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l flusso dei migranti non è l’unica sfida esistenziale che l’Unione Europea deve affrontare in questi tempi burrascosi. Un altro flusso può far correre all’Europa rischi ancora maggiori: si tratta di quello degli idrocarburi che arrivano in prevalenza grazie a oleodotti e gasdotti, e che soddisfano quasi i tre quarti del bisogno energetico europeo. Per quanto le attuali riserve di greggio dell’Europa risultino addirittura sovrabbondanti, senza una garanzia di rifornimenti regolari, a un prezzo accessibile e relativamente stabile, l’esistenza stessa dell’economia europea viene messa a rischio, assai più di quanto possono metterla a rischio gli arrivi – pur numerosi, caotici e destabilizzanti – dei profughi e degli altri immigrati.
Finora, ciascun Paese europeo ha sostanzialmente fatto da solo, affidando alle proprie compagnie petrolifere – talvolta in unione, talvolta in concorrenza tra loro – il compito di assicurare la stabilità dei propri rifornimenti energetici, in chiave esclusivamente o prevalentemente nazionale. Gli italiani dell’Eni si sono costruiti due linee di approvvigionamento: la prima su un asse Est-Ovest che parte dai giacimenti russi e dei Paesi dell’Asia centrale e attraversa l’Ucraina, la seconda su un asse Sud-Nord che dalla Libia e dall’Algeria (e in un prossimo futuro anche dall’Egitto) attraversa il Mediterraneo.
I tedeschi hanno stretto importanti accordi con i russi, ottenuto forti finanziamenti europei e terminato nel 2011 la costruzione del gasdotto Nord Stream, poggiato sul fondo del Mar Baltico per evitare di passare per la Polonia; i francesi, dal canto loro grazie alla scelta nucleare per l’elettricità, hanno partecipato solo marginalmente a questo «grande gioco».
Le reti elettriche europee sono state, sia pure debolmente, unite tra loro e così il sistema energetico del vecchio continente, per quanto un po’ zoppicante, è riuscito a stare in piedi. Negli ultimi anni, però, è saltato tutto. La caduta del regime di Gheddafi nel 2011 e la successiva dissoluzione dello Stato libico hanno reso complessivamente assai più aleatorie le forniture energetiche dalla Riva Sud del Mediterraneo mentre con l’esplodere della crisi ucraina è divenuta problematica una parte del rifornimento energetico da Est. L’ipotesi di un nuovo gasdotto che «scavalcasse» l’Ucraina, passando per il Mar Nero, la Bulgaria e la Grecia è sostanzialmente archiviata per il durissimo scontro tra Mosca e Ankara. L’Europa non può sottovalutare il rischio di essere messa in crisi, in un prossimo futuro, da una possibile penuria energetica con termosifoni soltanto tiepidi e il razionamento di fatto di elettricità e benzina.
In quest’orizzonte incerto, la Germania si è mossa da sola e ha concluso nuovi accordi preliminari con la Russia per il raddoppio del Nord Stream violando, se non la lettera, almeno lo spirito delle sanzioni anti-russe decise dall’Occidente a seguito della vicenda ucraina e creando una situazione con due pesi e due misure. Semplificando al massimo, l’Italia, come altri Paesi, deve sopportare, senza sconti, gli effetti negativi delle sanzioni anti-russe, mentre la Germania controbilancia almeno in parte questi effetti con i benefici diretti e indiretti derivanti dal raddoppio del gasdotto. Tutto ciò sta creando malumore in Europa – in quanto la Germania si ritaglierebbe una «posizione dominante» – il che ha fatto sì che al vertice europeo di metà dicembre la sola Olanda si sia schierata a fianco dei tedeschi. Si potrebbe andare verso un blocco del progetto da parte dell’Unione Europea. In questo clima si inquadra la telefonata fatta da Putin a Renzi un paio di giorni fa con la richiesta di fatto di una consistente partecipazione italiana. Il problema sarà certamente sollevato nell’imminente incontro tra lo stesso presidente del Consiglio e la cancelliera tedesca.
Al di là degli interessi nazionali, si sta facendo strada un essenziale interesse europeo: la necessità di un’«unione energetica» in cui le procedure, i vantaggi e i costi siano sufficientemente chiari e che risulti meno sbilanciata a favore della Germania di quanto non si stia rivelando l’unione bancaria. Il futuro dell’unificazione europea forse passa assai più dall’energia che dall’affannosa ricerca di una base ideologica.
*lastampa
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