MOSTRE – L’artista Ezio Zingarelli * in mostra fino al 17 ottobre alla “Galleria ab/arte” di Brescia, procede in un percorso individuale di grande interesse, dove trova nella tecnica mista il suo stile e la modalità d’espressione pur tenendo come base la pittura, in composizioni dense di forza creativa nella ricerca sull’oggetto trovato trasformato in opera d’arte. Non solo tele, dunque, ma altri supporti e materiali come stoffe, manifesti, giornali, juta, che combina e pennella in mescolanze autonome.
La citazione è quella del racconto fin dal titolo della monografia che accompagna la mostra dal titolo: “Ezio Zingarelli e la necessità del reale” (ed. ab/arte, pp. 80). E lo schema è quello storico dell’arte che reclama a sé la vicinanza dell’estetica in una valutazione relazionale. Torna l’imperscrutabile e l’esperienza nell’uso di materiali eterogenei in una sorta di itinerario che ha dato molto al neo dada e al concettuale in cui Ezio Zingarelli interviene stracciando pubblicità e immagini di strada, e allo stesso tempo facendole sopravvivere in un farsi e disfarsi in cui compendiare i protagonisti della sperimentazione visiva degli anni Sessanta del Novecento. Riconfigura, in tal modo, il collage inserendolo nel proprio linguaggio espressivo, per arrivare all’assemblaggio, memore della storica mostra al MoMa di New York in ottobre del 1961 (The Art of Assemblage), e riprende il “papier collé” in un rimando velato ai “reade-mady” e ai “combine painting”, per dare all’arte – dichiara – la vitalità necessaria a introdurvi la vita, e per questo disassembla nel ritrarre la società che distrugge i valori morali.
E
’ questa la manipolazione messa in atto da Zingarelli, ed è questo il senso percepito nell’estensione dell’utopia sociale dei nouveaux realiste, raccolti attorno a Pierre Restany, che supera nel divenire stesso dell’opera d’arte, nella distinzione tra artista e cut-up interpretativi, in una varietà letteraria stilistica allorquando frammenta i giornali e li ricompone mischiati in un senso logico per la sua rappresentazione.
Un’arte da leggere? Pure. Perché Zingarelli non dà mai nulla per scontato, finanche per quanto presuppone in un livello di finalità da prendere in esame per i molti aspetti connaturati al razionale, quale sia l’approccio. E l’innesco è quello del dialogo di quelle pagine strappate, in cui sembrerebbe richiamare un quadro di Franco Gentilini che negli anni Trenta del Novecento si autoritrae vestito di ritagli di giornali dai titoli roboanti di successi militari del regime.
Crea, in sostanza, un problema nell’agire secondo la volontà mai gridata del concetto di mimesi della deriva contemporanea che avvicini a un’idea catartica, in una sorta di antropologia della memoria che Ezio Zingarelli pone nei sacchi di juta stratificati a tradurre la mediazione all’indignazione dell’abitudine, nell’era post-postmoderna in cui non si riesce più neanche a scorgere un nuovo mondo. Una soluzione nell’arte come giuntura tra differenze da custodire e la contrapposizione di limitazioni emotive, è l’immediato avvicendamento in uno sguardo pieno delle sue opere, a contrastare l’irrealtà nella saggistica della sospensione dell’incombente: luce e ombra tra visibile e invisibile, incline verso la coscienza come punto di resistenza etica ed estetica. E c’invita a osservare con occhi nuovi la realtà che ci assedia eppure non ce ne accorgiamo, vittime dei mass media e della pubblicità, che non fanno elaborare un modo di vedere questo reale contemporaneo.
Non è così per il nostro autore, che con maggiore avvedutezza proporziona il conflitto nella condizione del dissociarsi, nel passo determinante nello sviluppo di una sperimentazione che conferisca tangibilità, nella confusione politica e sociale che rende tutto elusivo e mette nell’impossibilità di comprendere. Perché c’è l’insicurezza dei giovani, ma c’è anche l’indagine intellettuale che chiede la via per affrontare relazioni umane condivisibili in un momento, anzi in un’epoca, in cui tutto declina.
Pratica analitica nella sua appartenenza all’arte che si nutre di attualità, in mescolanze popolate dai silenzi di questa società. Sono le sue finestre sull’universo alla ricerca di una soluzione culturale con uno sguardo disincantato ma non provocatorio, lontano dalle esperienze ludiche di certa arte contemporanea, non foss’altro per la maturità dell’iniziarsi creativo a sessant’anni, e trovarsi oggi a settanta in un percorso in cui ha bruciato tappe intermedie di riflessioni e di evoluzioni stilistiche. Non è poco. Ma rende possibile essere considerato un “giovane” artista, se al limite dell’età si concede il beneficio del futuro, giacché ha personalizzato la pienezza dell’invecchiare nel confrontarsi non con la consuetudine di giornate vuote, quanto piuttosto con l’investigare alternative nella lettura di libri d’arte. Magari non ha certezze o responsi assoluti – e chi ne ha? – ma li cerca nel discutere con quanti guardano i suoi lavori, e per questo usa titoli di un giornale o righe di testo incolonnate tra cromie che richiamano fiducia e passioni, in risultati che dall’arte molti hanno rimosso.
L’artista Zingarelli, in fin dei conti, incarna il carisma dei precursori in un interesse documentario che svolge come un carteggio sull’oggetto d’uso, per rivendicare l’eredità e l’esigenza dell’uomo incoerente nel consumismo che non riesce a esaurire problematiche e motivi tipici di un contesto italiano. Fa dunque risaltare la finitezza dell’immagine che risulta in contrapposizione all’individualismo in una pittura che potremmo definire corporea, per l’intensità di sintesi in raffigurazioni a traguardo di una crescita interiore oltre il purismo figurativo. E a volte abbonda per quegli interventi successivi a coprire di fatto la visibilità dell’immagine stessa in una densità materica o sotto velature di tulle e carte quasi a rifigurare, in un peso fisico dato da rottami di ferro, la scorta di primordiali allusioni alla violenza economica dell’oro.
La discriminante della cultura contemporanea, infatti, sta nella soggezione al potere che fagocita la lotta individuale e postula la decadenza in un ripiegamento che Zingarelli rifiuta per una storia riposta in ogni carta che recupera e incolla e dipinge in una unità organica che diviene il suo “manifesto”. Da qui l’aggiunta di materiali non cartacei in un dispositivo grafico determinato dal progressivo uso dei supporti (tela, legni, tavole, cartoni) come se fossero muri di colore o, in una operazione posteriore a quella di Rotella, muri da scrostare. In tal senso si possono veder convergere la tecnica e la sintonia con i “frammenti” che assumono policromie di contorno pluriculturali o transculturali, osservando il riconoscimento di principi universali, nel rinnovo di un “Melting pot” che dagli anni Ottanta del XX secolo è ancora oggi attuale.
Sono le opportunità che Zingarelli cede nel dilatare attendibilità differenti in un processo connettivo con il pubblico cui far arrivare il suo messaggio, a indicare un nesso all’opinione nel conseguire una verità presupposta invece che incondizionata. Perché è l’oggetto che descrive e cambia lo scopo insito nell’integrarsi in una trama pittorica che a volte campiona inclinazioni espressioniste-astratte.
Quadri che sono il compendio di un’ambizione rivelativa in creazioni partecipative e comunicative, e sono il filo che lega generazioni d’artisti capaci di farci pensare che l’arte sia ancora in grado di cambiare qualcosa. In questo è nitido il suo intento, e ne sono palesi le ragioni al fine di proiettare condizioni che prescindono da prospettive visive nel vestire di colore i “rifiuti” della produzione capitalistica con l’impiegare materiali della tecnologia moderna, nei contrasti di superfici sfuggenti e mai ferme, pur tuttavia delimitate in strutture conoscibili e determinanti al suo percorso.
Assistiamo, dunque, a coinvolgimenti creativi atti a stimolare atteggiamenti costruttivi nelle attuali difficoltà senza altra risorsa che non la provocazione priva della tradizione con i suoi meriti. Per questo Zingarelli, fuori da etichette di gruppi o movimenti, rivendica la libertà di realizzare proposte non per evadere chissà dove ma per deporre la riconoscibilità nella contraddizione dell’arte divenuta oggetto di consumo non più partecipe della società. Come? Con la sua comunione alla poetica del fare per investire in un ritorno della cultura, e quindi innescare una interdipendenza e un contagio che configuri realtà e visione, quasi un dittico nelle varianti declinate attraverso un filtro letterario. Un artista, finalmente, del terzo millennio, e la riconoscibilità sta nell’occasione di pronunciare i privilegi di un’arte ormai in retroguardia e connotata dalla fine di un contraddittorio come risorsa.
Andrea Barretta
“Ezio Zingarelli e la necessità del reale”, a cura di Andrea Barretta, Galleria ab/arte, Vicolo San Nicola 6, Brescia, dal 17 settembre al 17 ottobre 2016.
Orari: da giovedì a sabato 9,30 – 12,30 e 15,30 – 19,30
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