C
’è un’Italia dove si gioisce per la morte dei migranti, ci si augura l’espulsione di tutti i profughi, si considera il multiculturalismo una iattura al pari dell’Unione Europea. Si tratta di una minoranza di individui, ma sono portatori di una mole di intolleranza contro il prossimo talmente velenosa e aggressiva da costituire un campanello d’allarme per tutti. Tanto più che un simile odio contro gli stranieri serpeggia in più Paesi europei, dall’Ungheria alla Germania.
Si tratta della reazione più estrema all’emergenza dell’immigrazione extraeuropea e non può avere alcuna giustificazione né legittimazione. Abbiamo scelto di descriverla sul giornale di oggi perché è un seme dell’odio che indebolisce l’identità italiana ed europea rendendoci più vulnerabili ad ogni tipo di estremismo, interno ed esterno. La lezione di Primo Levi è nell’allertare sui rischi della «zona grigia» ovvero la tendenza della maggioranza a voltarsi dall’altra parte quando il vicino di casa commette azioni orrende, diffonde l’odio per il prossimo con azioni, o parole, quotidiane non eclatanti.
Ne esce una fotografia della banalità del Male che si cela dietro il rifiuto del prossimo solo perché straniero. Chiudere gli occhi, ignorare o sottovalutare la presenza di una simile intolleranza sarebbe l’errore più grave anche perché viene da parte di singoli individui nati e cresciuti nel nostro Paese dove studiano, lavorano, hanno delle famiglie, degli amici.
La genesi di tale rifiuto del prossimo è in un’idea di Italia che appartiene all’archeologia della Storia: la convinzione che possiamo continuare ad essere un Paese con tutti gli abitanti bianchi, cresciuti in maniera simile, portatori di una cultura identica, estranea ad ogni tipo di diversità culturale, religiosa, etnica.
Viviamo invece in una nazione dove si può essere italiani per origine o per scelta, dove si prega in maniera diversa e si possono avere genitori nati in Continenti distanti. Ciò è possibile perché i movimenti di popolazioni iniziati sin dalla fine del XX secolo hanno portato nelle nostre città quasi 5 milioni di stranieri con cui conviviamo sui posti di lavoro, nei luoghi di culto, sui campi sportivi, nelle scuole e strade. Le legittime differenze di opinione, dentro e fuori il Parlamento, su leggi e norme per regolare l’immigrazione non devono aprire spazi o creare alibi all’odio che si affaccia fra noi.
*lastampa
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