È il giorno del B-Day: Londra attiva l’articolo 50, la Brexit prende forma e il Regno Unito abbandona l’Unione europea. A poche ore dall’annuncio ufficiale, la Scozia prova a smarcarsi chiedendo un nuovo referendum per separarsi da Londra e rimanere in Europa, ma il primo ministro Theresa May si oppone. Il capo del Desk Esteri de La Stampa, Alberto Simoni, è a Londra per raccontare questa giornata storica e parte dai volti degli italiani del Regno Unito.
Tra gli italiani emigrati a Londra: “Adesso ci sentiamo ospiti sgraditi”
Ma c’è anche chi scommette sul futuro nel Regno Unito: «Qui sei artefice del tuo destino»
Alberto Costa è invece un deputato conservatore, ha votato Remain, si sente europeo ma lavora per la Brexit «perché questa è la volontà popolare». Sulla terrazza di Westminster racconta di aver ricevuto tantissime chiamate di italiani disperati. «Bisogna stare calmi, non succederà nulla». Costa ha ottenuto da Theresa May un impegno perché i diritti delle migliaia di italiani (600 mila nel Regno Unito) siano salvaguardati.
La tranquillità di Costa non basta a placare quelle che più che paure sono delusioni. Barbara Fassoni, milanese 48 anni, architetto sposata con una figlia di 12 anni, ha scelto Londra due anni fa. Non è pentita ma «sento un clima di incertezza, non so cosa accadrà». «È come – si sfoga – sentirsi non più ospite gradito». Andrea Guerini rischia invece di essere un cervello doppiamente in fuga. Ha 21 anni e presiede il gruppo studentesco italiano alla London School of Economics. Originario di Crema, quando arrivò a Londra tre anni fa ebbe uno choc pazzesco. «Il Regno Unito dà chance ai giovani di essere artefici del proprio destino», dice. Lui però il futuro lo edificherà negli Stati Uniti. «Il prossimo anno sarò alla Columbia University», aggiunge. La scelta americana non è del tutto estranea alla vittoria del Leave: Andrea aveva offerte da Cambridge e Oxford e dalla stessa Lse. Ha preferito i grattacieli di New York al Tamigi. «Vedevo un vantaggio nello stare qui se Londra fosse rimasta in Europa, ma chi può dire cosa accadrà?».
Myriam Zandonini, anche lei lombarda trentenne, da 5 anni a Londra, lavora alla City dove spifferi sempre più forti narrano di banche e istituti sul piede di partenza. L’idea di tornare indietro, per Myriam, magari a Milano dove la sua società sta pensando di aprire una sede dall’anno scorso, ha messo radici. Ma c’è pure chi non ci pensa nemmeno a riporre tutto in un container e ripartire.
Devid, 27 anni, romano fa il cameriere in uno dei locali adiacenti a Covent Garden. È qui dal 2013, divide un appartamento con alcuni amici italiani. «Voglio una mia attività» dice mentre distribuisce caffè e hamburger. E la Brexit? «Qui c’è lavoro e ce ne sarà ancora, poi se qualcosa cambia me ne vado altrove, magari in Spagna o in Australia, il mio sogno». La fuga o il ritorno in patria lo toglie subito dal tavolo Alba Lamberti, 41 anni napoletana, lavora per un think tank. «Per me Londra è casa da 10 anni, i miei figli sono nati qui e sono inglesi. Io sono europea dalla testa ai piedi e non so immaginare un futuro diverso per loro». Theresa May stamane dirà ancora che il Regno Unito si sente parte dell’Europa. Non basterà a togliere l’incertezza agli italiani d’Oltremanica.
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