Il «Caffè» di ieri sul parroco bolognese che non prova pietà per l’adolescente ubriaca di piazza Verdi stuprata alla stazione ha ricevuto le critiche di alcuni lettori. Li ringrazio per la partecipazione al dibattito, pur respingendo l’accusa di mirare al facile consenso con i buoni sentimenti. Semmai è vero il contrario: oggi per ottenere consenso è consigliabile essere cinici e il conformismo maggioritario è quello della cattiveria, come si sono incaricati di dimostrare gli interventi pro-parroco di Salvini e Giovanardi. Riconosco di avere espresso in sole tre righe, dandola per scontata, la necessità di suggerire ai ragazzi comportamenti prudenti che non li espongano a rischi facilmente prevedibili. Ma ad avermi colpito era stata soprattutto la mancanza di umanità nei confronti della vittima. Quell’ergersi a giudici di una giovane donna che, per quanti errori potesse avere commesso, di certo non aveva fatto del male a nessuno, ma lo aveva ricevuto.
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o ascoltato con rispetto le voci dei critici, finché verso sera ne è arrivata una che per me ha diritto di parola più di ogni altra. «Mia figlia ha subìto violenza in un momento di grande difficoltà . Noi siamo una famiglia di forti valori. Abbiamo letto giudizi trancianti che ci feriscono, quando nessuno, tranne noi, sa che cosa è successo. Mia figlia va difesa, e non solo da un prete. Negli stupri la colpa è di chi stupra, non di chi ne è vittima». Anche dopo lo sfogo della madre ci sarà chi continuerà a dire: «Doveva pensarci prima». Ma forse è il caso di cominciare a pensarci tutti, adesso.
corrieredellasera/Il giorno del giudizio di MASSIMO GRAMELLINI
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