Fisco 2.0 – Nel disinteresse dei media, il decreto fiscale porta con sé una misura che dovrebbe fruttare 2,8 miliardi di gettito annuo aggiuntivo. È il nuovo sistema di trasmissione telematica dei dati Iva all’Agenzia delle entrate. Che potrà così incrociare le dichiarazioni cliente-fornitore. Ma non vale per i dettaglianti.
La svolta verso il fisco 2.0 inizia dall’Iva
Nel decreto fiscale non ci sono solo misure una tantum. Ce ne sono altre, come quelle sulla trasmissione dei dati fra soggetti Iva, che dovrebbero aumentare strutturalmente il rispetto degli obblighi. E rappresentano una quota importante delle maggiori risorse per finanziare la manovra.
Nuove regole per le comunicazioni Iva
In questi giorni l’attenzione mediatica si è concentrata sulle misure una tantum contenute nel decreto fiscale, ovvero la rottamazione delle cartelle esattoriali e la riapertura dei termini della collaborazione volontaria (voluntary disclosure).
Molta minore attenzione è stata dedicata a una norma che potrebbe incidere in modo strutturale sull’azione di contrasto dell’evasione. Si tratta delle nuove modalità di comunicazione dei dati Iva e del loro uso da parte dell’Agenzia delle entrate per stimolare il rispetto degli obblighi fiscali (tax compliance).
Il decreto prevede che, a partire dal 2017, entro l’ultimo giorno del secondo mese successivo a ogni trimestre, ciascun soggetto passivo Iva trasmetta telematicamente: a) i dati di tutte le fatture emesse nonché di quelle ricevute e registrate; b) una comunicazione dei dati contabili riepilogativi delle operazioni di liquidazione dell’Iva. A questo punto, in tempi molto ristretti (circa un mese), l’Agenzia dovrà incrociare i dati comunicati dai clienti con quelli dei fornitori, rilevare eventuali discrepanze e comunicarle al contribuente invitandolo a regolarizzare la propria situazione ovvero a dare spiegazioni.
L’obiettivo principale è ridurre l’evasione cosiddetta senza consenso, ossia realizzata da una parte sola o comunque in misura differente tra le due parti, nell’ambito delle transazioni business-to-business, cioè tra soggetti Iva. Si pensi al caso del fornitore che vende a 100 e dichiara ricavi per 50, mentre il cliente deduce regolarmente il costo (100) sostenuto: il fisco perde l’Iva, le imposte sul reddito e l’Irap sui 50 dedotti dal cliente, ma non dichiarati dal fornitore.
Perché è meglio prevenire l’evasione
Il maggior pregio della riforma è quella di consentire, per le transazioni business-to-business, di intervenire sulle forme più macroscopiche di evasione in modo preventivo. Nella relazione tecnica si stima che l’azione preventiva sia in grado di generare già dal 2018 un maggiore gettito di circa 2,8 miliardi di euro, una parte consistente delle maggiori entrate complessive della manovra.
I limiti sono due. Il primo consiste nell’aumento dei costi di adempimento a carico dei contribuenti, posto che la misura è generalizzata. La trasmissione telematica dei dati delle fatture è oggi prevista annualmente, e non trimestralmente, e la comunicazione dei dati contabili è un nuovo adempimento. Per questo, il decreto prevede un apposito credito di imposta di 100 euro per ciascun contribuente il cui volume d’affari sia non superiore a 50mila euro; il credito è concesso una sola volta, nell’ipotesi che corrisponda al costo di adeguamento dei software contabili e si stima che costerà all’erario circa 240 milioni di euro. Rimangono esclusi dall’agevolazione i contribuenti con volume d’affari superiore a 50mila euro, per i quali evidentemente si ritiene che gli adempimenti corrispondano a operazioni di fatto già svolte o con incidenza limitata sui costi di gestione.
Il secondo limite è l’esclusione del mondo delle vendite al dettaglio, con la conseguente impossibilità di intercettare l’evasione che avviene esclusivamente a valle del processo di produzione e distribuzione dei beni e dei servizi. Nella proposta avanzata dal Nens, che per primo ha suggerito di introdurre la trasmissione telematica obbligatoria estesa a tutto il mondo Iva, si prevedeva anche l’invio obbligatorio dei corrispettivi (cioè degli scontrini) per ovviare al problema. La scelta è stata quella di non spingersi fino a questo punto, per non aumentare gli oneri di adempimento a carico di soggetti di dimensione spesso molto ridotta. Per questi contribuenti rimane in vigore lo spesometro attuale, che prevede la trasmissione dei dati solo dopo la conclusione del periodo d’imposta. Inoltre, il governo ha annunciato l’introduzione di una lotteria degli scontrini, a partire dal 2018, per incentivare l’emersione delle vendite al dettaglio sull’esempio di quanto accaduto in Portogallo.
Anche tenendo conto dei limiti oggettivi, la misura va nella direzione giusta, in cui si muovono le più avanzate amministrazioni fiscali europee e raccomandata dalle istituzioni internazionali (si vedano i rapporti dell’Ocse e Fmi sulla tax administration), ovvero quella di puntare più sulla prevenzione basata sull’analisi dei dati che non sulla repressione affidata all’azione di accertamento e riscossione. Tuttavia, il percorso virtuoso è soggetto alla condizione che l’amministrazione fiscale sia, da un lato, capace di analizzare e interpretare i dati, nonché di gestire le risposte dei contribuenti, con tempi molto brevi e, dall’altro lato, sia parimenti efficace nel reagire sia di fronte a cambiamenti di comportamento dei contribuenti (che potrebbero essere spinti a concordare l’evasione e quindi a non fare più emergere le discrepanze) sia di fronte al mancato adeguamento spontaneo. Una sfida a un tempo affascinante e decisiva.
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