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apoli dal Belvedere di San Martino, con il Vesuvio sullo sfondo
Campania. Una terra ricca e fertile, come di norma accade attorno ai vulcani. Prodotti genuini da scoprire.E le cento ville del Miglio d’Oro.
Da un lato il rischio, dall’altro lo sviluppo. Il Vesuvio si muove da sempre tra questi due versanti, che raccontano la fine e al contempo la vita che si rinnova. È il destino dei vulcani ed è anche il fato dei “vesuviani”. Che sono tantissimi, mezzo milione di abitanti che vivono alla sue falde. Sono infatti tredici i comuni che rientrano nell’area del Parco Nazionale del Vesuvio, uno dei più piccoli in Italia, ma tra i più monitorati al mondo. L’”occhio” del vulcano è il Reale Osservatorio Vesuviano, fondato nel 1841 da Ferdinando II di Borbone, sul colle del Salvatore, primo istituto per lo studio del vulcanesimo. Qui nasce il sismografo elettromagnetico, acquistato all’epoca anche dal Giappone. L’elegante palazzina borbonica è oggi sede museale.
Nella parte più antica, ci sono collezioni mineralogiche, libri, gouache del ‘700 e ‘800, spezzoni di film appartenenti ai fratelli Lumière: la prima volta sugli schermi di un vulcano in eruzione. “Vulcanica” è invece la parte multimediale dove è possibile ascoltare la “voce” dei vulcani italiani. Percorrendo i tornanti che portano all’Osservatorio, si è accompagnati dalle gigantesche sculture in pietra lavica di “Creator Vesevo”, una mostra permanente che ha visto coinvolti artisti di fama internazionale. L’escursionismo in zona fa proseliti da secoli (tra i visitatori Goethe, Dumas, Dickens) e ogni anno taglia il nastro dei tre milioni di presenze. Di sentieri ce ne sono diversi: da quello dell’ascesa al Gran Cono – il più frequentato – a quello della Valle dell’Inferno, la parte di territorio che separa l’antico vulcano Monte Somma, da quello “giovane”, l’attivo ma dormiente Vesuvio. Qui i depositi piroclastici si colorano di ginestre, elicrisi e valeriane. C’è anche un tragitto agricolo: è quello del Vallone della Profica, ricco di orti dove fare il primo incontro con i prodotti del vulcano. La fertilità di queste zone è famosa quanto i suoi scavi archeologici. Silicio, ferro, manganese sono alcuni degli ingredienti del cocktail di sostanze organiche che rendono succoso e longevo tutto ciò che cresce su queste terre nere. Ne sa qualcosa Vincenzo Ambrosio dell’azienda Villadora di Terzigno. Le sue olive in acqua e sale sono buone dopo cinque anni (le piante della tenuta sono oggetto di studi della Facoltà di Agraria a Portici), così i suoi Lacryma Christi, i vini Doc del Vesuvio, che invecchiano senza ansia. Le vigne – quasi tutte a pergola vesuviana – sono alte quasi quanto gli olivi. Altro custode di biodiversità è Vincenzo Egizio che a Brusciano coltiva la papaccella napoletana – un peperone piccolo e schiacciato, carnoso e dolce – e le albicocche nelle varietà pellecchiella e boccuccia, un frutto tipicamente vesuviano, come riporta già Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Fiammanti nel colore – e nei sentori sulfurei – sono poi i pomodorini del piennolo, quelli con il pizzo e legati a grappoli con corde di canapa.
Angelo Di Giacomo, dell’azienda Giolì – a San Giorgio a Cremano – vanta addirittura un seme di famiglia. Un compendio culinario di tanta bontà è sulle pizze di Giuseppe Pignalosa. Andare alla pizzeria Parùle di Ercolano è come banchettare negli orti vesuviani, assaggiando i Presidi Slow Food della zona. Ceneri e lapilli sono l’humus di questi prodotti, ma anche la coltre di sedimenti che ha conservato per millenni le città antiche di Ercolano e Pompei. I siti archeologici vesuviani non possono mai dirsi terminati e tra i “work in progress” più interessanti c’è quello della Villa di Augusto a Somma Vesuviana. Uno scavo portato avanti dall’università di Tokyo sta facendo emergere un ampio edificio romano distrutto dall’eruzione del 472 d.C. (forse l’ultima residenza dell’imperatore Ottaviano Augusto?) che è un esempio perfetto del sincretismo tra cultura pagana – Dioniso e il vino sono ovunque – e i primi influssi cristiani presenti negli affreschi absidali. La statua di Dioniso che tiene in braccio un cucciolo di pantera, qui rinvenuta ed esposta al museo di Nola, ha già fatto il giro del mondo. La grafica 3D ha dato una grossa mano alla ricostruzione virtuale di questi luoghi e all’immaginazione dei visitatori. Il MAV, il Museo Archeologico Virtuale di Ercolano punta proprio a questo: a insegnare e a meravigliare, come con il film tridimensionale sull’eruzione del 79 d.C.
Fu Carlo di Borbone ad avviare il grande lavoro archeologico in queste zone e qui stabilì la sua dimora estiva, la Reggia di Portici, attorno alla quale nacque il “Miglio d’Oro”, oltre cento ville vesuviane nate col fine di ospitare la corte reale. Un florilegio di stili, dal neoclassico al rococò al barocco. Una di queste, Villa Signorini, è oggi un relais hotel. Le stanze al piano nobiliare conservano gli affreschi del ‘700 e terrazzi sulla bellezza: di fianco la Villa dei Papiri, di fronte Capri.
*larepubblica
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