Informazione, pubblicano continuamente che il Mezzogiorno rimane la “Cenerentola d’Europa” e che la situazione con la pandemia è divenuta ancora più difficile, relegando il Sud sempre più distante di parecchi punti dalla media europea.

Si prenda a riferimento la disoccupazione femminile: I dati della Ue dicono che quattro regioni del Sud – secondo quanto emerge da dati di maggio 2021 Eurostat sulle regioni riferiti al 2020 – risultano nel 2020 tra le cinque peggiori nell’Unione europea. Nell’anno della pandemia il tasso di occupazione femminile è stato in media in Europa del 62,4% per le donne tra i 15 e 64 anni a fronte del 32,2% nel Sud Italia e del 33,2% nelle Isole. Ma in tre regioni italiane le cose vanno ancora peggio. Il tasso di occupazione si è attestato sotto il 30% con la Campania in calo al 28,7%, la Calabria al 29% e la Sicilia al 29,3%.

Ma anche il lavoro maschile è significativo dello stato di prostrazione in cui è stato assoggettato il Sud dalla trasversale politica, vecchia e nuova: In molte regioni del Nord il tasso di occupazione degli uomini è superiore a quello medio in Europa come ad esempio la Lombardia (74,3%) e l’Emilia (75,5%), mentre in diverse regioni del Sud si supera di poco un uomo al lavoro su due. In Campania e in Calabria il tasso di occupazione è al 53,3% mentre in Sicilia è al 52,9%. In Germania l’occupazione degli uomini è del 79,1% in media ma raggiunge l’85,6% nello Schwaben.

Infrastrutture e lavoro in Sicilia, questi misconosciuti: l’endemico fallimento dell’Italia

Ovviamente la pandemia arrivata ai primi mesi del 2020 ha penalizzato e condizionato sotto tutti i profili la vita dell’intero pianeta.

Tuttavia ci si era occupati di sviluppo, lavoro ed emigrazione specialmente giovanile, anche negli anni precedenti e quei contenuti erano già significativamente drammatici per la Sicilia. Basta citare alcuni titoli del 2019, dunque l’anno precedente al coronavirus: 10 Febbraio 2019 Sicilia, l’Isola si spopola di giovani che fuggono dalle infauste conseguenze della trasversale rancida politica e istituzioni; 11 Giugno 2019 Famiglie siciliane sempre più indebitate; 6 Luglio 2019 In Sicilia cresce la disoccupazione e l’Isola continua a spegnersi come una candela; 27 Ottobre 2019 Si marcia contro l’emigrazione e l’annoso sistema nazionale e regionale; 25 Novembre 2019 La gente va via dalla Sicilia; 19 Dicembre 2019 In Sicilia il record di disoccupati.

Appare quindi palese che ci deve essere stata nel tempo una eloquente e generalizzata responsabilità politica degli “eletti” siciliani: governativa e parlamentare, sul perché la Sicilia sia precipitata nelle graduatorie europee socio-economiche.

D’altronde, che della Sicilia, proprio ai conterranei Parlamentari, non sembra essere doverosamente fregato molto negli anni, lo ha implicitamente confermato pochi giorni addietro il Presidente della Regione Siciliana “16 Maggio 2021 75° compleanno dello Statuto della Regione SicilianaRoma, preoccupata sin da subito di difendere il proprio neocentralismo a danno delle aspettative e speranze del popolo siciliano. Sarebbe tuttavia sbagliato attribuire ogni responsabilità del “blocco” dello Statuto ai soli Palazzi romani e all’ascarismo di quei parlamentari siciliani che quei Palazzi hanno, nel tempo, utilmente frequentato. La classe dirigente isolana, tranne qualche eccezione e alcuni rari tentativi di sussulto autonomista, ha trovato più comodo concepire la “specificità” dell’Isola non come una assunzione di responsabilità ma come un privilegio, senza sapere o volere cogliere il potere legislativo come una straordinaria opportunità per consentire alla Sicilia di ridurre l’impressionante divario con le ricche regioni del Settentrione d’Italia”.

Certo, ci si lasci annotare che anche l’area politica di cui fa parte il Presidente della Regione Siciliana è lì da tanti anni, a Palermo, a Roma, come pure a Bruxelles.

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Ed è anche lampante (tranne per le pletore di seguiti elettorali che non possono e non vogliono vedere e sapere) che quando i nostri trasversali politici non sanno come continuare a propagandare retoriche ai siciliani, si ricorre al fantasmagorico Ponte sullo Stretto di Messina, argomento trito per tutte le stagioni specialmente prima delle votazioni, oppure di contro si divaga, in evidente carente buonafede, che i fondi di quest’ultimo si devono investire per realizzare ferrovie, autostrade, svincoli, porti, porticcioli, depuratori, fognature, ecc. dissimulando che nel corso degli anni le stesse aree politiche che lo affermano, quando erano loro a governare, hanno anch’esse impiegato i soldi pubblici maggiormente nella Penisola, poiché in Sicilia da parecchio che non si vede nulla.

E nessuno pare neanche più accorgersi, come si diceva alcuni anni addietro che nel Mezzogiorno “siamo seduti su una polveriera socio-economica“. Insomma la soglia di non ritorno potrebbe non essere così lontana se non si interviene presto e in modo realistico.

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Senza infrastrutture non ci potrà essere sviluppo e dunque occupazione regolare e stabile, salvo quella persistente clientelare o pubblica, la quale però garantisce solo una parte della popolazione.

Non solo, così perseverando senza investimenti, ci saranno sempre meno privati che potranno sostenere con le tasse e le imposte la spesa corrente e pertanto il debito pubblico, dello Stato, Regioni e Comuni, non potrà che aumentare per auto-mantenere questi apparati.

Se non c’è sviluppo e lavoro, non ci si potrà neanche liberare dalla criminalità organizzata che con la crisi socio-economica (come anche si legge in delle note delle Forze dell’Ordine) approfitta persino per sostituirsi allo Stato ergendosi a riferimento e mediatore sociale ed economico tra le attività e fra i cittadini.

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Si è appreso di recente con amarezza di un altro giovane andato al Nord in cerca di lavoro, poiché, come tanti altri/e non intendeva aspettare e doversi quindi assoggettare all’incancrenito sistema politico-istituzionale-giuridico-burocratico-professionale-sindacale-imprenditoriale-clientelare, nonché al voto di scambio sociale. Quest’ultimo, un risaputo caratteristico asservimento ormai come costituzionalizzatosi nel Meridione e specialmente in Sicilia, accresciuto negli anni dal bisogno di lavoro o dalla necessità di dovere mandare avanti la propria famiglia o impresa.

Sicché dignitosamente non accettando questo deviato sistematico sistema, in quanto legittimamente non si vuole sacrificare la propria (unica) vita per una lotta fino adesso rivelatasi impari anche per grandi Uomini-Magistrati, si è indirettamente quasi obbligati ad andare via, a volte pure verso l’ignoto. E non è viltà, come insinuano i facili parrocchetti, bensì sopravvivenza ad uno Stato che sembra non esserci mai in modo affidabile, se non unicamente con prolisse magniloquenza, passerelle e discorsi di fine anno.

Adduso Sebastiano

(tutte le altre informazioni regionali le trovi anche su Vivicentro – Redazione Sicilia)


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