Esercizi di realtà alternativa. Gli Aosta al posto dei Savoia, il paese ormai spaccato in due. E il 18 aprile del ’48 l’incredibile successo delle sinistre. In rete forum e narrazioni contro-fattuali. Chi pensa che sarebbe stato meglio, chi peggio, chi uguale
A
lungo andare, la Storia sfida i proverbi e si consente di giocare con i se, per cui nel tripudio anniversaristico viene spontaneo chiedersi cosa sarebbe accaduto se il 2 giugno 1946 avesse vinto la monarchia. È un trastullo meno innocente di quel che s’immagina, e il pensiero corre alle polemiche levatesi al massimo livello istituzionale dopo il finto scoop televisivo che Mixer mandò in onda nel maggio del 1990 con un’intervista-confessione a un vecchio giudice della Corte d’Appello, in realtà un attore, che rivelava di aver sottratto insieme ad altri, due milioni di voti al Re per far prevalere la Repubblica.
Oggi la rete pullula di ucronie, cioè di fanta-storie o narrazioni contro-fattuali che proiettano la continuità monarchica sull’ultimo settantennio. Ci sono forum e sondaggi: chi pensa che sarebbe stato meglio, chi peggio, chi uguale — in questo a suo modo confermando le valutazioni di Benedetto Croce secondo cui il dilemma monarchia-repubblica era “inessenziale”.
Sempre sul web alcuni ritengono che l’Italia si sarebbe divisa in due; altri che la dinastia Aosta, meno compromessa, avrebbe preso il posto dei Savoia; altri ancora pensano che alle elezioni del 1948 avrebbe vinto il Fronte delle sinistre, ma anche in quel caso Umberto sarebbe rimasto guadagnandosi l’inedito titolo di “re comunista”. Su un ucronico sito (fmboschetto.it) un signore che si chiama Franco Vezzaro si spinge nell’impossibile futuro e sostiene che il Re avrebbe scelto come inno “La canzone del Piave”, dato il primo incarico di governo a Enrico De Nicola e aperto l’Anno Santo 1950 con la Regina e Pio XII.
Ora, sembra più ridicolo che rischioso imbarcarsi in fanta-previsioni. Ma allora la monarchia in diverse zone del Nord avrebbe fatto i conti con rivolte di partigiani in armi. In questo senso «la Repubblica o il caos», celebre slogan di Nenni, più che come minaccia suonava come ragionevole ipotesi. Donde la necessità, per Umberto, di puntare a gesti distensivi, magari fissando la data di un secondo referendum istituzionale come prova di appello quando gli animi si fossero placati.
Ma intanto, al posto dello Statuto, avrebbe avuto inizio il processo costituente. Il tricolore avrebbe seguitato ad avere lo stemma sabaudo. Gli alleati e la Chiesa, rimasti formalmente neutrali nella consultazione, si sarebbero riavvicinati alla Corona. Riguardo ai primi è plausibile ipotizzare che sulle faccende italiane l’Inghilterra (monarchica) avrebbe avuto più voce in capitolo di quanta effettivamente ne ebbero gli Stati Uniti (che facevano un malcelato tifo per la Repubblica). Inoltre si sarebbero forse attenuate le fobie di Papa Pacelli riguardo al comunismo; così come molto lascia pensare che l’aristocrazia avrebbe mantenuto la presa su forze armate e diplomazia.
Assai più arduo è stabilire come una rafforzata monarchia avrebbe influito sul sistema dei partiti; in particolare nei confronti della Dc che, pur avendo una forte componente repubblicana, beneficiò dell’effetto “salto nel buio” presentandosi come partito-scudo garante dei valori tradizionali che gli sconvolgimenti avevano messo duramente a repentaglio.
Sempre a rischio di cadere nella vana congettura, si può pensare che l’istituto monarchico avrebbe fatto valere, nelle relazioni con gran parte della nuova classe politica democratica, la figura di Maria Josè, “la Regina di maggio”, che dopo una iniziale sbandata mussoliniana non solo aveva decisamente avversato il fascismo, ma anche intrattenuto rapporti con esponenti dell’antifascismo come Croce, De Gasperi, Bonomi, Einaudi, La Malfa, oltre con Monsignor Montini. Il 2 giugno Maria Josè aveva deposto nell’urna una scheda bianca, sia pure perché non le pareva “elegante” votare per il marito e in fin dei conti per se stessa. Ma alla Costituente aveva votato per Saragat.
Fin qui i dati, se non certi, almeno tali da consentire non del tutto assurdi arzigogoli. Per il resto, la fantasia si perde nel romanzo pseudo-storico. E vengono i brividi a pensare che Umberto II, figura dignitosa nell’esilio portoghese, avrebbe lasciato il trono a Vittorio Emanuele IV, che ha animato le cronache dell’ultimo quarantennio in un vortice di accuse, intercettazioni, assoluzioni e strascichi di umanità varia, dalla P2 alle fucilate dell’isola di Cavallo, da Vallettopoli alle scazzottate dinanzi al cugino Juan Carlos.
Quel che più sorprende, semmai, è che una volta cacciata dalla porta, la monarchia sembra anche in Italia rientrata dalla finestra nelle forme di un potere sempre più monocratico, presidenziale e/o aziendale che sia, comunque un comando personalizzato e con tentazioni perfino ereditarie (vedi l’esperimento del Trota o le suggestioni dinastiche di Arcore). A riprova che la Storia ogni tanto gioca con se stessa, e la sovranità è sempre a rischio di regressione.
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