(
Adnkronos) – “Mi auguro che questa sentenza possa aprire le porte a un cambio di rotta nelle denunce, che possa dare coraggio e speranza a tante altre vittime ancora in silenzio.Io, finalmente, ho ottenuto giustizia, l’ho avuta dopo anni e nonostante diversi tentativi di condizionare l’esito del processo”.
A parlare con l’Adnkronos è Antonio Messina, all’indomani della sentenza di condanna a 4 anni e 6 mesi di don Giuseppe Rugolo, il sacerdote accusato di violenza sessuale aggravata a danno di minori, che lui stesso ha denunciato alla polizia nel 2020, facendo scattare l’arresto, nell’aprile del 2021, e il processo conclusosi ieri in primo grado con la condanna del prete.Una sentenza arrivata dopo otto ore di camera di consiglio. “Ieri è stata giornata lunghissima – ammette Antonio che oggi ha 30 anni e che all’epoca dei fatti ne aveva appena 16 -.
Ascoltando la lettura del dispositivo ho pensato a tutti quei ragazzi che sono da soli o non hanno la forza di denunciare.So che non è facile affrontare questo percorso”. Facile non lo è stato neppure per lui che a don Rugolo si era rivolto cercando risposte ai mille dubbi di un adolescente. “Mi affidai a quello che allora era un giovane seminarista – ricorda -, confidando non solo le mie perplessità sul mio possibile orientamento sessuale, ma anche la vocazione che in quegli anni sentivo forte in me”.
Invece di risposte e sostegno, però, arrivò altro. “Mi ritrovai a subire un approccio sessuale da questo seminarista poi diventato sacerdote, che nel tempo ha sempre fatto leva sulla mia condizione di isolamento all’interno della comunità parrocchiale”.Anni vissuti con “un profondo senso di solitudine”. “Gli abusi iniziarono nel 2009 e andarono avanti sino al 2013 – spiega all’Adnkronos Eleanna Parasiliti Molica, avvocato di Antonio Messina -.
All’epoca il mio assistito frequentava la parrocchia di San Giovanni Battista ad Enna.Don Rugolo ha approfittato della condizione di grande fragilità di un adolescente, di uno stato di profondo turbamento veicolando il messaggio che determinati comportamenti fossero corretti”. “Facendo leva sulla mia vocazione – racconta oggi Antonio – giustificò gli approcci dicendo che queste cose avvenivano regolarmente anche dentro i seminari.
Cercò di normalizzare tutto.Godeva di una grande fiducia nella comunità”.
Così anche quando Antonio, nel 2014, decise di chiedere aiuto confidandosi con il proprio parroco non ottenne credito. “Non mi credette”, dice con amarezza.L’ancora di salvezza per lui, però, aveva il volto di un altro prete, don Giuseppe Fausciana. “Mi ha sostenuto in tutti questi anni, non mi ha mai abbandonato”.
Grazie a lui il contatto con il vescovo di Piazza Armerina, monsignor Rosario Gisana, a cui nel 2018 Antonio denuncia i fatti e che avvia un’investigatio previa sul sacerdote.Un’indagine ecclesiastica che si conclude, però, con un nulla di fatto. “L’ultimo atto fu una proposta economica, 25mila euro in contanti in cambio di una clausola di riservatezza – dice Antonio -.
Hanno provato a comprare il mio silenzio.E’ stato allora che ho definitivamente capito che non avrei mai potuto ottenere giustizia dalla Chiesa.
Chiusi ogni rapporto con la Diocesi e denunciai tutto all’autorità giudiziaria”.Arrivarono le indagini, l’arresto e il processo. Antonio, oggi un archeologo, è rimasto a vivere ad Enna. “Mi occupo di attività culturali, cerco di spendermi per la mia città, alla quale sono molto legato.
Anche per questo non sono andato via, ma ammetto che all’inizio, quando l’inchiesta fu resa pubblica, non è stato semplice”.Lui, però, ha deciso di uscire allo scoperto e di metterci la faccia. “Enna è una piccola comunità e volevo fermare voci e indiscrezioni.
Ho pensato che non avrebbe avuto senso nascondersi e che la mia testimonianza potesse dare forza a chi si trovava nella mia stessa condizione”.In tutti questi anni i momenti di scoramento sono stati tanti.
Per le porte chiuse in faccia, per i “tentativi di insabbiare tutto”. “Ho pensato che non avrei ottenuto giustizia, soprattutto quando ho percepito condizionamenti e pressioni ad alti livelli.Oggi per me è importante che anche la Curia di Piazza Armerina sia stata riconosciuta responsabile civilmente.
E’ il segno che c’è stato un sistema di coperture.Che chi sapeva ha protetto”. “La sentenza di ieri ha riguardato altri due ragazzi vittime di questo sacerdote che non hanno avuto il coraggio di costituirsi parte civile nel processo – sottolinea Antonio Messina -.
Ieri ho pensato a loro, mi auguro possano liberarsi di questo passato, di questo peso”.Da quando Antonio ha deciso di raccontare la propria storia ha ricevuto due richieste di aiuto. “Due giovani che hanno poi denunciato all’autorità giudiziaria gli abusi commessi da due sacerdoti.
Se la sentenza di ieri aiuterà altre vittime ad affrontare le proprie paure allora avremo vinto tutti quanti”. Poi un appello: “Bisogna che tutti prestino attenzione a quegli ambienti in cui agiscono adulti come educatori e occorre che nessun ragazzo sia isolato.Io ho avuto accanto la mia famiglia, ci sono persone che sono da sole e sono tante.
Vivono in contesti familiari in cui è meglio tacere una violenza che infangare il nome di un sacerdote e della chiesa.Vanno aiutati e supportati”.
A don Rugolo Antonio non vuole dire niente. “Con me e con tutte le altre vittime ha sempre usato la chiave dello stato di soggezione.In tutte le udienze ho evitato persino di incrociare il suo sguardo.
Il perdono?In questo momento non c’è spazio per questo sentimento”. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)