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Castellammare di Stabia

Graziano Mesina condannato a 30 anni per traffico di stupefacenti

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(di Virginia Murru)

Si potrebbe dire che a 74 anni suonati, la sentenza emessa dal Tribunale di Cagliari, apra un’ulteriore voragine nel lungo repertorio di crimini commessi dall’ex primula rossa barbaricina. Questa volta la lezione è solenne, e annulla tutto un percorso umano di riscatto che inesorabilmente lo scaraventa, ancora una volta e definitivamente, dietro le squallide sbarre della detenzione, alle estreme periferie della società.

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Revocata anche la grazia concessagli nel 2004. Mesina si è giocato tutto, e questa volta non si trattava di vendette per torti subiti, o regolamento di conti, e nemmeno l’esigenza di denaro per saldare le parcelle dei legali che lo hanno assistito per una vita. No, questa volta è stato il denaro facile e basta a incastrarlo. Secondo i giudici, era addirittura il capo della banda dedita al traffico di droga. L’ex latitante si trovava nel carcere di Nuoro ‘Badu è  Carros’ dal giorno stesso dell’arresto, avvenuto il 10 giugno del 2013. Sono stati condannati insieme a lui anche gli altri imputati: a 16 anni l’avvocato Corrado Altea, 5 anni sono stati inflitti a Vinicio Fois,  tre anni e 4 mesi ad Efisio Mura, infine due anni a Luigi Atzori. Graziano non era in aula quando è stato pronunciato il verdetto.

 Per me che l’ho conosciuto da vicino è stato quasi scioccante, proprio nel gennaio del 2013 andai ad Orgosolo per un’intervista, che mi concesse volentieri. Aveva 70 anni allora, ma nessuno e tanto meno io, sospettava che dietro quella cortina di sdegno e livore nei confronti della giustizia, vi fosse un uomo che non era riuscito a spezzare il vincolo stretto col crimine, del quale ancora e inesorabilmente era ostaggio.

Non dimostrava tre anni fa l’età che aveva, sicuramente quindici in meno, appariva ancora pieno di vigore  e la sua era una personalità da ‘capo branco’, dominante, fortissima. Inarrestabile il fiume in piena di avventure e sventure che mi aveva raccontato nel volgere di alcune ore.

Per due volte si era alzato dal tavolino del bar nel quale eravamo seduti perché le forze dell’ordine, in modo discreto ma costante, passavano davanti a noi, in apparenza senza una ragione. Lui s’indignava e mi chiedeva di seguirlo perché gli agenti lo innervosivano. E anche sulla strada era un via vai di auto della polizia, al punto che ne era seccatissimo, e sosteneva che per lui non esisteva pace, diceva di vivere perennemente una condizione di braccato..

Ma infine, Graziano, è caduto come un allocco nelle trappole di un mondo dal quale s’illudeva d’essersi affrancato per sempre.  Poco prima del  2013 però si lascia sedurre,  il crimine lo circuisce,  lo tenta e lo irretisce fino a farlo cedere, ancora una volta. Eppure Graziano in questi giochi sporchi della droga non aveva frequentazioni, sono state sicuramente le conoscenze e le compagnie di quegli anni, a condurlo in quel girone infernale. Era stimato, vezzeggiato, anche da illustri personaggi come Montanelli, era amico di Pino Scaccia e tanti altri giornalisti che  credevano nella sua definitiva riabilitazione.

Mesina ha tradito tutti senza pietà, complice quell’istinto che forse gli serpeggiava dentro come un demone ribelle, lasciando proprio le amicizie che lo avevano difeso, che avevano perorato la sua causa quando chiedeva la grazia, senza uno ‘spicciolo in tasca’, senza parole. E’ quasi inaccettabile, mortificante, per chi ha creduto che quell’anima selvaggia, ‘felina’, potesse conformarsi alle strade senza ombra della giustizia, e soprattutto della dignità. Un dignità che lui aveva anche cercato per anni di portare via dagli acquitrini limacciosi dell’errore, ma evidentemente il suo era un male con troppe recrudescenze, che non concedeva una vera remissione. E’ la peggiore, la più deteriore autocondanna di un uomo, quando la vita gli offre serie opportunità di condono, e  invece lui si prende gioco del destino attraverso sberleffi che alla fine non sono più degni di clemenza. Chiamando in causa un luogo comune, si può  tranquillamente dire che la volpe perde il pelo ma non il vizio. Beh, è proprio il suo caso.

Graziano Mesina e complici, sono stati accusati di associazione a delinquere e traffico di droga, oggi la sentenza del tribunale di Cagliari. Al di là della condanna, viene spontaneo chiedersi se un uomo che era diventato quasi un mito, amato perfino dalla gente, che lo trattava alla stregua di un Robin Hood, a questo punto della vita, non si sia dato dell’imbecille.

Se lo contendeva il mondo dell’informazione e la TV, tantissime sono le apparizioni dopo la sua scarcerazione, avvenuta in virtù della grazia concessagli dal Presidente della Reppubblica Carlo Azeglio Ciampi. Il decreto di clemenza fu firmato infatti nel novembre del 2004. Ma aveva anche ottenuto nell’ottobre del 1992, la libertà condizionale, dopo 29 anni di carcere.

Raccontare le vicissitudini umane e il suo conto perennemente aperto con la giustizia, è davvero un’impresa, poiché la sua esistenza, fin da giovanissimo, è costellata di avvenimenti che lo hanno sempre tenuto tra i clamori che la ribalta del crimine gli ha concesso. Dietro le sue traversie giudiziarie vi è sempre stato qualcosa che lo ha distinto dal delinquente comune, forse sono stati  il substrato sociale dal quale proveniva, quella sua aria da “bandito buono”, e una serie di caratteristiche personali, che col tempo lo hanno reso leggendario. E non solo per le fughe rocambolesche messe in atto nei diversi istituti di pena, anche se, eludere la strettissima sorveglianza delle guardie, non era uno scherzo da sprovveduti, e tutte le precauzioni che i direttori del carcere prendevano per evitare l’ennesima pessima figura, erano ritenute a prova di Grazianeddu. Ma per lui non è mai esistito l’impossibile, fino a oltre cinquant’anni aveva l’agilità di una tigre, era scaltro e avveduto, tutte qualità che gli hanno permesso di superare gli insormontabili ostacoli che ogni evasione aveva presentato.

Riporto qualche stralcio dell’intervista che Graziano Mesina mi aveva concesso nel gennaio del 2013. Ne viene fuori l’immagine di un uomo che si è riconciliato con la vita, e se in passato si era compromesso con il crimine, allora sembrava redento totalmente. Così appariva, ma in realtà tradiva ancora, e soprattutto, come un cretino tradiva se stesso.

A Orgosolo è una mattinata gelida, il vento crea piccoli vortici di polvere in Piazza dei Caduti, e contribuisce ad abbassare la temperatura  intorno al Supramonte. Ci troviamo a circa 650 m. d’altitudine, e a metà gennaio,  da queste parti, hanno visto anche di peggio.

In un angolo di questa bella piazza, scorgo Graziano Mesina, che sorride in compagnia di  qualcuno nei pressi di un locale pubblico, questo è il luogo in cui avevamo convenuto d’incontrarci. Stretta di mano e solite frasi convenzionali, poi ci dirigiamo verso il bar, fuori per me è impossibile stare,  risiedo nella costa orientale dell’isola, dove il clima è decisamente più mite. Peccato, Orgosolo si presenta come una cartolina illustrata,  nonostante i rigori della stagione invernale,  il cielo è incredibilmente azzurro.

Si chiacchiera, e Mesina non vuole  sentire parlare di “Codice Barbaricino”, in questo senso è ‘un dissacratore’ di pubblicazioni sull’argomento, e tesi sostenute in ambienti giuridico-accademici. Egli afferma che alcuni rappresentanti della cultura isolana e non, per stigmatizzare il fenomeno del malessere che ha riguardato la Barbagia, si siano inventate letteralmente queste leggi orali, che a suo avviso non troverebbero un autentico riscontro nei fatti. Non sarebbero, a suo dire, che supposizioni, una pessima lettura della realtà. “Ogni società – sostiene – ha i suoi usi e consuetudini.  Noi, qui ad Orgosolo, non abbiamo mai seguito un Codice che ha vincolato il nostro comportamento e le relazioni tra gli individui. Ognuno ha agito e valutato individualmente e liberamente le situazioni che lo hanno riguardato, senza riferimenti morbosi a regole che in verità non sono mai state stabilite, né in passato né mai. Non prova molta simpatia verso coloro che continuano imperterriti a parlare di questo ‘fantomatico’ Codice, così egli lo definisce.

Ascolto e prendo atto, come ribattere su un aspetto così importante, quando egli ha vissuto da protagonista nella società barbaricina, ne ha assorbito gli umori e le inquietudini, ma alla sua maniera, senza sentirsi legato da vincoli stretti come pastoie. Tale sarebbe stato il Codice Barbaricino.

Graziano preferisce andare oltre la questione, che ritiene marginale, rispetto alle traversie delle sue vicende giudiziarie. Non ha certo una buona opinione degli istituti di pena nei quali si è trovato  nel corso dei suoi 40 anni di carcere.

Ha un grande rimpianto:  non avere avuto l’opportunità di studiare, egli afferma che gli è stato in definitiva vietato avvicinarsi alle biblioteche, e questo perché i libri potevano in qualche modo veicolare ‘messaggi’.. “Sei troppo intelligente – pare sostenessero i responsabili di questi istituti, quando egli inoltrava precise richieste in merito – potresti diventare più pericoloso..”

“E si stava in questa trincea – continua Mesina – giorno dopo giorno, anno dopo anno.. a riflettere con rabbia su questi diritti mancati..”

Risposte che ovviamente non potevano giustificare ai suoi occhi il rifiuto di un diritto che in fin dei conti avrebbero sublimato in positivo l’istinto verso la ribellione. “E poi” – dice – “mi parlavano di ravvedimento.. Ma come si può ricostruire la vita di un individuo se non gli si permette di migliorare, di preparare il suo futuro – quando se ne prospettasse uno fuori da quelle mura – senza offrirgli le opportunità necessarie? Studiando lo si distoglie da pensieri di devianza, dalla solitudine e disperazione, derive insidiose alle quali  il carcere vissuto senza speranza può portare.. Il rifiuto era il veleno peggiore che potessero inocularmi. E poi si stupivano delle mie evasioni..”

Racconta di avere  subito 24 anni di regime carcerario durissimo, prima in applicazione della legge 90, entrata in vigore negli anni 80’, poi sostituita, nel 92’, dalla  41bis, un intervento che doveva rappresentare la reazione dello Stato alla strage del 23 maggio, nella quale persero la vita Falcone, la moglie e la scorta.

“Io sentivo di non meritare quel trattamento, nonostante i miei errori – prosegue –  Non avevo il curriculum di chi aveva commesso stragi in complicità con organizzazioni criminali. Ho vissuto per anni nei sotterranei delle carceri, c’era soltanto da impazzire. Non si può spiegare facilmente cosa si prova in certe condizioni di vita. “

Ci sarebbe da aggiungere che oltre a tutti gli articoli della Costituzione italiana, anche l’articolo 3 della Convenzione di Ginevra proibisce “gli oltraggi alla dignità umana dei detenuti, e i trattamenti umilianti e degradanti”

A Graziano Mesina chiedo cosa ne pensa del fatto che la sua esistenza, per tanti, è diventata leggenda, anche alcuni giornalisti lo hanno definito una sorta di Robin Hood..

Egli prima sorride, poi quasi appare infastidito. “Sono esagerazioni – risponde – io per amore di verità ho amato e amo profondamente la mia Barbagia, e Orgosolo in particolare, ma non ho mai manifestato atteggiamenti tipici di questo personaggio. La mia storia è un’altra”.

Inutile introdurre domande sulla vicenda Kassam, o sul suo incontro con Feltrinelli, è tempo sprecato, centellina le risposte, sostiene di avere già detto tutto ciò che sapeva, anche se i dubbi per chi ascolta sono legittimi.

Sostiene di avere pagato abbastanza anche per colpe non commesse, e si riferisce alle armi che le forze dell’ordine trovarono nella sua casa, nell’astigiano. Si parla degli anni ’90, reato che sostiene di non avere mai commesso, ma è inutile cercare di approfondire, aggiunge soltanto che il suo intervento nel sequestro Farouk non è certo dipeso da una iniziativa personale, che è intervenuto dietro precise richieste, e che non solo ha ricevuto in cambio ingratitudine, ma anche accuse con le quali non aveva nulla a che fare.

Per quel che riguarda l’editore Feltrinelli, niente di nuovo, ha ribadito di non averlo mai incontrato, di non averne mai voluto sapere di politica, non c’erano fini di questo tipo nella sua latitanza. Era stato avvicinato da tanti noti personaggi negli anni roventi del caos, tra gli anni 60’ e 70’, servizi segreti inclusi, ma ha sempre declinato ogni responsabilità o coinvolgimento in attività eversive.

Anche quando gli si faceva notare la condizione di colonia in cui si trovava la Sardegna, con parte delle sue coste vincolate dalle servitù militari. Centinaia di migliaia di ettari in mano ai militari della Nato, compreso il bellissimo litorale nei dintorni di Teulada, decine di km chiusi da filo spinato, e tante altre aree dell’isola precluse agli abitanti e destinate ad esercitazioni militari e poligoni di tiro. Afferma  che lui  non poteva decidere il destino della Sardegna.

Nonostante sia sempre stato sensibile ai tanti disagi sofferti dall’isola, ha sempre rifiutato d’impegnarsi in prima linea. Il suo spirito indipendente e il modo d’intendere  la vita, che non prevedeva padroni di alcun genere, lo portavano a concludere che certi obiettivi per lui erano come campi minati, non aveva competenze specifiche su certe materie, e sarebbe stato solo usato per fini forse lontani dall’interesse stesso dell’isola. Nel 93’ ha pubblicato un libro autobiografico “Io, Mesina”, dove la sua esistenza è messa in luce con obiettività e chiarezza.

Graziano, quanti anni ha in realtà? Non alludo all’età anagrafica, penso abbia capito..

Forse una trentina, e pure scarsi..

Che ruolo ha svolto la donna nella società barbaricina, è convinzione comune che si tratti di comunità orientate sul matriarcato. Cosa ne pensa?

Le donne hanno sempre contato in Barbagia.

La vita a volte va osservata in prospettiva, oggi ha una visione più chiara e lucida degli eventi che hanno maggiormente caratterizzato la sua esistenza?

La vita ha sempre un po’ di nebbia intorno, ma bisogna essere sinceri per capire quale ruolo si è voluto interpretare, e comunque restano sempre dei lati in ombra, anche quando si è obiettivi.

Ogni volta che è riuscito ad evadere dal carcere, era ben consapevole che non avrebbe potuto comunque vivere da uomo libero,  e che il rischio d’essere ripreso era altissimo, come poi in realtà è sempre accaduto. Erano certo valutazioni che non sfuggivano alla sua intelligenza, allora che cosa realmente la spingeva a violare le barriere degli istituti di pena?

La voglia di vivere, io sono nato libero e non mi sono mai rassegnato a vivere senza libertà, soprattutto quando il trattamento in carcere era durissimo.

Quale dei suoi affetti personali ha influito maggiormente nel corso della sua esistenza?

Forse nessuno, ho voluto davvero tanto bene a mia madre, ma io mi sono formato da solo, nel bene e nel male, proprio per questo mio carattere indipendente, ribelle.

Chi è oggi Graziano Mesina, che cosa chiede alla vita e alla società?

Oggi Mesina è una persona tranquilla, che lavora, e chiede soltanto il rispetto della gente che gli sta  intorno.

Magari fosse stato così Graziano, purtroppo all’ombra di quelle belle parole, stavi aggiungendo pietre su pietre a quel muro d’inspiegabile ribellione che è diventato poi la definitiva condanna della tua esistenza.

 

 

 

 

 

 

 

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