Nel suo commento Giovanni Orsina analizza i problemi del Pd nel quadro della “crisi d’identità che colpisce la sinistra in pressoché tutte le democrazie occidentali”.
La crisi della sinistra nel mondo che si trasforma
C
hi proclama la morte della categorie politiche di destra e sinistra, dichiarandole superate dal conflitto fra «globalizzatori» e «sovranisti», sbaglia. Destra e sinistra contano ancora. La frattura fra globalizzatori e sovranisti però pesa: s’intreccia con la divisione fra destra e sinistra, spacca sia questa sia quella, e costringe le forze politiche tradizionali a un travaglio di ridefinizione e riallineamento.
In breve: stiamo attraversando una tempesta storico-politica di prima grandezza. Anche se, naturalmente, non possiamo sapere quanto durerà, ed è ancora possibile (benché improbabile) che il calmarsi delle acque ci porti in un mare poi non troppo dissimile da quello cui siamo abituati. Parte di questa tempesta ha a che vedere con l’assalto al patrimonio di valori progressisti che viene in genere definito «politicamente corretto»: diritti individuali, cosmopolitismo, multiculturalismo. L’espressione «politicamente corretto», naturalmente, è polemica. Però mostra pure fino a che punto quei valori abbiano saputo egemonizzare lo spazio pubblico: se le sinistre ne hanno fatto una ragione di vita, anche le destre tradizionali sono state in buona sostanza costrette ad accettarli.
La sfida al politicamente corretto, e quindi la crisi della sinistra occidentale, ha a che fare con due ordini di fenomeni. Innanzitutto la rottura del rapporto fra valori e base sociale che caratterizzava la vecchia sinistra novecentesca: ammesso pure che abbia un universo sociale di riferimento, il politicamente corretto lo trova ai piani alti della società ben più che a quelli bassi. La storia non è nuova, sono almeno tre decenni che vediamo crescere lo iato fra sinistra e «popolo». Negli ultimi tempi però, con la crisi economica, la separazione s’è fatta clamorosa.
Il secondo fenomeno è la fragilità intrinseca del politicamente corretto. Multiculturale e cosmopolita, il pensiero progressista valorizza tutte le identità tranne la propria, quella occidentale. Ma è proprio dall’identità occidentale che scaturiscono, e ad essa sono ancorati, il cosmopolitismo e il multiculturalismo. Il politicamente corretto indebolisce così le proprie stesse radici, rivelando una certa somiglianza col cavaliere inesistente di Italo Calvino: deve la propria sostanza a un atto di volontà politica, ed è destinato a dissolversi se quella volontà viene a mancare. Ora, è proprio quella volontà che la depressione economica e il divorzio fra valori e popolo stanno facendo vacillare.
Gli effetti della crisi del politicamente corretto sono visibili su più livelli. La degenerazione del dibattito pubblico che è di moda definire «post-verità», ad esempio, è una conseguenza anche del dissolversi del quadro di valori che quel dibattito, bene o male, aveva fino ad ora rispettato. È evidente, a ogni modo, che le sinistre quella crisi non hanno ancora capito come affrontarla. Per un verso continuano a gridare con un tono sempre più isterico che il cavaliere inesistente esiste, nella speranza che, a forza di gridare, si rimetta in piedi. Basti pensare ad esempio a come viene affrontato Trump. Ma, per tornare a casa nostra, questa sembrerebbe pure la via di Renzi, apparentemente convinto che sia possibile far accadere le cose dichiarandole, e che la tempesta storica dentro cui ci troviamo possa passare in fretta e lasciare tracce lievi.
Per un altro verso – che è quello della minoranza Pd – le sinistre sognano invece di ricreare l’accoppiata novecentesca fra valori e popolo. È il programma di Martin Schulz, il leader dell’Spd che sta scalando i sondaggi in Germania proprio grazie a una proposta socialdemocratica di stampo tradizionale. Il problema, però, è che un programma novecentesco richiede risorse novecentesche. La Germania le ha. Ma l’Italia no.
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