Elena Bucci e Marco Sgrosso al
Teatro Santa Chiara Mina Mezzadri
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unti Chiave Articolo
dal 5 al 30 aprile 2016 – 26 e 27 aprile data di Altri Percorsi
LA CANZONE DI GIASONE E MEDEA
da Euripide a Seneca, da Apollonio Rodio a Franz Grillparzer e Jean Anouilh
progetto ed elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso
regia Elena Bucci con la collaborazione di Marco Sgrosso
con Elena Bucci, Marco Sgrosso, Daniela Alfonso, Nicoletta Fabbri, Filippo Pagotto
disegno luci Loredana Oddone
drammaturgia sonora e cura suono Raffaele Bassetti
macchinismo Giovanni Macis
costumi Elena Bucci e Marta Benini -maschere Stefano Perocco di Meduna
produzione Centro Teatrale Bresciano
Elena Bucci e Marco Sgrosso affrontano, dal 5 al 30 aprile 2016 – 26 e 27 aprile data di Altri Percorsi, una delle figure icastiche del mito nella nuova produzione del Centro Teatrale Bresciano al Teatro Santa Chiara: MEDEA
“Il mito di Giasone e Medea – spiegano Elena Bucci e Marco Sgrosso – è per noi un ciclo di storie che narrano in poesia la storia dell’amore che si trasforma in odio e poi in morte: cantarle in teatro ne inverte il passo e riporta in vita i personaggi e le loro ragioni, attraverso le parole antiche e gli echi di autori che ne hanno riscritto il mito nel tempo. Dopo Antigone, un altro potente conflitto tra l’universo maschile e quello femminile, tra le ragioni del cervello e quelle del cuore: un’altra potente figura di donna stimola il nostro desiderio di cercare nell’altezza lirica della parola antica le risonanze con la nostra epoca orfana di grandi ideali e afflitta da facili semplificazioni e un altro complesso ritratto di uomo ci porta ad interrogarci sull’equilibrio delle responsabilità assunte e delle colpe presunte nella dinamica dei conflitti, con la volontà di evitare la pochezza di giudizi banali per cercare di analizzare più a fondo i meccanismi umani delle reazioni e delle ritorsioni”.
vivicentro.it-spettacoli / Elena Bucci e Marco Sgrosso al Teatro Santa Chiara (BS): LA CANZONE DI GIASONE E MEDEA
IL MITO
MEDEA È uno dei personaggi più celebri e controversi della mitologia greca. Il suo nome in greco significa “astuzie, scaltrezze”, infatti la tradizione la descrive come una maga dotata di poteri addirittura divini.
Quando Giasone arriva nella Colchide insieme agli Argonauti alla ricerca del Vello d’oro, capace di guarire le ferite, custodito da un feroce e terribile drago a conto di Eete, lei se ne innamora perdutamente. E pur di aiutarlo a raggiungere il suo scopo giunge a uccidere il fratello Apsirto, spargendone i poveri resti dietro di sé dopo essersi imbarcata sulla nave Argo insieme a Giasone, divenuto suo sposo. Il padre, così, trovandosi costretto a raccogliere le membra del figlio, non riesce a raggiungere la spedizione, e gli Argonauti tornano a Jolco con il Vello d’Oro. Lo zio di Giasone, Pelia, rifiuta tuttavia di concedere il trono al nipote, come aveva promesso in precedenza, in cambio del Vello: Medea allora sfrutta le proprie abilità magiche e con l’inganno si rende protagonista di nuove efferatezze per aiutare l’amato. Convince infatti le figlie di Pelia a somministrare al padre un “pharmakòn”, dopo averlo fatto a pezzi e bollito, che lo avrebbe ringiovanito completamente: dimostra la validità della sua arte riportando un caprone alla condizione di agnello, dopo averlo sminuzzato e bollito con erbe magiche. Le figlie ingenue si lasciano ingannare e provocano così la morte del padre, tra atroci sofferenze: Acasto, figlio di Pelia, pietosamente seppellisce quei poveri resti e bandisce Medea e Giasone da Iolco, costringendoli a rifugiarsi a Corinto, dove si sposeranno.
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